Giuseppe Conte e Beppe Grillo durante la manifestazione organizzata dal Movimento 5 Stelle contro il lavoro precario a Roma, il 17 giugno 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Da dove arriva la lite tra Conte e Grillo

Il presidente e il fondatore del M5S non si sono mai sopportati molto, e la pensano in maniera molto diversa su cosa fare per rilanciare il partito

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Da circa un mese il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e il fondatore del partito Beppe Grillo stanno litigando, mandandosi lettere e accuse reciproche. La lite riguarda la gestione del Movimento 5 Stelle e il progetto portato avanti da Conte per rilanciarlo. Grillo, che del M5S è anche il “garante”, non condivide alcune delle ipotesi su cui Conte sta sollecitando una discussione tra gli iscritti, in particolare la modifica del simbolo del partito e l’abolizione del vincolo dei due mandati, cioè il sostanziale divieto per i rappresentanti del M5S di avere per più di due volte incarichi elettivi nelle istituzioni.

Per Grillo da questi principi dipende l’ancoraggio del Movimento alla sua identità e ai suoi valori fondativi. Ma al di là delle questioni ideali, quello tra Conte e Grillo è uno scontro di potere in cui entrambi, in maniera diversa, vogliono garantirsi il controllo del partito. La discussione si sviluppava in maniera sotterranea da mesi, ma è emersa soprattutto dalla metà di agosto. Da allora va avanti pubblicamente con uno scambio pubblico di accuse, in attesa che l’assemblea costituente, cioè il processo rifondativo del M5S indetto da Conte, entri nella sua fase decisiva (a ottobre).

Il rapporto tra i due non è mai stato idilliaco, in effetti. Grillo ha sempre visto con un certo fastidio il crescente consenso di Conte tra i militanti del M5S. Nel novembre scorso, Grillo raccontò che quando si dovette trovare un candidato civico per la presidenza del Consiglio del governo sostenuto da Lega e M5S, nel 2018, fu individuato Conte perché era «un bell’uomo» e perché, tra l’altro, «parlava tanto e si capiva poco, quindi era perfetto, perfetto per la politica».

Le tensioni tra i due si sono esasperate nell’estate del 2021. All’epoca il M5S era in crisi di consensi e di identità, e cercava una nuova leadership dopo che il partito si era di fatto spaccato durante le discussioni per decidere se sostenere o meno il governo di Mario Draghi. Conte era l’esponente più carismatico del Movimento anche grazie alle sue due esperienze da presidente del Consiglio, che gli avevano fatto guadagnare grandi consensi tra gli iscritti. In polemica con Grillo, si disse disposto a prendere la guida del M5S solo a patto che Grillo si facesse un po’ da parte, e il suo ruolo «ambiguo» di garante venisse definito meglio, altrimenti avrebbe rinunciato. Ci furono accuse reciproche e insinuazioni: Conte disse che Grillo voleva fare il «padre-padrone», Grillo disse che Conte «non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione».

Il M5S arrivò vicino alla scissione. Poi alla fine i due trovarono un’intesa: Conte assunse il ruolo di guida politica del partito, divenendone presidente, mentre Grillo accettò di ridimensionare almeno formalmente il suo ruolo, restandone il garante. Alcuni mesi dopo l’accordo si perfezionò, e Grillo ottenne di ricevere un compenso di circa 300mila euro all’anno per il suo lavoro di consulenza sul settore della comunicazione: di fatto, una sorta di compensazione per la perdita di centralità delle sue funzioni dirigenziali. Ma il rapporto tra Conte e Grillo rimase piuttosto burrascoso, e di tanto in tanto questa conflittualità è tornata a emergere.

Le elezioni europee di inizio giugno hanno segnato un nuovo momento di crisi politica per il M5S: per la prima volta sotto il 10 per cento dei consensi in un’elezione nazionale, relegato in un ruolo minore all’interno del centrosinistra, nel partito c’è di nuovo maretta. Durante uno spettacolo teatrale, il 17 giugno, Grillo ironizzò dicendo che aveva preso più voti Silvio Berlusconi da morto che Conte da vivo. E poco dopo Conte annunciò l’avvio di «un percorso rigenerativo» per rilanciare il M5S.

Nel corso delle settimane, questa proposta si è andata poi definendo come una assemblea costituente che sarà strutturata in tre diverse fasi. Nella prima, che si è conclusa il 6 settembre, gli iscritti e gli elettori del M5S hanno potuto inviare in forma anonima su una piattaforma online alcune proposte per indicare possibili forme organizzative del partito, oltre agli «obiettivi strategici» che dovrebbe perseguire. Poi, a partire dai primi giorni di ottobre, intorno a questi contributi si svilupperà il dibattito tra iscritti e simpatizzanti, sempre online. Infine, la terza fase consisterà in un dibattito conclusivo, con interventi sia in presenza sia da remoto, e nella votazione online delle varie proposte, da cui deriverà una sorta di nuovo statuto del M5S.

Grillo ha lasciato subito intendere di non condividere granché questo processo, e il 20 agosto scorso ha reso esplicito il suo malcontento. Con un post sul suo blog, ha spiegato che a suo avviso il nome del M5S, il suo simbolo e il limite dei due mandati elettivi sono «tre pilastri» che «non sono in nessun modo negoziabili, e non possono essere modificati a piacimento». Ha così cercato di limitare significativamente il perimetro del dibattito dell’assemblea costituente, escludendo tre dei temi più rilevanti. Lo stesso giorno Conte ha diffuso un video per promuovere l’iniziativa dell’assemblea costituente, affermando che sì, anche il nome, il simbolo e il vincolo dei due mandati saranno oggetto del dibattito: «Anche perché non possiamo ammettere che quando a pronunciarsi sia la comunità degli iscritti si debba decidere da parte di alcuni arbitrariamente e preventivamente, di cosa si può discutere e su cosa si può deliberare».

Di fonte alla fermezza di Conte, Grillo il 5 settembre è intervenuto di nuovo, minacciando di esercitare i poteri sanciti dallo statuto che a suo avviso gli consentirebbero di ritenere immodificabili «il nome, il simbolo e la regola dei due mandati». Ne è seguita una discussione piuttosto astrusa intorno all’interpretazione delle norme statutarie del M5S, nella quale in sostanza Conte e i parlamentari a lui vicini ribadivano come tra le prerogative del garante, cioè di Grillo, non ci fosse in alcun modo la possibilità di limitare o condizionare il dibattito degli iscritti. Allo stesso modo, su chi sia il proprietario formale del simbolo del M5S, e di chi sia la responsabilità del contrassegno elettorale (cioè del simbolo che viene inserito sulla scheda alle elezioni), ciascuna delle due parti ha le proprie ragioni, con tanto di studi legali e commercialisti a supporto dell’una o dell’altra tesi.

Il riferimento di Grillo è al fatto che alcune delle comunicazioni tra lui e Conte sono avvenute via PEC (posta certificata)

Una settimana dopo Grillo ha scritto nuovamente a Conte per chiedergli chiarimenti sulle effettive modalità di svolgimento dell’assemblea costituente, ma implicitamente denunciando quella che a lui pare una mancanza di trasparenza e di linearità nel processo. Conte ha replicato a Grillo, sia in forma scritta sia attraverso dichiarazioni pubbliche, ribadendo che non intende retrocedere e negando che il garante possa intromettersi per stabilire quali siano i temi dell’assemblea costituente.

Infine Conte ha scritto di tutto questo in una nuova lettera inviata a Grillo la scorsa settimana e pubblicata lunedì integralmente dal Corriere della Sera, nella quale, oltre ad accusare Grillo di una concezione «dominicale» (cioè padronale) del M5S, e oltre a riaffermare che i poteri del garante «di certo non estendono all’esercizio di un supposto diritto di veto», di fatto minaccia di rivedere i contratti che garantiscono a Grillo sostanziosi introiti da parte del M5S, tra cui appunto i 300mila euro annui per la consulenza sulla comunicazione.

Conte scrive infatti che gli atteggiamenti di Grillo stanno mettendo in difficoltà il M5S e sono pertanto «incompatibili con gli obblighi da te specificamente assunti nei confronti del Movimento» in qualità di garante. Questo, prosegue Conte, «mi obbliga a valutare possibili iniziative dirette a sospendere l’esecuzione delle prestazioni a carico del Movimento derivanti dalla malleveria, e il recesso dai contratti di pubblicità e comunicazione»: nel giuridichese a cui Conte ci ha abituati negli anni in cui era capo di governo, significa che c’è la possibilità che i lauti contratti di Grillo con il partito vengano annullati (semplificando, in questo caso la malleveria sarebbe l’impegno a pagare quanto dovuto).

Dopodiché è stata diffusa la notizia di una lettera di risposta di Grillo, pubblicata poi integralmente dal Foglio martedì. Grillo risponde a Conte denunciando le «manovre striscianti con cui si sta tentando» di demolire i «presìdi» del M5S «invocando ipocriticamente un presunto processo democratico»; descrive quello seguito da Conte come un «metodo di legittimazione popolare tipico delle autocrazie» e replica sulla questione dei contratti che il presidente del M5S minaccia di mettere in discussione. Per Grillo «i miei compensi – che in realtà, come sai, coprono anche i costi d’ufficio della funzione che svolgo per il Movimento – sono non solo congrui per la mia funzione e i relativi costi, ma lo sono a maggior ragione nel momento in cui è in corso un tentativo di stravolgere l’identità e i valori del Movimento».

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