Da dove arrivavano i cercapersone e i walkie-talkie esplosi in Libano
Per i primi c'entrano un'azienda taiwanese e un intermediario ungherese, mentre i secondi potrebbero essere contraffazioni di un vecchio modello giapponese
Martedì e mercoledì in Libano sono esplosi migliaia di cercapersone e walkie-talkie usati da membri di Hezbollah: più di 30 persone sono state uccise, e migliaia sono state ferite. Gli attacchi sono stati compiuti da Israele, che però finora non ha commentato (come spesso accade: è piuttosto raro che rivendichi attacchi di questo tipo). I dispositivi sono esplosi simultaneamente in diverse parti del paese, tra cui la capitale Beirut e la valle della Beqaa, nella parte orientale del Libano: i cercapersone sono esplosi martedì verso le 15:30, ora locale, e i walkie-talkie mercoledì verso le 17.
L’ipotesi più concreta, sostenuta da fonti di intelligence statunitensi e dalle autorità libanesi, è che i cercapersone fossero stati alterati prima della distribuzione per inserirvi all’interno piccole quantità di esplosivo. È possibile che la stessa tecnica sia stata usata anche con i walkie-talkie. Le indagini si stanno quindi concentrando sulla provenienza dei dispositivi per capire come sia avvenuta la manomissione.
I cercapersone avevano il marchio dell’azienda taiwanese Gold Apollo ed erano il modello AR924. Il presidente della società Hsu Ching-Kuang ha detto però ai giornalisti che i dispositivi non erano stati prodotti direttamente dalla Gold Apollo, ma il processo era stato appaltato a una società ungherese, la BAC Consulting.
Hsu ha detto che circa due anni fa la sua azienda fece un accordo con la BAC per permetterle di usare il proprio marchio e ricevere in cambio una parte dei profitti: «Quei prodotti [esplosi in Libano] non sono nostri. Ci attaccano sopra il nostro marchio», ha detto. «Noi forniamo solo l’autorizzazione all’uso del marchio, ma non siamo coinvolti nella progettazione o nella produzione» dei cercapersone usati da Hezbollah.
La BAC Consulting fu fondata nel 2022 e ha sede a Budapest. L’amministratrice delegata è Cristiana Bársony-Arcidiacono, una donna di 49 anni che nel suo profilo LinkedIn scrive di aver studiato in varie prestigiose scuole britanniche, tra cui la University College di Londra (UCL), dove avrebbe ottenuto un dottorato in fisica delle particelle. Finora solo NBC è riuscita a contattare Bársony-Arcidiacono: al telefono ha detto di essere «solo un’intermediaria», e di non avere quindi responsabilità sulla produzione dei cercapersone: «credo vi stiate sbagliando».
– Leggi anche: I cercapersone spiegati a chi non li ha mai visti
Anche il governo ungherese del primo ministro Viktor Orbán ha detto di non avere niente a che fare con la produzione dei dispositivi, dicendo che questi non sono mai entrati in territorio ungherese e che BAC Consulting è un «intermediario commerciale» senza alcun sito operativo o produttivo nel paese. Zoltán Kovács, un portavoce del governo, ha aggiunto che la questione «non rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale» dell’Ungheria.
Parlando con il New York Times Hsu, il presidente di Gold Apollo, ha detto che in passato (senza specificare quando) c’era stato uno «strano» incidente con BAC: una banca taiwanese sospese un bonifico inviato da BAC perché ritenuto sospetto. Secondo Hsu è possibile che il pagamento arrivasse da una banca di un paese del Medio Oriente ma non ha detto quale.
Secondo tre agenti di intelligence che hanno parlato col New York Times, BAC era in realtà una società di facciata creata dai servizi segreti israeliani proprio per produrre cercapersone per Hezbollah. L’identità degli agenti israeliani che l’hanno creata sarebbe stata tutelata da almeno altre due società fittizie. Secondo gli agenti che hanno parlato col giornale, rimasti anonimi, l’azienda avrebbe anche prodotto dispositivi normali per altri clienti, ma il suo vero obiettivo erano quelli da mandare a Hezbollah, che sarebbero stati prodotti separatamente e riempiti del composto esplosivo PETN.
– Leggi anche: Israele ha una lunga storia di attacchi non convenzionali
I walkie-talkie esplosi mercoledì avevano invece il marchio della società giapponese Icom, con sede a Osaka, ed erano del modello IC-V82. La società ha detto che la produzione di quei dispositivi iniziò nel 2004, ma fu poi sospesa nell’ottobre del 2014. In quel periodo i walkie-talkie furono spediti in molti paesi, tra cui alcuni in Medio Oriente, ma la produzione e la distribuzione sono completamente fermi da dieci anni. Anche la produzione di batterie per quel particolare modello è stata interrotta.
Per questo, secondo la compagnia, ormai «quasi tutti» i walkie-talkie modello IC-V82 in circolazione sono contraffatti, un problema che Icom segnala da tempo. La società ha detto che i dispositivi esplosi mercoledì non avevano l’adesivo che viene sempre apposto sui prodotti originali per provare la loro autenticità. L’azienda non ha spiegato come è arrivata a questa conclusione.
In un comunicato Icom ha detto che tutti i suoi dispositivi sono prodotti in Giappone, in uno stabilimento nel distretto di Wakayama, e non vengono utilizzati componenti importati dall’estero. Molti dei prodotti contraffatti, sempre secondo Icom, hanno la scritta “Made in China”.