Iniziare a recitare come Harry, Ron e Hermione
Come hanno fatto Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint a liberarsi dei loro ruoli in "Harry Potter", ora che sono aperti nuovi casting per la serie tv
A settembre il canale via cavo HBO ha iniziato la ricerca di due attori e un’attrice che interpretino Harry Potter, Ron Weasley e Hermione Granger nella serie tv che adatterà nuovamente i romanzi della saga di J. K. Rowling. Gli ultimi provini per questi tre ruoli risalgono al 2000, quando iniziò la produzione dell’adattamento del primo romanzo: la trasposizione in film dell’intera saga sarebbe durata per i successivi 10 anni, cambiando drasticamente le vite dei tre giovani attori. Finito il lavoro ai film di Harry Potter, Rupert Grint (Ron Weasley), Emma Watson (Hermione Granger) e Daniel Radcliffe (Harry Potter) hanno avuto carriere e vite diverse tra di loro, e ognuno a modo proprio ha provato a liberarsi dal suo personaggio.
In molti casi infatti, chi si trova a interpretare a lungo ruoli molto amati e iconici rischia di rimanere incastrato di quelle parti e di non riuscire ad avere una carriera che vada al di là. Grint, Radcliffe e Watson invece, anche se non senza difficoltà, sono riusciti a sviluppare un’identità attoriale autonoma. Il primo passo, per tutti e tre, è stato studiare recitazione.
Come hanno raccontato separatamente in diverse interviste, quando a circa 11 anni sono stati scelti per i ruoli in Harry Potter, senza sapere che sarebbe stata una saga molto lunga ma conoscendo già il successo dei romanzi, non avevano grandi esperienze di recitazione. Radcliffe era l’unico a essere stato su un set professionale, in due casi: per il ruolo di David nella serie tv David Copperfield e per una parte in un adattamento di Il sarto di Panama di John le Carré. Gli altri due erano esordienti; li fece diventare attori Chris Columbus, il regista dei primi due film che già aveva diretto Mamma, ho perso l’aereo, un altro film che diede al bambino protagonista, Macaulay Culkin, una notorietà di cui non si è più liberato.
In seguito, lungo gli anni, i tre protagonisti sono cresciuti sul set, non facevano altro se non girare e poi prendere parte alla promozione dei film, finita la quale iniziavano le riprese del successivo. È stata, per dieci anni (tra gli 11 e i 21), la loro quotidianità: oggi raccontano come alla fine non recitassero neanche più un personaggio ma se stessi, con gli alti e bassi dei periodi che attraversavano al tempo delle riprese. Finita la saga (o alcuni casi anche durante), hanno dovuto imparare cosa significhi interpretare un personaggio che è altro da sé.
Nel 2011, quando è uscito l’ultimo film Harry Potter e i Doni della Morte – Parte 2, Radcliffe, Grint e Watson avevano circa 21 anni, erano famosissimi, e avevano davanti a sé qualsiasi possibilità, potevano scegliere qualsiasi progetto e gli sarebbe probabilmente stato concesso. Sapevano anche che questo non voleva dire che sarebbe andato bene, e che sarebbero stati accettati dai fan anche in altri ruoli. Ma potevano anche non fare niente. A quel punto infatti il patrimonio che avevano accumulato era superiore a quello che in una carriera intera riescono a mettere da parte molti attori inglesi di buona notorietà, una cifra che sta (a seconda dell’importanza) tra i 50 e i 100 milioni di euro.
È stato Radcliffe, cioè Harry Potter, a dover lavorare di più per crearsi una carriera autonoma e capire di che tipo potesse essere (nel cinema d’autore o in quello commerciale, nei franchise, nei film d’amore o in quelli d’azione, come comprimario o protagonista…). Dei tre però era anche quello che aveva lavorato di più al di fuori della saga negli anni in cui la giravano. Era riuscito, a 17 anni, a recitare in Equus, uno spettacolo teatrale che fece parlare perché a un certo punto Radcliffe era in scena nudo con un cavallo, e aveva girato un paio di film. Il primo che fece dopo Harry Potter fu un horror gotico vecchio stampo, The Woman in Black. Per Emma Watson ci fu prima una piccola parte in un film biografico su Marilyn Monroe e poi subito un buon successo con Noi siamo infinito, film per ragazzi ben scritto e molto riuscito in cui era protagonista al pari di Logan Lerman e Ezra Miller. Rupert Grint invece fu protagonista di Prigionieri del ghiaccio, film di scarsissima notorietà in cui interpretava un aviatore della Seconda guerra mondiale.
Proprio Rupert Grint è dei tre quello che ha più faticato a trovare una strada e una carriera a un livello proporzionato al suo inizio. Per avere un’idea di cosa volesse dire lavorare a Harry Potter, Grint era arrivato a 21 anni senza mai essersi operato alle tonsille, nonostante ne avesse bisogno almeno dal 2005, con tutti i problemi e le continue malattie che ne derivano. Questo perché l’intervento lo avrebbe tenuto fermo e senza poter parlare per un tempo che la pianificazione della promozione e delle riprese di Harry Potter non avrebbe consentito. Non lo aiutò a farsi una carriera nuova il fatto che proprio in contemporanea stava emergendo anche Domhnall Gleeson, attore irlandese noto per Ex Machina e Questione di tempo, molto bravo e molto simile per i colori e più in generale per l’aspetto (quindi in gara per i medesimi ruoli), la cui carriera era cominciata negli anni Dieci. Grint ha recitato quindi in diversi film di scarso successo, ha fatto il doppiatore a lungo e a un certo punto veniva preso spesso per serie tv inglesi che tuttavia non uscivano dal Regno Unito e, se lo facevano, non con la risonanza che hanno di solito le grandi serie internazionali. Solamente quando nel 2019 M. Night Shyamalan l’ha scelto per la sua serie Servant, qualcosa è cambiato. La serie è terminata nel 2023 e Shyamalan l’ha poi voluto per un suo film, Bussano alla porta (non proprio un successone). Al momento, per la prima volta, ha un’occasione reale di cominciare una carriera autonoma.
La strada che Grint aveva preso inizialmente era più o meno la stessa di Radcliffe. L’idea era di non trovare un ruolo paragonabile a quello di Harry Potter per levarsi quell’immagine, ma impiegarsi in una tale varietà di parti strane, originali, assurde e anche grottesche da associare se stesso a ciò che è poco convenzionale. Grint non ci è mai davvero riuscito, e forse non ha avuto la possibilità di provarci veramente. Invece Radcliffe, dopo il film dell’orrore gotico, ne aveva fatto uno più impegnato in cui interpretava Allen Ginsberg; poi Horns, in cui gli crescevano delle corna da caprone in testa; era stato Igor in un brutto adattamento moderno di Frankenstein; un cadavere che emette flatulenze in Swiss Army Man; un trafficante di droga in Beast of Burden e un uomo a cui attaccano due pistole alle mani con dei chiodi in Guns Akimbo. Lo stesso Radcliffe ha raccontato che a un certo punto si era sparsa la voce che qualsiasi ruolo strano, rischioso, fuori dagli schemi e anche scemo lui lo avrebbe accettato.
Emma Watson invece è l’unica che ha avuto subito successo: si è liberata in fretta del suo ruolo in Harry Potter. Dopo Noi siamo infinito, fu la protagonista di The Bling Ring di Sofia Coppola (presentato a Cannes) e già dopo quello poté recitare in un film demenziale come Facciamola finita nei panni di se stessa. A quel punto, dopo soli tre film, fu presa per ruoli in produzioni grandissime come Noah di Darren Aronofsky, l’adattamento live-action di La bella e la bestia della Disney e un film di fantascienza con Tom Hanks (The Circle). Nel 2019, dopo una delle parti principali nella fortunata versione di Greta Gerwig di Piccole donne (l’ingaggio che ha preceduto Barbie), Emma Watson decise però di smettere temporaneamente di recitare.
Come raccontò all’edizione inglese di Vogue, la ragione era un desiderio di non prendere più parte a progetti di cui poi doveva rendere conto. Un’attrice o un attore non hanno controllo sul film che scelgono, lo approvano sulla carta ma poi si trovano, in sede di promozione e nelle interviste, a rispondere a domande e a rendere conto all’opinione pubblica di scelte fatte da chi il film l’ha prodotto o diretto, e con cui non hanno niente a che vedere. Allineare le proprie prese di posizione (Watson è stata molto attiva nel promuovere diverse cause, prima di tutto quella femminista) a quelle di alcuni film a cui aveva partecipato, le aveva infatti creato dei problemi. Non ha precisato quali ma è noto che sia Watson che Grint che Radcliffe hanno dovuto più volte rispondere a domande riguardo alla battaglia di J. K. Rowling contro le persone trans, che nessuno dei tre condivide. Sospesa la carriera da attrice, ha preso un master in scrittura per il cinema a Oxford, ha scritto un copione teatrale e ha anche diretto degli spot pubblicitari per Prada. Oltre a questo, ha cominciato a fare l’imprenditrice investendo in diverse startup (e nell’azienda del fratello che produce un gin in Borgogna) e ci sono voci su suoi possibili nuovi ingaggi come attrice.
Il disagio di Watson è una manifestazione del problema che tutti e tre hanno avuto nel creare una propria identità pubblica, essendo abituati fin da piccoli a essere riconosciuti ovunque e a scatenare il panico tra i moltissimi fan solo con la loro presenza. Daniel Radcliffe ha raccontato all’Atlantic che durante la lavorazione di Harry Potter, quando era adolescente, aveva sviluppato un problema di alcol proprio perché voleva crearsi un’identità e riteneva che bere avrebbe contribuito a connotarlo come il tipo di personaggio maledetto che voleva essere. Ancora oggi, aveva raccontato, se guarda i film girati in quella fase, come Harry Potter e il principe mezzosangue, nota che la sua recitazione è fuori fase e sembra stare altrove: «Dietro quello sguardo sembro in realtà morto, e sono sicuro che era una conseguenza del bere».
Oggi la fase dei ruoli “strani” sembra quasi terminata, o almeno normalizzata. Daniel Radcliffe è un attore che può recitare in un film con Sandra Bullock e Channing Tatum come The Lost City (in cui fa uno strano antagonista sopra le righe) o essere Weird Al Yankovic, un comico americano demenziale noto per le canzoni parodia che faceva negli anni ’80 e ’90, nel film comico sulla sua vita, Weird: The Al Yankovic Story. E, nonostante per molto tempo non volesse per nessuna ragione ricominciare un franchise (cioè il tipo di film che si prevede possa essere sfruttato in serie), è finito nella serie di film sui prestigiatori Now You See Me, di cui uscirà un terzo film l’anno prossimo. Di fatto è riuscito a non essere più per forza identificato ogni volta con Harry Potter anche se è il primo a sapere che quella cosa non lo lascerà mai: «Io lo so che quando morirò gli articoli inizieranno tutti con “Harry Potter” e va bene così».