Cosa vuole ottenere Israele con gli attacchi esplosivi in Libano?
A parte indebolire Hezbollah e terrorizzare la popolazione libanese, non è chiaro se siano la fase preparatoria di un'operazione militare più ampia
L’operazione con cui tra martedì e mercoledì sono stati fatti esplodere migliaia di cercapersone e walkie-talkie in possesso di membri del gruppo Hezbollah in Libano è eccezionale sotto molti punti di vista. Per la sua estensione, per la sua efficacia, per il modo in cui è riuscita a sorprendere la leadership di Hezbollah e in cui ha generato panico e terrore nella popolazione libanese. È eccezionale anche per il modo indiscriminato in cui è stata messa in atto: in pieno giorno, e con poca o nessuna considerazione per le conseguenze sulla popolazione civile, che si sono poi rivelate molto gravi.
Benché il governo israeliano – come sempre – non abbia né confermato né smentito, nessuno ha dubbi che le esplosioni degli scorsi due giorni in Libano siano opera di Israele, come hanno confermato ai media molte fonti anonime dentro ai servizi d’intelligence. Al momento tuttavia, benché gli obiettivi immediati delle esplosioni siano piuttosto chiari – paralizzare la struttura operativa di Hezbollah, colpirne quanti più membri possibile, generare terrore e incertezza tra i ranghi del gruppo – non si sa ancora quali siano gli obiettivi strategici di questa operazione, né perché Israele l’abbia messa in atto proprio adesso, in un momento eccezionalmente fragile e pericoloso per tutto il Medio Oriente. Ci sono però delle ipotesi, alcune delle quali molto preoccupanti.
Martedì pomeriggio, verso le 15 e 30, in tutto il Libano hanno cominciato a esplodere migliaia di cercapersone che erano in possesso di membri di Hezbollah. I cercapersone, è stato ricostruito in seguito, erano stati manomessi dall’intelligence israeliana tramite una complessa operazione, in maniera tale da inserire in ciascuno degli oltre 3.000 apparecchi una piccola ma potente carica di esplosivo attivabile a distanza.
Martedì pomeriggio l’intelligence israeliana ha attivato i cercapersone manomessi, che hanno cominciato a esplodere tutti assieme, generando scompiglio e terrore. Secondo alcune ricostruzioni, immediatamente prima dell’esplosione l’intelligence israeliana aveva inviato notifiche ai cercapersone per fare in modo che i membri di Hezbollah li prendessero in mano e li avvicinassero al viso per vedere il messaggio. In altri casi, i cercapersone sono esplosi nelle tasche o nelle borse dei loro possessori.
Benché la carica di esplosivo all’interno degli apparecchi fosse piccola, è stata comunque molto distruttiva: martedì 12 persone sono state uccise e più di 2.000 ferite. Secondo stime delle autorità libanesi ci sono più di 500 feriti molto gravi, che devono essere sottoposte a operazioni chirurgiche urgenti. Molte persone hanno perso una o entrambe le mani, o sono state ferite agli occhi, proprio perché quando è avvenuta l’esplosione stavano guardando i messaggi sul cercapersone.
Ghassan Abu Sitta, un chirurgo plastico che lavora in uno degli ospedali di Beirut, la capitale, ha detto al Wall Street Journal: «Ci sono migliaia di giovani uomini con ferite praticamente identiche che provocheranno disabilità permanenti. Queste ferite coinvolgono le mani e uno o entrambi gli occhi». Operazioni alle mani e agli occhi, peraltro, sono molto delicate, e in Libano non ci sono abbastanza chirurghi esperti per curare tutti i feriti.
Non è chiaro quanti tra i morti e i feriti fossero membri di Hezbollah e quanti no, ma si sa che tra i morti ci sono almeno due bambini (che poi sono diventati quattro con la seconda ondata di attacchi, mercoledì). Il fatto è che le esplosioni sono avvenute in pieno giorno, mentre i possessori dei cercapersone erano in giro in città, facevano compere, erano in bicicletta o in automobile con le proprie famiglie. Hezbollah, benché sia noto soprattutto come un gruppo paramilitare, è anche un’organizzazione civile estremamente ramificata: gestisce un partito politico, ospedali, cliniche, e moltissime strutture civili che hanno ruoli rilevanti in molte parti del Libano. Per questo non tutti i suoi membri sono combattenti, e molti conducono una vita normale, magari senza che nemmeno i loro vicini di casa sappiano dell’appartenenza all’organizzazione.
Anche per questo le migliaia di esplosioni simultanee hanno generato panico tra la popolazione del Libano e il paese si è praticamente paralizzato. È poi seguita un’isteria generale per la possibilità che altri apparecchi elettronici, oltre ai cercapersone, potessero esplodere. I libanesi hanno spento i telefoni, staccato le televisioni, cercato in ogni modo di proteggersi da possibili nuove minacce.
Nonostante questo mercoledì sono cominciate nuove esplosioni simultanee, che questa volta hanno coinvolto soprattutto i walkie-talkie, sempre in dotazione a membri di Hezbollah. Ci sono stati altri 20 morti e centinaia di feriti.
Questa operazione è stata giudicata da molti esperti come eccezionale a livello operativo, soprattutto per il modo in cui Israele è riuscito a piazzare migliaia di apparecchi manomessi nelle mani di membri di Hezbollah con mesi di anticipo (il grosso dei dispositivi sarebbe stato consegnato quest’estate) e poi a farli esplodere quasi simultaneamente.
Al tempo stesso non sono chiari gli obiettivi strategici che Israele ha voluto raggiungere.
Anzitutto l’operazione è stata indiscriminata, in una maniera che molti hanno giudicato provocatoria. Gli apparecchi esplosi erano effettivamente in possesso di membri di Hezbollah, un gruppo con cui Israele è in conflitto da decenni. Al tempo stesso, la scelta di farli esplodere in pieno giorno, sebbene abbia massimizzato i danni contro i membri del gruppo, ha anche portato all’uccisione e al ferimento di molte persone che con Hezbollah non avevano niente a che fare, e ha terrorizzato la popolazione civile.
L’ipotesi è che Israele abbia attivato l’attacco proprio adesso perché la sua operazione rischiava di essere scoperta. I cercapersone e i walkie-talkie manomessi erano in possesso dei membri di Hezbollah ormai da mesi, e sarebbe bastato che anche un solo apparecchio esplodesse per errore, o magari fosse aperto per una riparazione, per scoprire la presenza delle cariche esplosive, destare sospetti e far mandare a monte tutta l’operazione.
Ma anche se Israele fosse stato spinto a mettere in atto l’attacco tramite i cercapersone dalle contingenze, non è davvero chiaro quali fossero i suoi obiettivi fin da principio.
Questa azione estesa e provocatoria in Libano è avvenuta in un momento delicatissimo e pericoloso in tutta la regione: dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza il rischio di una guerra tra Israele ed Hezbollah e il suo principale alleato, l’Iran, si è fatto sempre più alto. Da mesi Hezbollah lancia razzi e missili oltre il confine con Israele, colpendo il nord del paese, mentre Israele risponde con bombardamenti, attacchi con droni e omicidi mirati. In questo contesto un attacco come quello di martedì e mercoledì, che ha provocato migliaia di esplosioni potenti in pieno giorno e in luoghi affollati, sembra avere l’intento di incitare il conflitto, anziché placarlo.
Mercoledì, dopo la prima ondata di attacchi, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto che la guerra di Israele è entrata in una «nuova fase», e che le forze armate intendono concentrarsi maggiormente sul Libano per cercare di mettere in sicurezza la parte nord di Israele.
A causa dei bombardamenti reciproci che vanno avanti da mesi, decine di migliaia di israeliani che abitavano vicino al confine con il Libano sono stati costretti a lasciare le proprie case, e lo stesso hanno dovuto fare decine di migliaia di libanesi dall’altro lato della frontiera. Gallant ha detto che Israele intende riportare i propri cittadini nelle loro case, e che il modo per farlo è tramite l’azione militare.
Molti osservatori, anche dentro all’amministrazione statunitense di Joe Biden, temono che l’attacco tramite i cercapersone sia la prima fase di una nuova operazione militare israeliana contro il Libano, o perfino di un’invasione del paese. In questo senso, ritengono che l’attacco di martedì e mercoledì sia una provocazione per costringere Hezbollah a una risposta spropositata, e trascinare il gruppo libanese in una guerra aperta, o comunque in un conflitto più distruttivo di quello già in corso: «Questa non è un’operazione singola, è un’operazione che potrebbe far partire una guerra più ampia in Libano», ha detto al Washington Post Danny Yatom, un ex capo del Mossad, l’intelligence esterna israeliana.
Un’invasione israeliana del Libano tuttavia non sembra imminente, perché almeno da quelle che sono le informazioni attualmente disponibili le forze armate israeliane non hanno ancora messo in atto le preparazioni necessarie – in termini di mobilitazione di soldati e di mezzi – per l’invasione su larga scala di un altro paese.
Un’altra possibilità è che Israele speri che, dopo un attacco così devastante che ha colpito migliaia di suoi membri e che è di fatto la più grande falla di sicurezza della sua storia, Hezbollah rinunci almeno temporaneamente ai propri attacchi e accetti di ritirarsi dal confine con Israele, come richiesto da tempo dagli israeliani. Al momento è piuttosto improbabile che questo succeda.
Secondo le stime più accreditate Hezbollah dispone di 150 mila tra razzi e missili in grado di raggiungere Israele, e ha un esercito di 30 mila soldati, molti dei quali veterani della guerra civile siriana. Vari esponenti del gruppo hanno già detto che ci sarà una risposta all’attacco israeliano.
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