Il nuovo presidente dello Sri Lanka è il più a sinistra della storia del paese
Anura Kumara Dissanayake fa parte di un partito definito ancora oggi marxista-leninista, anche se lui nel frattempo ha moderato molto le sue posizioni
Anura Kumara Dissanayake, che ha vinto le elezioni di domenica in Sri Lanka, ha 55 anni ed è il presidente più di sinistra della storia del paese. È il leader di un partito, il Janatha Vimukthi Peramuna (JVP), che tuttora viene definito marxista-leninista, e che tra gli anni Settanta e Ottanta partecipò a due sanguinose insurrezioni armate contro il governo srilankese.
Nonostante questo Anura Kumara Dissanayake (noto in Sri Lanka come AKD) oggi ha di fatto abbandonato le origini marxiste del suo partito. Benché sia ancora un politico di sinistra, le sue posizioni sono più moderate: AKD è ritenuto favorevole al libero mercato e a promuovere il settore privato, ha assunto posizioni nazionaliste a favore della maggioranza etnica del paese, i Sinhala, e durante la campagna elettorale si è concentrato sulla lotta alla corruzione e si è presentato come un candidato di cambiamento rispetto alla politica tradizionale.
Dissanayake fa politica da quando era un ragazzo: entrò nel Janatha Vimukti Peramuna nel 1987, proprio quando il partito (che era anche un gruppo paramilitare) stava avviando la sua seconda grande insurrezione armata contro il governo, dopo quella del 1971, che aveva come obiettivo l’istituzione di uno stato marxista in Sri Lanka. Fu un’insurrezione durissima, paragonabile a una guerra civile: i morti furono decine di migliaia e le violenze gravi da entrambe le parti. Quando l’insurrezione fallì, i sostenitori del partito subirono una dura repressione: la casa dei genitori di Dissanayake fu data alle fiamme in una vendetta pubblica contro i sostenitori del partito.
Dopo un periodo di clandestinità, il JVP entrò nella vita democratica dello Sri Lanka. Abbandonò gradualmente le sue posizioni più massimaliste e anzi assunse un’identità sempre più nazionalista, in favore della maggioranza etnica dei Sinhala, buddisti, contro la minoranza dei Tamil, che sono indù e che da decenni portano avanti una lotta armata indipendentista e autonomista nelle regioni a nord del paese.
Nel 2004 il JVP entrò anche nel governo come membro di un’ampia coalizione, e Dissanayake fu nominato ministro dell’Agricoltura. Ne uscì però dopo poco più di un anno, proprio per ragioni legate al nazionalismo Sinhala. Dopo il devastante tsunami del 2004, che fu il più grave disastro naturale della storia dello Sri Lanka e in cui morirono circa 35 mila persone, il governo cercò di collaborare per la distribuzione degli aiuti con le Tigri Tamil, il più noto e attivo gruppo della guerriglia tamil. Il JVP tuttavia era contrario a un accordo con le Tigri Tamil, e abbandonò il governo.
Nel 2014 Dissanayake divenne segretario generale del JVP, e iniziò un periodo piuttosto lungo di ulteriori moderazioni delle posizioni del partito. Laureato in Fisica, piuttosto carismatico e buon oratore, Dissanayake mise insieme una nuova coalizione politica di cui il JVP doveva essere il primo partito, ma che comprendesse altri piccoli partiti, ong, associazioni della società civile e così via. La nuova coalizione si chiamò Alleanza nazionale del potere del popolo (NPP) e mirava a diventare stabilmente la terza forza politica nazionale.
I risultati non furono particolarmente buoni: alle elezioni parlamentari del 2015 il partito di Dissanayake, che ancora si chiamava JVP, ottenne 6 seggi in parlamento su 225. Alle parlamentari del 2020 la nuova coalizione, NPP, ne ottenne appena tre. Dissanayake si presentò alle elezioni presidenziali del 2019 e del 2022, ottenendo sempre risultati minimi (tra l’1 e il 4 per cento dei consensi).
Le cose cambiarono però nel 2022 quando, a causa della crisi provocata dalla pandemia da coronavirus e soprattutto da anni di politiche economiche disastrose, l’economia dello Sri Lanka crollò. Il paese fece default e l’inflazione superò l’80 per cento. Il governo fu costretto a chiedere l’aiuto del Fondo monetario internazionale (FMI), che concesse al paese un prestito necessario per mantenere le funzioni dello stato, ma in cambio di riforme di austerità piuttosto onerose per la popolazione.
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La popolazione rispose al peggioramento delle condizioni economiche con enormi proteste che presero di mira soprattutto la corruzione della classe politica: in quel momento il presidente, il primo ministro e il ministro delle Finanze dello Sri Lanka facevano tutti parte della stessa famiglia, i Rajapaksa, che era nota per la corruzione e la cattiva gestione del potere. In particolare Basil Rajapaksa, il ministro delle Finanze, era noto come “mister 10 per cento”, per la quota che, secondo le accuse, richiedeva per sé quando si trattava di decidere i grandi appalti pubblici.
Le proteste portarono al crollo del governo dei Rajapaksa (che fuggirono dal paese), e alla nomina di Ranil Wickremesinghe come presidente facente funzioni. Le condizioni economiche dello Sri Lanka migliorarono, ma non di molto.
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In questo contesto Anura Kumara Dissanayake è riuscito a presentarsi come un candidato di cambiamento, impegnato a interrompere la corruzione e malagestione della politica tradizionale e a concentrare le sue energie per migliorare le condizioni di vita della popolazione: tra le altre cose ha promesso di abbassare le tasse ai più poveri e di avviare programmi di welfare più generosi.
Al tempo stesso Dissanayake ha cercato di rassicurare i creditori internazionali che lo Sri Lanka avrebbe pagato i suoi debiti. Non è ancora chiaro come intenda rispettare assieme i due impegni, quello di maggiore spesa per la popolazione e di pagamento dei debiti.
Dissanayake è favorevole a un intervento deciso dello stato nell’attività economica, per esempio nella gestione delle società energetiche e delle infrastrutture strategiche, ma non è contrario all’impresa privata, anzi: fa parte del suo programma favorirne la crescita. Negli ultimi anni, inoltre, ha stretto contatti con varie parti della società del paese che prima erano diffidenti delle origini marxiste del suo partito, tra cui intellettuali e imprenditori.
Grazie anche a una retorica estremamente efficace, e alla promessa di porre fine alla corruzione, Dissanayake è riuscito a ottenere una vittoria eccezionale alle presidenziali: ha vinto al secondo turno con oltre il 42 per cento dei voti. Ha promesso che nelle prossime settimane scioglierà il Parlamento, dove la sua coalizione ha appena 3 seggi, e indirà nuove elezioni parlamentari, per ottenere un mandato popolare più forte e soprattutto una nuova coalizione parlamentare a sostegno delle sue politiche.