In Svizzera quasi tutto si decide con un referendum
È una tradizione molto forte nella cultura politica svizzera e ha precise ragioni storiche: ora per esempio si sta discutendo dei fondi pubblici per l'Eurovision
Nel cantone svizzero Basilea Città il piccolo partito conservatore e di ispirazione cristiana Unione Democratica Federale ha iniziato a raccogliere le firme per un referendum contro la decisione del parlamento locale di destinare 37 milioni di franchi svizzeri di fondi pubblici (circa 39 milioni di euro) per l’organizzazione dell’Eurovision Song Contest, che si dovrebbe tenere a maggio del 2025 proprio a Basilea. Il partito non vuole che soldi pubblici vengano spesi per finanziare un evento che considera “woke” e irrispettoso nei confronti della cristianità, e sta cercando di sottoporre la decisione al voto popolare.
La scelta di usare lo strumento è stata quasi scontata, visto che in Svizzera i referendum sono assai frequenti e vengono usati per decidere sulle questioni più varie. Dal 1848, anno in cui la Svizzera passò da essere una confederazione di cantoni a uno Stato federale, sono stati indetti 670 referendum a livello nazionale e altre centinaia a livello cantonale e locale.
Ci sono buone possibilità che il referendum sull’utilizzo dei fondi pubblici per l’Eurovision si terrà, dato che il numero di firme da raggiungere è piuttosto basso: l’Unione Democratica Federale ha fino al 26 ottobre per raccogliere 2mila firme valide di elettori del cantone di Basilea Città, in cui abitano poco meno di 200mila persone. Il solo fatto di votare sulla questione, ha detto il leader della campagna referendaria Samuel Kullmann, sarebbe da considerare una vittoria l’aver avviato «una discussione a livello nazionale su un tema che forse in precedenza era stato ignorato dalla politica».
Questa opinione è molto condivisa e fa parte delle ragioni per cui i referendum sono considerati così importanti nel paese. I cittadini e le cittadine svizzere votano una media di 15 quesiti referendari all’anno. Le votazioni avvengono fino a quattro volte l’anno e in media partecipa poco meno del 50 per cento della popolazione: il 90 per cento di loro vota per posta, mentre una piccola parte lo fa ancora di persona al seggio. Questa domenica per esempio si terranno due referendum sulla protezione della biodiversità e su una modifica allo schema di finanziamento del sistema pensionistico nazionale.
I referendum possono essere indetti a livello federale, cantonale e locale e sono di tre tipi: quelli facoltativi, quelli di iniziativa popolare e quelli obbligatori.
A livello federale, i referendum facoltativi riguardano leggi già approvate dal governo e possono essere indetti raccogliendo 50mila firme valide di elettori entro 100 giorni dall’emanazione della norma. I referendum di iniziativa popolare riguardano invece proposte di modifica della Costituzione e vengono indetti dopo aver raccolto 100mila firme valide entro 18 mesi (in Italia ne servono 500mila). I referendum obbligatori sono richiesti per le modifiche costituzionali o per la firma di trattati internazionali già approvati dal parlamento. Quando si tratta di modifiche alla Costituzione o dell’adesione a una qualche organizzazione internazionale devono essere approvati sia dalla maggioranza dei votanti che dalla maggioranza dei cantoni; negli altri casi basta invece la maggioranza semplice.
Solo il 10 per cento dei referendum di iniziativa popolare e il 40 per cento degli altri tipi di referendum passa, ma secondo molti il fatto che i referendum avvengano è di per sé la cosa più importante. Nella seconda metà dell’Ottocento, con la nascita dello stato federale, i referendum divennero presto uno dei principali strumenti per assicurare (e rassicurare) che i cantoni e le loro popolazioni mantenessero un certo grado di autonomia. Questa impostazione è rimasta ancora oggi nel modo in cui molti cittadini pensano al rapporto che i loro cantoni hanno con il governo federale.
Un’altra funzione dei referendum è quella di creare una specie di valvola di sfogo per i malcontenti degli elettori e delle elettrici nei confronti del governo, una possibilità che c’è molto meno nei paesi in cui i referendum non sono così usati o sono più difficili da indire. Anche per questo in Svizzera lo strumento del referendum è da sempre molto apprezzato. Sean Müller, professore dell’Università di Losanna che studia la democrazia diretta svizzera, ha detto a Politico che il punto è che «anche se non lo fai, in teoria potresti».
Durante la pandemia da Covid-19 per esempio in molti stati, fra cui l’Italia, i governi furono criticati per aver imposto delle restrizioni troppo dure alla popolazione per contenere la circolazione del virus: in Svizzera la popolazione poté votare in tre diverse occasioni se eliminare le restrizioni e i requisiti di vaccinazione, ma respinse sempre le proposte.
I temi per cui negli anni sono stati indetti dei referendum in Svizzera sono i più disparati. Alcuni hanno riguardato cose che avevano delle ripercussioni a livello internazionale, come nel caso del referendum del 2002 sull’ingresso del paese nelle Nazioni Unite, mentre altri affrontavano temi molto specifici: per esempio nel 2018 la maggioranza degli elettori votò contro la creazione di sussidi per gli allevatori che decidevano di non tagliare le corna alle mucche e alle capre, una pratica diffusa ma contestata dalle associazioni per i diritti degli animali.
Il referendum sulle corna delle mucche fu al tempo molto ripreso anche dalla stampa internazionale perché rientrava nello stereotipo per cui in Svizzera viene indetto un referendum un po’ per qualsiasi cosa. Nel tempo si sono tenuti referendum per vietare la vendita dell’assenzio (nel 1908), per bloccare l’acquisto di jet militari (nel 2020), per abolire l’esercito (nel 1989: fallì), tra gli altri.
Una categoria di referendum piuttosto particolari e specifici è quella dei referendum sui diritti degli animali. Nel 2010 un referendum di iniziativa popolare, bocciato dal 71 per cento dei votanti, propose che gli animali potessero ricorrere a un avvocato, mentre nel 2018 fu approvato un referendum che ha reso illegale buttare nell’acqua bollente le aragoste ancora vive.
– Leggi anche: Le “emissioni zero”, spiegate bene
Sono stati indetti, e approvati, anche referendum su temi di forte connotazione politica. Nel 2009, un referendum di iniziativa popolare promosso dall’Unione Democratica di Centro, un partito populista di destra, vietò in tutto il paese la costruzione di minareti, gli edifici alti e stretti da cui le autorità religiose musulmane diffondono musiche e preghiere: il voto fu considerato di tipo ideologico dato che nel paese c’erano al tempo solo quattro minareti. Nel 2021 fu approvata anche la proposta di vietare a livello nazionale l’uso del burqa, l’abito femminile della tradizione islamica che copre integralmente il corpo, compresi il volto e la testa, con una fessura o una fascia velata per gli occhi, che è entrata in vigore nel 2023.
Negli stessi anni sono state anche approvate proposte a cui hanno lavorato partiti e associazioni di sinistra, come quella di creare una tredicesima mensilità di pensione, a marzo di quest’anno, e quella sulla legalizzazione dei matrimoni fra persone dello stesso sesso, del 2021.
– Leggi anche: Una campagna referendaria da ricordare