La nomina di Raffaele Fitto alla Commissione Europea è una vittoria per Giorgia Meloni?
Rispetto al ruolo avuto fin qui da Fratelli d'Italia in Europa sì, ma le questioni di cui potrà occuparsi non sono poi così centrali
Martedì Ursula von der Leyen ha annunciato la composizione della Commissione Europea di cui è presidente, e che resterà in carica per i prossimi cinque anni. L’attribuzione delle deleghe e la ripartizione degli incarichi (che ora dovranno essere confermati dal Parlamento Europeo) hanno aperto come sempre un dibattito tra politici e commentatori: in particolare in Italia ci si è concentrati sul ruolo assegnato a Raffaele Fitto, ministro dimissionario per gli Affari europei nel governo di Giorgia Meloni. Fitto ha ricevuto la nomina di vicepresidente esecutivo con competenze su Riforme e Coesione, e la domanda è: il governo italiano ha ottenuto tanto o poco, nel negoziato con von der Leyen?
È una domanda che coglie solo in parte la complessità di una nomina del genere, ma tentare di rispondere può aiutare a capire, al di là delle inevitabili semplificazioni giornalistiche, che ruolo potranno avere Fitto e l’Italia nel più importante organismo esecutivo dell’Unione Europea di qui al 2029.
A guardare la composizione complessiva della Commissione, gli incarichi di Fitto appaiono come un buon risultato, soprattutto se si pensa al ruolo politico marginale svolto dal gruppo di cui Fratelli d’Italia fa parte, i Conservatori e riformisti europei (ECR). È un gruppo che riunisce partiti di destra sovranista, in sostanziale contrasto con la linea seguita negli ultimi anni dalla Commissione di von der Leyen. Al tempo stesso, però, le deleghe che Fitto dovrà gestire lo rendono piuttosto ininfluente rispetto ad alcune importanti questioni che l’Unione Europea si troverà ad affrontare nei prossimi anni, dalla Difesa alla Concorrenza fino alla Competitività industriale, e abbastanza defilato rispetto alle principali questioni economiche e finanziarie intorno a cui si svilupperà gran parte del dibattito tra gli Stati membri.
Congratulazioni a @RaffaeleFitto per la nomina a Vice Presidente Esecutivo della Commissione europea con delega alla Coesione e alle Riforme. Un riconoscimento importante che conferma il ritrovato ruolo centrale della nostra Nazione in ambito UE.
L’Italia torna finalmente… pic.twitter.com/Gnw72y4bWc
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) September 17, 2024
Meloni ha celebrato con un post sui social network la nomina di Fitto, dicendo che «l’Italia torna finalmente protagonista in Europa». Il suo staff ha poi diffuso un comunicato alle agenzie di stampa che diceva che l’incarico assegnato a Fitto «ha un valore politico molto importante che conferma la centralità dell’Italia in ambito europeo», e che le politiche di coesione valgono nel complesso 378 miliardi di euro nel periodo che va dal 2021 al 2027. Sono i fondi europei che vengono stanziati ogni sette anni per finanziare progetti di sviluppo nelle aree meno progredite del continente: all’Italia sono indirizzati circa 43 miliardi, quasi tutti per le regioni del Sud.
Da questo punto di vista la nomina di Fitto è un risultato positivo, specie sul piano politico. Von der Leyen ha deciso di promuovere Fitto tra i sei vicepresidenti esecutivi, quelli cioè che avranno la responsabilità di coordinare e indirizzare l’attività di altri commissari, nonostante questa ipotesi fosse stata contestata dai gruppi di centro (i liberali di Renew) e di sinistra (i Socialisti) che fanno stabilmente parte della maggioranza europeista al Parlamento Europeo. La polemica, in questo senso, era nata anche perché Fratelli d’Italia il 18 luglio scorso aveva deciso di votare contro la nomina di von der Leyen a presidente della Commissione.
Inoltre Fratelli d’Italia, come un po’ tutti i membri di ECR, è tradizionalmente contraria alla revisione dei trattati e al superamento del principio dell’unanimità, che dà ai leader nazionalisti dell’Europa dell’Est (uno su tutti: l’ungherese Viktor Orbán) la facoltà di mettere il veto su molte proposte unitarie e impedire così il progresso dell’integrazione europea. Per queste ragioni, sia Renew sia i Socialisti nei giorni scorsi avevano contestato l’intenzione di von der Leyen di assegnare una vicepresidenza a Fitto.
Lei però ha saputo mediare con abilità concedendo ai Socialisti quel che chiedevano, e cioè un potenziamento notevole delle deleghe della loro principale esponente nella Commissione, la spagnola Teresa Ribeira, nominata vicepresidente con responsabilità sulla Transizione industriale e la Competitività (è la candidata che esce maggiormente rafforzata dalla trattativa). Fitto è stato incluso a quel punto nel gruppo dei sei vicepresidenti, scelti per garantire diversi equilibri politici, territoriali e di genere, come ha spiegato la stessa von der Leyen in conferenza stampa. Del gruppo fanno parte quattro donne e due uomini, per ribaltare la composizione dei 27 commissari, dove invece gli uomini sono il 60 per cento; tre sono in rappresentanza di Stati dell’Europa occidentale, tre invece dell’Europa orientale che si unirono all’UE dopo la caduta del regime sovietico. Quanto al peso politico riconosciuto a Fitto, von der Leyen ha detto che l’ingresso di un esponente dei Conservatori nel gruppo dei vicepresidenti segue la struttura del Parlamento Europeo, dove 2 dei 14 vicepresidenti dell’assemblea sono stati scelti tra europarlamentari di ECR.
Al di là della retorica, la promozione di Fitto tra i vicepresidenti segnala due cose: che von der Leyen non vuole precludersi un dialogo con le forze meno estreme del blocco sovranista che fa capo a ECR, mostrandosi dunque pronta a spostarsi a destra su alcuni temi specifici, se sarà necessario; e che in un momento di debolezza dei governi francese e tedesco, von der Leyen non rinuncia ad avere un buon rapporto con l’Italia e la sua presidente del Consiglio. In questo senso, per Meloni sarà facile confutare le tesi di chi paventava un isolamento dell’Italia dopo la scelta del principale partito di governo, Fratelli d’Italia appunto, di non votare la nomina di von der Leyen a capo della Commissione. Anche perché la vicepresidenza mette Fitto, almeno formalmente, in una posizione gerarchica superiore a quella che ha avuto tra il 2019 e il 2024 Paolo Gentiloni nella precedente Commissione, dove il dirigente del Partito Democratico espresso dal secondo governo di Giuseppe Conte, di centrosinistra, aveva la delega agli Affari economici.
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Sul piano operativo, dalla “Mission Letter”, cioè la lettera con cui la presidente della Commissione specifica a ciascun commissario i dettagli dell’incarico assegnato, si capisce che Fitto, come vicepresidente, potrà dire la sua anche sui settori del turismo, della pesca e dell’agricoltura, delle politiche abitative e dello sviluppo delle aree interne; interverrà sulle questioni che riguardano l’allargamento dell’Unione ad altri paesi (quelli dei Balcani occidentali e l’Ucraina), sulla conversione dei sistemi industriali dei paesi dell’Est, che devono rendersi indipendenti dall’economia e dall’influenza della Russia, e sulla blue economy cosiddetta (cioè lo sviluppo delle tecnologie che sfruttano le risorse dei mari e degli oceani per favorire crescita e sviluppo economico).
Su tutte queste questioni, Fitto avrà una sorta di potere di vigilanza e di coordinamento, dovendo collaborare con gli altri commissari direttamente responsabili di ciascuna delle materie. Lo stesso vale per l’attuazione del NextGenerationEU, il grande piano di investimenti e riforme finanziato con fondi comuni europei che scadrà nel 2026 e da cui dipendono i piani di ripresa dei vari Stati membri, come il PNRR italiano: su questa materia, però, von der Leyen specifica che Fitto dovrà lavorare insieme al commissario all’Economia e alla Produttività, il lettone Valdis Dombrovskis, e questo lascia presagire che il ruolo del commissario italiano sarà abbastanza secondario.
Dombrovskis ha già gestito grossa parte delle deleghe sul NextGenerationEU (insieme a Gentiloni) nei cinque anni passati da vicepresidente esecutivo della Commissione, ed essendo stato confermato come il principale commissario sulle materie economiche e finanziarie avrà un controllo molto più diretto rispetto a Fitto delle direzioni generali, cioè le strutture dei funzionari e degli uffici tecnici, che si occuperanno dei piani di ripresa (in particolare, la direzione generale sugli Affari economici e la direzione generale Recovery).
Quanto alle deleghe esclusive di Fitto, forse sono l’aspetto meno positivo della sua nomina.
Von der Leyen, nel descrivere il suo mandato, ha detto che ricalcherà in tutto e per tutto quello svolto tra il 2019 e il 2024 dalla portoghese Elisa Ferreira, che non ha avuto affatto un ruolo di primo piano nella Commissione uscente. Quello di Fitto è un ruolo per certi versi agevole dal punto di vista politico: dovrà sovrintendere all’attribuzione dei fondi ai vari Stati membri, anche se non c’è una grossa discrezionalità in queste procedure, che seguono nella maggioranza dei casi procedimenti abbastanza prestabiliti. Per questo, l’enfasi con cui lo staff di Meloni ha descritto la delega alle Politiche di coesione come «un interesse nazionale primario» è un po’ eccessiva: difficilmente Fitto potrà sbloccare o attribuire nuovi fondi all’Italia, che del resto ha strutturali difficoltà nell’assorbire quelle risorse e nel realizzare gli investimenti connessi per problemi burocratici.
Di certo l’incarico gli garantirà ulteriore visibilità in Italia, in particolare nel Sud che lui conosce molto bene: di fatto, da Bruxelles Fitto si occuperà di molte questioni che seguiva già dal suo ufficio di Roma, dove gestiva per il governo proprio le Politiche di coesione e per il Sud. Lo si vedrà verosimilmente spesso in giro per le città del meridione a inaugurare infrastrutture e a presentare progetti finanziati dall’Unione Europea. Al tempo stesso, però, il rilievo politico del suo incarico è piuttosto scarso rispetto alle faccende diplomatiche, economiche e industriali che costituiscono tradizionalmente la parte fondamentale dell’azione della Commissione.
In più, contrariamente alle aspettative del governo italiano, nelle deleghe attribuite a Fitto mancano del tutto quelle di carattere economico. Sia quelle relative al NextGenerationEU, su cui l’Italia sperava di avere maggiore voce in capitolo per ottenere un prolungamento del PNRR oltre la metà del 2026, sia quelle che hanno a che fare col bilancio, su cui avrà competenza esclusiva il commissario polacco Piotr Serafin, diplomatico di lungo corso molto vicino al primo ministro Donald Tusk. Questa delega si rivelerà con ogni probabilità decisiva fin dal prossimo anno, e poi soprattutto nel 2026, quando si dovrà discutere del nuovo bilancio settennale dell’Unione, nel quale verrà definito il ciclo di programmazione economica. In quell’occasione verrà stabilito quanti soldi destinare alle varie voci, quanti miliardi stanziare per i fondi di coesione, e come ripartire questa cifra tra i singoli Stati membri per il periodo tra il 2028 e il 2034.
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