Ursula von der Leyen ha sempre più potere
Dopo le polemiche dimissioni di Thierry Breton, tutti i principali critici della presidente della Commissione non sono stati confermati per un secondo mandato
Lunedì le dimissioni a sorpresa del commissario europeo uscente per il Mercato interno e i Servizi, Thierry Breton, hanno riaperto nell’Unione Europea un dibattito sul secondo mandato di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Europea e sullo stile con cui gestisce le relazioni politiche. Le discussioni si sono concentrate sul modo in cui la presidente, dopo la sua riconferma avvenuta a luglio, ha costruito la nuova Commissione, la cui composizione definitiva è stata annunciata martedì.
Breton, che era stato riproposto dalla Francia per un secondo mandato come commissario, si è dimesso accusando von der Leyen di aver chiesto al presidente francese Emmanuel Macron di ritirare il suo nome per «ragioni personali che non sono mai state discusse direttamente con me». In cambio avrebbe proposto alla Francia di dare più poteri al nuovo commissario.
Né la Commissione né von der Leyen hanno commentato le accuse di Breton, ma molte ricostruzioni di giornali specializzati in politica europea, fra cui Politico, hanno più o meno dato ragione all’ex commissario, confermando che von der Leyen avrebbe chiesto l’esclusione di Breton dalla nuova Commissione: il fatto è stato interpretato come un segnale che la presidente stia cercando di accrescere ancora di più il suo potere all’interno dell’Unione, facendo in modo che i suoi principali critici e i politici più noti e attivi, come Breton, non possano più ostacolarla.
Breton era uno dei membri più influenti della Commissione uscente, ed è sempre stato piuttosto esplicito nell’esprimere i suoi dubbi e le sue critiche sulla presidente: secondo quanto riportato da Politico, negli ultimi tempi i rapporti tra i due si erano gravemente deteriorati. Nella lettera in cui ha annunciato le sue dimissioni ha anche scritto che gli avvenimenti degli ultimi giorni sono «un’ulteriore prova di una governance discutibile» di von der Leyen.
Durante il suo primo mandato von der Leyen si è costruita la reputazione di essere una presidente molto accentratrice, che ha gestito questioni strategiche facendo affidamento su un piccolo gruppo di consiglieri fidati, in cui è molto difficile entrare a far parte. In questo contesto Breton era considerato un ostacolo: era uno dei più importanti e potenti commissari europei, un politico indipendente e allo stesso tempo il principale critico di von der Leyen interno alla Commissione.
Per questo motivo riconfermarlo, e dargli anche più poteri, avrebbe significato per von der Leyen dargli la possibilità di contrastarla quasi alla pari: secondo le ricostruzioni dei media, Macron era poco soddisfatto dell’attuale delega di Breton e nella prossima legislatura ne avrebbe voluta una più ampia per il commissario francese, accompagnata dal titolo di vice presidente esecutivo della Commissione.
Breton non è stato l’unico critico di von der Leyen a non essere stato riconfermato alla Commissione: non sono stati riproposti dai loro stati neanche l’Alto rappresentante per gli affari esteri uscente, lo spagnolo Josep Borrell, che fra le altre cose aveva pubblicamente criticato von der Leyen per la sua gestione della guerra tra Israele e Hamas, e il lussemburghese Nicolas Schmit, commissario uscente per l’Occupazione, gli Affari sociali e l’Integrazione. Ad aprile Schmit, Borrell e Breton, insieme al commissario uscente dell’Italia Paolo Gentiloni, avevano pubblicamente criticato la nomina dell’eurodeputato Markus Pieper a inviato speciale dell’Unione per le piccole e medie imprese. Pieper era stato scelto da von der Leyen, ma secondo i quattro la sua nomina aveva «sollevato interrogativi sulla trasparenza e l’imparzialità del processo».
Secondo Politico, sarebbe stato marginalizzato, sebbene in un contesto differente, anche Frans Timmermans, ex commissario per il Clima e vicepresidente esecutivo della Commissione per il Green Deal europeo, che ad agosto del 2023 si dimise per candidarsi, senza successo, come primo ministro alle elezioni nel suo paese, i Paesi Bassi. Timmermans, un Socialista, aveva spinto molto per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Unione inclusi nel Green Deal, il grande piano europeo per il contrasto alla crisi climatica. Aveva tuttavia incontrato una forte resistenza del Partito Popolare Europeo (PPE), di cui fa parte von der Leyen e i cui esponenti sono diventati sempre più cauti davanti alle proposte climatiche ambiziose dell’Unione.
Dopo le sue dimissioni il PPE ha continuato ad attaccarlo ma von der Leyen, che pure sostiene pubblicamente il Green Deal e lo definisce uno degli obiettivi principali del suo mandato, non l’ha mai difeso.