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  • Domenica 15 settembre 2024

Le discussioni sul ponte che divide in due Mitrovica

Il governo kosovaro vuole aprirlo al passaggio delle auto, ma la comunità serba – che vive nella parte nord della città – non è d'accordo

Il ponte di Mitrovica (Valentina Lovato/Il Post)
Il ponte di Mitrovica (Valentina Lovato/Il Post)
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Da settimane in Kosovo si discute se riaprire o meno al passaggio delle auto un ponte sul fiume Ibar chiuso da anni. È una discussione più delicata di quanto sembri: il ponte in questione unisce le due parti della città di Mitrovica, che si trova nel nord del paese. A sud del ponte abita la comunità albanese, mentre a nord quella serba. I rapporti tra le due comunità sono molto tesi da quando nel 2008 il Kosovo proclamò l’indipendenza, mai riconosciuta o accettata dalla Serbia: negli anni successivi proprio su quel ponte ci furono agguati e pestaggi reciproci, ancora ben presenti nella memoria di entrambe le comunità.

Oggi il ponte è aperto soltanto al traffico pedonale e alle biciclette, ma viene usato pochissimo: Mitrovica sud e Mitrovica nord sono di fatto due città separate. Per evitare violenze e tensioni il ponte è sorvegliato giorno e notte dal KFOR, la più grande missione di peacekeeping della NATO (il KFOR è a guida italiana, e spesso il ponte di Mitrovica è sorvegliato da unità dei carabinieri). Da qualche settimana il governo kosovaro, espressione della maggioritaria comunità albanese, ha fatto sapere di volerlo riaprire anche al traffico delle auto. Lunedì il primo ministro kosovaro Albin Kurti ha anche fatto una specie di sopralluogo in città: la comunità serba ha organizzato una grossa protesta, giudicando la visita una specie di provocazione, durante la quale sono stati arrestati quattro manifestanti.

Ma le critiche e gli scetticismi sulla riapertura totale del ponte non provengono soltanto dalla minoranza serba. Tutte le principali organizzazioni internazionali impegnate in Kosovo per garantire una convivenza pacifica fra la comunità albanese e quella serba temono che una decisione unilaterale di riaprire il ponte di Mitrovica alle auto possa portare a nuovi scontri.

Un gruppo di carabinieri del KFOR sorveglia il ponte di Mitrovica all’ombra di un gazebo (Valentina Lovato/Il Post)

Mitrovica è sempre stata una città importante per via della sua posizione, a metà strada fra Belgrado (Serbia) e Skopje (Macedonia del Nord). Negli ultimi due secoli è stata controllata dall’Impero austroungarico, dagli Ottomani, dagli albanesi, dai serbi, dall’esercito nazista durante la Seconda guerra mondiale. Nei primi decenni di vita della Jugoslavia migliaia di persone lavoravano nel complesso industriale di Trepča, costruito sopra una delle miniere di zinco e piombo più ricche in Europa. La dissoluzione della Jugoslavia e la guerra del Kosovo (anni Novanta) resero la convivenza fra le due etnie più rilevanti in città, quella serba e quella albanese, sempre più difficile. Gli abitanti serbi si trasferirono a nord del fiume Ibar, dove c’era già una prevalenza di serbi. Gli albanesi fecero lo stesso, verso sud.

Nel 2008 la proclamazione di indipendenza da parte del Kosovo spinse Mitrovica e altre cittadine più piccole che erano a maggioranza serba nel nord del Kosovo in un complicato limbo amministrativo e burocratico. Sono posti dove periodicamente riemergono tensioni e violenze fra kosovari di etnia serba e kosovari di etnia albanese, la cui popolazione a Mitrovica sta molto aumentando negli ultimi anni. Oggi nella parte serba della città, a nord del ponte, vivono circa 30mila persone. A sud circa 70mila.

La comunità albanese di cui il governo kosovaro è espressione ritiene che la riapertura totale del ponte di Mitrovica sia un passo verso una distensione e normalizzazione dei rapporti fra le due comunità. «Siamo già in ritardo di otto anni», ha detto in una intervista a metà agosto la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, riferendosi al fatto che ormai da tempo si discute se riaprire o meno alle auto il ponte di Mitrovica. La comunità serba che abita nel nord della città e in diverse altre località della zona pensa invece che la riapertura del ponte possa comportare dei pericoli per la propria sicurezza.

A queste accuse la comunità albanese risponde semplicemente che i kosovari di etnia serba non vogliono integrarsi pienamente nello stato kosovaro, e che i timori sulla riapertura del ponte di Mitrovica sono una scusa come un’altra per rimandare una maggiore integrazione delle due comunità. Il nazionalismo serbo del resto è tradizionalmente molto aggressivo e a Mitrovica rimane molto forte.

In un murale poco distante dal ponte che raffigura un gruppo di omini stilizzati in una posa minacciosa si legge una frase piuttosto perentoria: «Questa è la nostra ultima frontiera». Un altro murale mostra la bandiera della Serbia che si fonde con quella della Russia (i due paesi sono legati da forti legami culturali e religiosi). Sullo sfondo della bandiera serba c’è l’intero Kosovo, sullo sfondo della bandiera russa è stata disegnata la Crimea, la regione ucraina invasa da forze russe e annessa illegalmente nel 2014.

Il murale che raffigura Kosovo e Crimea sulle bandiere serba e russa, nel centro di Mitrovica (Valentina Lovato/Il Post)

Al momento comunque il governo kosovaro non ha fissato una data per l’eventuale riapertura del ponte di Mitrovica alle auto: le due parti della città sono collegate anche da altri tre ponti, seppure più piccoli e periferici, per cui la questione attorno al ponte centrale è ormai diventata soprattutto simbolica.