Cosa è stato fatto e cosa no per proteggere l’Emilia-Romagna dagli allagamenti
Molte opere urgenti sono state concluse, ma per un piano di prevenzione più ampio servono soldi che finora il governo ha garantito solo in parte
Giovedì pomeriggio, durante la conferenza stampa convocata per fare il punto sulle esondazioni causate dalla pioggia intensa caduta in Emilia-Romagna, il ministro della Protezione civile Nello Musumeci ha innescato una polemica in merito alla gestione dei fondi e dei cantieri per la messa in sicurezza del territorio. Musumeci ha accusato la Regione e gli amministratori locali di non aver fatto abbastanza per evitare nuovi danni dopo le due alluvioni del maggio del 2023. «Se ogni volta che piove in Emilia-Romagna succede il finimondo è chiaro che qualcosa non torna», ha detto Musumeci, un atteggiamento che molti esponenti politici nazionali e locali di partiti di opposizione hanno definito “sciacallaggio”.
Da oltre un anno in Emilia-Romagna si discute della gestione dei fondi e dei cantieri per prevenire le esondazioni dei fiumi e gli allagamenti dei centri abitati. Molte opere urgenti sono state portate a termine, molte altre sono in ritardo o comunque in corso, buona parte sono ancora nella fase di progettazione. Sindaci e amministratori regionali hanno accusato più volte il governo di non aver stanziato abbastanza soldi rispetto a quanti ne servirebbero: secondo il governo invece i ritardi sono imputabili a intoppi e lentezze delle procedure gestite a livello locale.
Già circa un mese dopo l’alluvione la Regione Emilia-Romagna presentò al governo una stima accurata dei danni causati dagli allagamenti in pianura, dalle frane in collina e sugli Appennini. In totale furono segnalati danni per 8,5 miliardi di euro, di cui la metà per ripristinare opere pubbliche come strade, ponti, argini dei fiumi, canali. Finora il governo ha stanziato 3,8 miliardi di cui 2,5 per la messa in sicurezza del territorio e 1,3 miliardi per i rimborsi a famiglie e aziende.
Nelle settimane successive all’alluvione furono aperti migliaia di cantieri per riaprire le strade chiuse, costruire ponti e passaggi provvisori, mettere in sicurezza le frane, ripristinare le reti idriche collassate. A questi interventi più urgenti si sono aggiunti altri progetti di prevenzione come la costruzione di muri di contenimento e di nuovi argini, l’allargamento delle vasche di laminazione o dei canali, l’installazione di paratie per intercettare il materiale trasportato dai fiumi.
I dati diffusi dalla Regione Emilia-Romagna dicono che 290 di questi cantieri sono stati conclusi, 271 sono in corso e 394 ancora nella fase di progettazione. Sono stati pagati sia dai comuni che dalla Regione, in alcuni casi anticipando i soldi poi arrivati dalla struttura commissariale. Negli ultimi due giorni molti di questi progetti hanno contribuito a evitare allagamenti simili a quelli del 2023 e a tenere la situazione sotto controllo in molti comuni. In questa mappa, realizzata con i dati della Regione liberati dall’associazione onData, si possono consultare tutti i cantieri urgenti commissionati in Emilia-Romagna.
Anche se è complicato individuare le responsabilità su un piano così articolato, molti sindaci hanno spiegato che i ritardi di queste opere sono dovuti a procedure molto più lunghe del previsto, a partire dall’attribuzione dei fondi da parte della struttura commissariale guidata da Francesco Figliuolo.
Per esempio a Faenza, uno dei comuni dove ci sono stati allagamenti a causa dell’esondazione del fiume Marzeno, doveva essere costruito un muro di contenimento che avrebbe probabilmente evitato molti danni. Il sindaco Massimo Isola ha detto che il comune aveva proposto alla struttura commissariale di costruire un muro e che finora non è stato possibile iniziare i lavori a causa di lungaggini burocratiche. Il comune si è quindi dovuto arrangiare nell’emergenza, costruendo un muro di contenimento componibile che tuttavia si è rivelato troppo debole e non ha retto la potenza della piena. «Abbiamo fatto tutto a nostre spese e con le nostre ditte. Solo che alle 3 di notte abbiamo visto il terrapieno, ovvero il rinforzo dell’argine, che si è dissolto. L’acqua ha squagliato tutto e poi ha spinto il muro di contenimento realizzato nel pomeriggio», ha detto il sindaco.
È in ritardo anche il “piano speciale per la ricostruzione”, cioè la strategia complessiva di intervento e pianificazione per ridurre il rischio di dissesto idrogeologico nella regione. Il piano, che secondo le stime vale in totale 4,5 miliardi di euro, è pensato sul medio e lungo periodo, e prevede la costruzione di opere più grandi e impegnative rispetto a quelle già presenti: bacini di laminazione, nuovi canali, nuovi argini. Ne è stata approvata una versione provvisoria a marzo e una definitiva a luglio, ma da allora i documenti sono fermi al ministero dell’Ambiente. Il ministro Musumeci ha giustificato i ritardi al ministero dell’Ambiente (quindi non il suo, ma quello di Gilberto Pichetto Fratin) definendo «molto laborioso» l’esame da fare sul piano prima di approvarlo. Non sono però state fornite più informazioni né stime precise su quando potrà essere pronto.
Il problema più rilevante, però, riguarda i soldi: per ora la struttura commissariale ha previsto 2,5 miliardi di euro e quindi non è chiaro come tutti questi cantieri potranno essere finanziati.
Anche in questo caso molti comuni si sono mossi in autonomia in attesa dei soldi e delle decisioni della struttura commissariale. La scorsa settimana il comune di Lugo, in Romagna, ha acquistato sette ettari di terreno per costruire una nuova grande vasca di laminazione che dovrebbe raccogliere l’acqua in caso di nuove alluvioni. «Noi abbiamo comprato il terreno, ora tocca al commissario realizzare l’opera», dice l’assessore all’Ambiente Fausto Bordini. «Sono opere molto complesse già nella fase preliminare: la trattativa per l’acquisto del terreno non è stata semplice. Ma per ora non ci sono le risorse economiche per farla, siamo in attesa».
Uno dei problemi più sentiti dalla popolazione riguarda i rimborsi richiesti per i danni a case e aziende. Il governo ha stanziato 1,3 miliardi di euro, di cui per ora è arrivata solo una minima parte: 21,8 milioni ai privati e 8,3 milioni alle imprese. Le procedure sono state molto più lente del previsto. Fin da subito le persone che avevano subìto danni si erano lamentate del sistema allestito per chiedere i rimborsi, considerato troppo complicato e lento. Le domande erano state inviate tramite la piattaforma online chiamata “Sfinge”, operativa da novembre: i primi rimborsi sono stati inviati soltanto lo scorso aprile e migliaia di persone sono ancora in attesa.
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