Il campo rom di Castel Romano in via Pontina, Roma, 16 luglio 2020 (ANSA/ANGELO CARCONI)

A Roma un campo rom ha chiuso senza sgomberi

Era previsto da un progetto del comune, che ha l'obiettivo di superare il “sistema campi” attraverso la ricerca di alloggi alternativi

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Lunedì 16 settembre il campo rom di via Cesare Lombroso a Roma, a Monte Mario alto, è stato chiuso, come previsto da una delibera del comune di Roma approvata nel luglio del 2023. Al momento della dismissione, che è avvenuta in modo non conflittuale e senza la necessità di sgomberi forzati, la maggior parte delle famiglie residenti era già stata portata altrove. Il campo di via Lombroso era stato creato alla fine degli anni Novanta. Al momento della chiusura ci vivevano circa 145 persone, divise in 33 famiglie di diverse nazionalità: 85 bosniaci, 24 apolidi, mentre altre ancora avevano ottenuto la cittadinanza italiana. Tra i residenti, 57 sono minori e 7 hanno oltre 65 anni; 11 sono persone con disabilità, e tra loro 5 sono minori.

In base a quanto fatto sapere dall’assessorato alle Politiche sociali e alla Salute del comune di Roma, quattro nuclei hanno ricevuto una casa popolare perché già in graduatoria e in una posizione utile. A tre famiglie in situazione di fragilità sono state assegnate delle case messe a disposizione da una cooperativa. Sei famiglie hanno invece deciso di gestirsi in autonomia senza l’intervento dell’amministrazione e altre dieci famiglie, invece, passeranno un periodo all’interno del “Sassat”, il Servizio di Assistenza e Sostegno Socio Alloggiativo Temporaneo del comune, che concede alle persone una casa per un periodo massimo di 24 mesi in attesa che, con l’aiuto dei servizi sociali, vengano trovate delle soluzioni abitative autonome.

L’area del campo rom verrà trasformata in un bosco e sarà collegata al vicino parco di Santa Maria della Pietà, in corso di riqualificazione. Ora il campo è stato dunque consegnato al dipartimento dei Lavori pubblici del comune che sistemerà l’area per poi avviare il cantiere. Tutto il progetto di riqualificazione è finanziato con i fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il grande piano di riforme e investimenti da realizzare entro giugno del 2026 di cui l’Italia beneficia nel complesso per oltre 194 miliardi.

L’Associazione 21 luglio, un’organizzazione non profit che aiuta gruppi e individui in condizione di segregazione e discriminazione, ha stimato che in Italia siano circa 15.800 i rom e sinti (che si distinguono per il luogo di insediamento e quello di origine) che vivono nelle «baraccopoli», come cioè i campi sono stati definiti dalle Nazioni Unite: sono lo 0,03 per cento della popolazione italiana, anche se parte della comunità rom e sinta contesta questi numeri.

Dijana Pavlovic, portavoce del Movimento Kethane – Rom e Sinti per l’Italia, spiega infatti che questi numeri sono stime al ribasso perché riguardano solo i campi più grandi, e non tengono conto degli insediamenti informali o dei microinsediamenti che si trovano principalmente nelle periferie delle grandi città, degli insediamenti privati o delle occupazioni. Inoltre la raccolta dati «è problematica di per sé», spiega, «perché in Italia il censimento su base etnica non è consentito dalla legge».

La maggioranza dei campi rom/sinti esistenti ancora oggi sono nati nella seconda metà degli anni Ottanta, quando alcune regioni approvarono una serie di leggi per istituire il “sistema campi” come soluzione temporanea al crescente numero di rom in fuga dalla crisi balcanica culminata nella guerra successiva. Questi luoghi, sparsi in tutt’Italia, finirono però per diventare spazi concepiti su base etnica che hanno prodotto, nel tempo, segregazione e gravissima marginalità sociale. L’area con il maggior numero di insediamenti formali, cioè aree create e solitamente gestite dalle istituzioni comunali, è Roma.

Soprattutto a partire dal 2019 sempre più amministrazioni hanno avviato dei percorsi per superare il sistema dei campi presenti sui loro territori. Nel luglio del 2023 il comune di Roma ha approvato uno specifico progetto (il Piano d’azione cittadino per il superamento del sistema campi) dando seguito a direttive europee e nazionali (la “Strategia nazionale di uguaglianza, inclusione e partecipazione di rom e sinti” del 2022). Il piano si propone di garantire i diritti fondamentali delle persone residenti nei campi della capitale insieme a enti del terzo settore, servizi sociali e aziende sanitarie locali.

Per il piano il comune di Roma ha stanziato 900mila euro con due obiettivi principali: accompagnamento e inclusione dei residenti dei campi, e ricerca di un alloggio alternativo. Il piano prevede dunque il superamento degli insediamenti, la sistemazione degli abitanti in alloggi alternativi e una serie successiva di misure di aiuto per la regolarizzazione dei documenti, l’accesso ai servizi sociosanitari e la ricerca di un lavoro con appositi corsi di formazione. Il primo campo in cui è stato avviato il progetto è quello di via Lombroso.

Secondo Pavlovic, porsi il problema di trovare una soluzione condivisa e cercare di conseguenza un modello per il superamento del sistema dei campi è positivo, ma dice anche che i modelli applicati finora hanno funzionato solo fino a un certo punto: «Non solo lasciano fuori una grandissima parte delle persone e delle persone più fragili, ma prevedono tempi per il raggiungimento di un’autonomia, abitativa o lavorativa, che non sono assolutamente sufficienti». Solo una minima parte delle persone che stanno nei campi arriva dunque immediatamente a una soluzione («che spesso è tra l’altro inadeguata», dice Pavlovic: prevede separazione dei nuclei familiari o un’alta concentrazione di persone in alloggi non adatti). Inoltre la soluzione temporanea trovata non è quasi mai sostenibile a lungo, e non consente un reale accesso all’autonomia a persone già in condizioni estremamente precarie, che spesso tornano al punto di partenza.

Pavlovic e la sua associazione propongono a loro volta di superare il sistema dei campi, ma aderendo maggiormente alla necessità e ai desideri delle persone della comunità rom e sinta: attraverso la creazione di cooperative di abitanti e la riqualificazione delle aree su cui i campi si trovano, che sono spesso periferiche. La riqualificazione includerebbe dunque le attuali abitazioni di rom e sinti, che vedrebbero rispettato il loro diritto all’abitare nelle forme e modalità che appartengono alla loro storia e cultura, che non verrebbero sradicati dal contesto di quartieri in cui vivono, vanno a scuola o hanno relazioni da anni: «Questi investimenti alleggerirebbero tra l’altro la situazione delle case popolari, che è già molto problematico», conclude Pavlovic.

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