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  • Sabato 21 settembre 2024

Il tribunale di Venezia è intasato dalle richieste di cittadinanza

Ha oltre 18mila ricorsi pendenti, per quasi 100mila persone che vorrebbero diventare italiane in base allo “ius sanguinis”

Un carrello pieno di faldoni di documenti in un tribunale
(Matteo Bazzi/ Ansa)

In Veneto ci sono decine di comuni che hanno centinaia di richieste di cittadinanza in arretrato da parte di persone che vivono all’estero: provengono perlopiù dal Sudamerica e in particolare dal Brasile, dove molte di loro hanno diritto alla cittadinanza italiana sulla base del cosiddetto ius sanguinis, in latino “diritto di sangue”, per il quale una persona può essere riconosciuta come italiana se ha almeno un avo italiano, anche molto distante nel tempo. Chi è in questa condizione è detto anche “oriundo”.

Quando i comuni rifiutano le richieste, spesso vengono presentati dei ricorsi: questi poi finiscono tutti al tribunale di Venezia, che è competente per tutte le richieste della regione. I ricorsi accumulati sono moltissimi e condizionano pesantemente il lavoro del tribunale: il presidente Salvatore Laganà ha detto al Corriere del Veneto che le pratiche pendenti al momento sono circa 18mila, il 43 per cento di quelle in corso in tutta Italia.

Visto che ogni pratica può riguardare interi nuclei familiari, 18mila pratiche significa peraltro che le persone che hanno chiesto la cittadinanza sono molte di più. Secondo le stime riferite da Laganà il numero potrebbe essere vicino alle 100mila.

Il motivo per cui in Veneto arrivano così tante richieste di cittadinanza dall’estero è che la regione fu una di quelle da cui emigrarono più persone nell’Ottocento, decine di migliaia delle quali proprio verso il Brasile: la conseguenza è che molti ancora oggi sono in grado di dimostrare di avere un lontano parente italiano. Per una persona brasiliana ottenere la cittadinanza italiana può essere molto vantaggioso: vuol dire per esempio potersi spostare nei paesi dell’area Schengen senza il bisogno di un passaporto, o poter ottenere visti come quello per gli Stati Uniti con molta più facilità.

Le richieste sono incentivate dal fatto che la legge italiana sulla cittadinanza su questo specifico aspetto è molto permissiva, mentre è noto che sia molto severa – tra le più severe in Europa – sui requisiti per ottenere la cittadinanza in generale. In questo modo soprattutto in Veneto negli anni è stata concessa la cittadinanza a molte persone che non abitano in Italia, creando qualche paradosso: ci sono comuni veneti che hanno più abitanti all’estero che sul territorio comunale, o comunque in cui risultano residenti diverse persone che poi effettivamente non ci vivono e magari non ci sono mai state. Queste persone naturalmente possono anche votare alle elezioni locali e nazionali.

Uno dei casi più citati, perché particolarmente emblematico, è quello di Val di Zoldo, dove 1.700 dei meno di 3mila residenti abitano all’estero, metà di questi proprio in Brasile. A Val di Zoldo – un posto che come altri simili in Italia ha problemi di spopolamento, e dove dall’inizio del 2024 sono nati 11 bambini – ci sono 550 richieste di cittadinanza dall’estero in sospeso.

– Leggi anche: Ius sanguinis, ius soli, ius culturae e ius scholae

Lo ius sanguinis in vigore in Italia è attualmente normato da una legge del 1992: prevede che una persona è automaticamente italiana solo se lo è almeno uno dei genitori. In base a questo principio, la legge riconosce come cittadini italiani tutti coloro che possano dimostrare di aver avuto un antenato italiano anche piuttosto lontano, anche se non sono mai stati in Italia e non parlano italiano.

Fino al 1948 non era così: la cittadinanza italiana si trasmetteva solo per via paterna. Quindi se una cittadina italiana aveva sposato uno straniero prima di quell’anno i suoi figli e discendenti non potevano essere riconosciuti come cittadini italiani. L’entrata in vigore della Costituzione, proprio nel 1948, garantì una maggiore parità di diritti, e da quel momento lo ius sanguinis iniziò a valere anche per i figli di donne sposate con stranieri. Diverse sentenze hanno in seguito dimostrato che il diritto allo ius sanguinis è valido anche per i discendenti di donne italiane nati prima del 1948.

Molte delle richieste accumulate in Veneto riguardano proprio cittadini brasiliani che chiedono la cittadinanza italiana dimostrando di aver avuto una lontana parente donna esclusa dallo ius sanguinis. In questi casi la richiesta non può essere gestita dai consolati all’estero, come avviene per le normali domande di cittadinanza, ma deve essere valutata da un tribunale italiano. Gli avvocati devono presentare documenti, certificati di matrimonio e di nascita per dimostrare che la linea familiare non è stata interrotta.

Le richieste dall’estero arrivano in Italia anche quando non riguardano parenti donne se i consolati non riescono a rispettare la scadenza di 730 giorni fissata per rispondere alla richiesta di cittadinanza. Soprattutto in Argentina e Brasile i tempi di attesa sono lunghissimi, fino a diversi anni, e per questo motivo molte persone ricorrono alla giustizia italiana.

Proprio nelle ultime settimane nella politica italiana si è discusso molto della possibilità di cambiare i requisiti per ottenere la cittadinanza: succede ciclicamente e sempre senza successo, soprattutto dopo eventi come le Olimpiadi, a cui partecipano molte atlete e atleti italiani nati da genitori stranieri e che hanno potuto ottenere la cittadinanza solo dopo averne fatto richiesta una volta compiuti i 18 anni.

In quei casi solitamente si discute più che altro della possibilità di introdurre leggi basate su diritti diversi dallo ius sanguinis: per esempio lo ius soli, per cui la cittadinanza si riceve in base al posto in cui si nasce, o il cosiddetto ius scholae, quello più citato e proposto da alcuni politici negli ultimi tempi, per cui la cittadinanza verrebbe data in base a un certo numero di anni scolastici frequentati in Italia.

Ora invece in Veneto si parla più che altro della possibilità di mettere più restrizioni allo ius sanguinis già in vigore: il presidente del Veneto Luca Zaia per esempio ha suggerito di adottare criteri più severi sulla conoscenza della lingua, cosa che secondo lui permetterebbe di «aiutare chi si sente davvero italiano, non chi è interessato solo ai documenti».