Il Libano si sente vulnerabile
L'esplosione simultanea di migliaia di apparecchi ha lasciato la popolazione civile con una forte sensazione di paura e sfiducia, che si vede in molti aspetti della vita quotidiana
L’esplosione simultanea di migliaia di cercapersone e altri apparecchi tra martedì e mercoledì in tutto il Libano ha generato paura e scompiglio tra la popolazione locale. Martedì migliaia di cercapersone in dotazione a membri del gruppo radicale Hezbollah hanno cominciato a esplodere quasi simultaneamente in tutto il paese, a seguito di una sofisticata operazione di manomissione portata avanti con ogni probabilità dall’intelligence israeliana; mercoledì sono esplosi altri dispositivi di comunicazione come i walkie-talkie, in alcune occasioni durante i funerali delle persone uccise il giorno prima. In tutto sono state uccise 37 persone, e i feriti sono più di 3.000.
È abbastanza difficile immaginare la situazione in cui si trova la popolazione libanese. Le prime esplosioni di martedì sono state simultanee e violente e sono arrivate praticamente dal nulla: a qualcuno esplodeva qualcosa in tasca, a qualcuno esplodeva qualcosa in mano, esplodevano le borse portate dalle persone, si sentivano esplosioni venire dagli edifici.
Molte persone intervistate dai giornali locali e internazionali hanno rievocato il trauma dell’esplosione al porto di Beirut, quando nel 2020 un gigantesco deposito di nitrato di ammonio esplose lasciando in città un cratere di 43 metri di profondità. Fu generata un’onda d’urto che colpì tutta Beirut, uccidendo 218 persone e facendo 7.000 feriti. Anche allora, ha scritto l’Economist, «la morte era sembrata arrivare dal nulla».
I dispositivi elettronici esplosi erano in dotazione di Hezbollah, che benché sia noto soprattutto come un gruppo paramilitare è anche un’organizzazione civile molto ramificata: gestisce un partito politico, ospedali, cliniche, e moltissime strutture civili che hanno ruoli rilevanti in molte parti del Libano. Per questo non tutti i suoi membri sono combattenti, e molti conducono una vita normale, magari senza che nemmeno i loro vicini di casa sappiano dell’appartenenza all’organizzazione.
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Anche per questo l’attacco è stato così devastante: le esplosioni sono avvenute in pieno giorno, mentre i possessori dei cercapersone erano in giro in città, facevano compere, erano in taxi, in bicicletta o in automobile con le proprie famiglie.
Mohammad al Mousawi, una persona intervistata da Associated Press che abita nella parte sud di Beirut, dove Hezbollah ha una forte presenza, ha raccontato: «Ho visto cose terrificanti quel giorno. All’improvviso c’erano scooter che sfrecciavano portando via uomini con la faccia insanguinata, uomini senza dita, alcuni con gli intestini che uscivano. Poi sono cominciate ad arrivare le ambulanze».
Muhammed Kanj, 11 anni, era uno dei bambini uccisi dalle esplosioni: stava giocando a casa di un amico quando il cercapersone che il padre dell’amico aveva lasciato nella stanza è esploso. Muhammed Kanj è morto, l’amico è stato ferito.
Oltre ad aver generato terrore nell’immediato, le esplosioni hanno provocato una sensazione di vulnerabilità che rimarrà a lungo nella popolazione libanese, e che in questi giorni sta tenendo il paese bloccato. Molte persone temono che oltre ai cercapersone e ai walkie-talkie ora possano esplodere altri apparecchi elettronici o connessi, e questo sta creando una sensazione generalizzata di sfiducia e paura.
I genitori stanno tenendo i figli a casa dalle scuole e dalle università, per paura di altre esplosioni. Varie organizzazioni libanesi hanno raccomandato ai loro appartenenti di rimuovere le batterie da tutti i loro sistemi di comunicazione. Dopo che mercoledì alcuni walkie-talkie erano esplosi durante i funerali, le attività pubbliche di questo tipo sono state interrotte. L’autorità che si occupa dell’aviazione civile ha vietato i cercapersone e i walkie-talkie sugli aeroplani. Alcune persone hanno detto che lasciano il proprio smartphone in una stanza della casa diversa da quella in cui dormono. Una donna ha raccontato di aver disconnesso perfino la radiolina con cui controlla il proprio bambino neonato quando dorme.
La zia di Muhammed Kanj, il bambino di 11 anni ucciso, mercoledì era al funerale del nipote quando ha detto al Washington Post, indicando gli smartphone di molte delle persone presenti: «Non sappiamo cosa esploderà dopo». Poco dopo, in mezzo alla folla, è esploso un walkie-talkie.