Il caso Open Arms e le accuse a Matteo Salvini, dall’inizio
Nell’agosto del 2019 l’allora ministro dell’Interno impedì alla nave dell’ong spagnola di attraccare in un porto italiano, tenendola bloccata in mare per 19 giorni
Nell’agosto del 2019, per 19 giorni, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini impedì alla nave della ong spagnola Open Arms di attraccare nei porti italiani: a bordo c’erano 147 persone migranti soccorse nel Mediterraneo. Per quei fatti il leader della Lega è a processo dall’aprile 2021, accusato di sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio. In questi giorni se ne sta riparlando perché sabato la procura di Palermo ha chiesto per lui una condanna a sei anni di carcere. Salvini si è difeso dalle accuse con un video che fornisce una ricostruzione soltanto parziale dei fatti in questione.
Nel 2019 Salvini era ministro e vice presidente del Consiglio nel primo governo guidato da Giuseppe Conte, sostenuto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle. Il 5 agosto 2019 il Senato approvò il cosiddetto “decreto sicurezza bis”, un decreto assai problematico dal punto di vista legale ma fortemente voluto dallo stesso Salvini che, tra le altre cose, diede al governo il potere di vietare a qualsiasi nave l’ingresso nelle acque e nei porti italiani per generici motivi di sicurezza.
In quel periodo Salvini basava gran parte dei suoi consensi su un approccio durissimo all’immigrazione via mare, e sulla promessa di “chiudere i porti”: cioè di impedire alle navi delle ong di portare in Italia le persone soccorse nel Mediterraneo centrale. Fino ad allora Salvini applicava questo approccio con pressioni informali sulle varie autorità, tra cui la Guardia costiera: prima del “decreto sicurezza bis” non esisteva una legge italiana che permettesse di bloccare lo sbarco di persone soccorse in mare, regolato del resto da diverse norme internazionali recepite dallo Stato italiano. Nel caso della Open Arms furono invece utilizzati per la prima volta i nuovi poteri del “decreto sicurezza bis” per vietare l’ingresso nelle acque territoriali italiane e il successivo sbarco, tenendo la nave bloccata in mare.
Tra il 1° agosto e il 10 agosto la Open Arms era intervenuta tre volte al largo della Libia, soccorrendo più di 150 persone migranti. Fin dall’inizio la ong aveva chiesto alle autorità italiane di poter attraccare in un porto, ricevendo un divieto d’ingresso nelle acque territoriali italiane. I legali di Open Arms fecero allora ricorso sia al tribunale per i minori di Palermo (a bordo c’erano 32 minori, di cui 28 non accompagnati), che chiese spiegazioni al governo, sia al TAR del Lazio, che il 14 agosto sospese gli effetti del divieto d’ingresso emanato dal ministero di Salvini ma firmato anche dagli allora ministri dei Trasporti (Danilo Toninelli) e della Difesa (Elisabetta Trenta). Toninelli e Trenta poi rifiutarono di controfirmare il secondo divieto che Salvini approvò dopo la sentenza del TAR.
In quel momento la Open Arms era in navigazione già da quasi due settimane, e a bordo la situazione stava diventando sempre più difficile: l’equipaggio, per esempio, aveva finito gli antibiotici. Grazie alla sentenza del TAR il 15 agosto la nave poté entrare nelle acque italiane e arrivare fino alle coste dell’isola di Lampedusa. A quel punto la Open Arms chiese ufficialmente il permesso di entrare nel porto di Lampedusa e sbarcare le persone soccorse. Salvini ricorse alla sua vecchia tattica, facendo ostruzionismo e pressioni sulle autorità locali affinché impedissero lo sbarco.
In quei giorni la sorte della nave divenne anche un caso politico interno al governo Conte. Lo stesso 15 agosto Conte scrisse infatti una lettera aperta a Salvini, criticando la sua gestione del caso e dicendo che diversi paesi europei – tra i quali Francia, Germania e Spagna – gli avevano comunicato la disponibilità ad accogliere le persone migranti soccorse dalla Open Arms. La sera del 20 agosto, dopo 19 giorni, fu infine consentito di sbarcare alle 83 persone migranti ancora sulla Open Arms. Nel frattempo alcune si erano buttate in mare, altre avevano raggiunto la terraferma con piccole imbarcazioni, o erano state autorizzate a scendere perché minorenni (a quest’ultima misura Salvini si era opposto per giorni).
Lo sbarco venne ordinato dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, dopo aver visitato la nave e aver incontrato la Capitaneria di porto. La procura aveva già aperto un’indagine contro ignoti per sequestro di persona, a cui si era aggiunta un’indagine per omissione e rifiuto di atti d’ufficio. In questo filone nel novembre 2019 Salvini venne indagato con l’accusa di sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio.
L’accusa di sequestro di persona fu peraltro la stessa di altri due casi – quello delle navi Diciotti e Gregoretti – che coinvolsero Salvini ma non andarono a processo. Nel primo caso il Senato respinse l’autorizzazione a procedere grazie ai voti del Movimento 5 Stelle; nel secondo il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Catania – noto fra le altre cose per una certa ostilità contro le ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo – decise di non rinviare a giudizio Salvini.
Nel caso della Open Arms, invece, il 30 luglio del 2020 il Senato diede al tribunale dei ministri di Palermo l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, anche se inizialmente la Giunta per le immunità del Senato aveva dato parere negativo. Nel frattempo era cambiato il contesto politico: Salvini era finito all’opposizione e si era insediato un governo di coalizione tra M5S e Partito Democratico, sempre con Conte come presidente del Consiglio. Anche il Movimento, che governava insieme a Salvini nel 2019, votò per autorizzare il procedimento contro Salvini. Nell’ottobre 2020 il governo Conte II modificò lievemente i “decreti sicurezza”, reintroducendo di fatto la protezione umanitaria per i richiedenti asilo e riducendo le multe per le ong.
Nell’aprile del 2021 Salvini fu rinviato a giudizio, come chiesto dalla procura di Palermo, secondo cui la decisione di non far attraccare la Open Arms venne presa dall’ex ministro di propria iniziativa senza il coinvolgimento degli altri membri dell’allora governo Conte, come invece ha sempre sostenuto la difesa di Salvini. Un’altra tesi di Salvini è che il blocco della Open Arms avesse un carattere politico, e perciò non potesse essere punibile. Il processo è iniziato a settembre al tribunale di Palermo. Sabato scorso la procura ha chiesto per Salvini una condanna a sei anni di detenzione: il prossimo 18 ottobre ci sarà l’arringa della difesa, guidata dall’avvocata Giulia Bongiorno, senatrice della Lega nonché ministra per la Pubblica amministrazione proprio nel primo governo di Giuseppe Conte.
Nella sua richiesta la procuratrice aggiunta Marzia Sabella ha precisato che «le convenzioni internazionali sono chiarissime» e che «non si può chiamare in causa la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare. Ecco perché i migranti andavano soccorsi, concedendo subito un porto sicuro». Questi aspetti del “decreto sicurezza” furono considerati controversi da subito: il soccorso in mare in caso di pericolo e il diritto di asilo, infatti, sono regolati da numerose convenzioni internazionali che non possono essere superate da una legge nazionale come il “decreto sicurezza bis”. Che peraltro era una norma assai generica, che garantiva al ministro dell’Interno – cioè a Salvini stesso – il potere di impedire la sosta o il transito nel mare territoriale italiano di qualsiasi nave sospettata di violare la legge italiana.
Salvini, che sabato non era in aula, ha pubblicato sui suoi profili social una specie di difesa di 3 minuti e 49 secondi in cui ripercorre la vicenda e ribadisce la sua versione dei fatti, e cioè di aver agito per «difendere i confini» nazionali: inquadrando l’arrivo di circa 150 migranti e futuri richiedenti asilo nella cornice tipica dell’estrema destra europea, cioè come una minaccia alla sicurezza nazionale. Domenica è tornato sul tema condividendo sempre sui social una grafica con la didascalia: «Mi dichiaro colpevole di aver difeso l’Italia».
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