(Moritz Frankenberg/dpa via AP)

Cosa sta succedendo a Volkswagen

L'azienda è in lento declino da tempo e sta valutando per la prima volta nella sua storia la chiusura di stabilimenti e licenziamenti di massa

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Nelle ultime settimane hanno fatto discutere alcune scelte industriali di Volkswagen – la più importante società automobilistica in Germania e tra le più grandi nell’Unione Europea – che sono l’esito di un lento declino che dura ormai da tempo e a cui l’azienda finora ha fatto fatica a reagire: prima ha fatto sapere che sta valutando per la prima volta nella sua storia la chiusura di alcuni stabilimenti per far fronte all’ormai strutturale calo delle vendite; poi ha dichiarato l’intenzione di ridurre il numero dei dipendenti per tenere sotto controllo i costi, e di voler in tal senso annullare un accordo aziendale che è in vigore da trent’anni e che impedirebbe licenziamenti di massa almeno fino al 2029.

La crisi di Volkswagen ha ripercussioni enormi a livello economico, dato che dalla sua produzione dipendono il lavoro di più di 700 mila dipendenti (di cui 300 mila solo in Germania) e l’attività di migliaia di aziende dell’indotto, ma anche a livello culturale e politico, perché Volkswagen è da sempre un simbolo del rilancio industriale del paese nel secondo dopoguerra e dell’eccellenza tedesca nel settore delle auto. Le sue difficoltà sono quindi fonte di preoccupazione e imbarazzo per il governo tedesco di Olaf Scholz, di centrosinistra e già alquanto impopolare, ora accusato anche di non aver impedito il declino della società più importante del paese.

Dall’inizio dell’anno le azioni di Volkswagen hanno perso il 22 per cento del loro valore, sceso addirittura sotto a quello che aveva dopo il cosiddetto “Dieselgate”, il grave scandalo in cui fu coinvolta nel 2015 per aver truccato i suoi motori diesel in modo da farli risultare meno inquinanti di quanto in realtà fossero, e per cui dovette spendere decine di milioni di euro per risarcire i clienti.

Sono principalmente due le dimensioni della complessa situazione in cui si trova oggi Volkswagen: la prima riguarda la lentezza e la rigidità con cui l’azienda ha reagito ai grossi cambiamenti del mercato dell’auto, come la transizione verso i motori elettrici e la sempre più aggressiva concorrenza della Cina; la seconda è legata invece sia alla generale e grave crisi del settore in tutta l’Unione Europea, dove le vendite di veicoli sono in calo da tempo, che alle difficoltà di tutta l’industria tedesca, assai penalizzata dalla crisi energetica del 2022.

La produzione dei modelli elettrici di Volkswagen nello stabilimento di Zwickau, in Germania, nel 2020 (Jens Schlueter/Getty Images)

Volkswagen non ha mai recuperato il calo delle vendite della pandemia: nel 2023 ha venduto un milione e mezzo di veicoli in meno rispetto al 2019, un calo del 14 per cento. Le fabbriche dell’azienda lavorano da tempo largamente sotto la loro capacità produttiva, come peraltro sta accadendo anche a molte altre aziende europee, anch’esse nella situazione di dover far fronte a ordini minori: è il caso anche di Stellantis, che in Italia tiene migliaia di lavoratori in cassa integrazione e sta producendo sempre meno veicoli rispetto al passato.

La situazione di Volkswagen è poi aggravata dal fatto che il suo mercato di riferimento è la Cina, dov’è concentrato il 40 per cento delle vendite. È però un mercato su cui ha smesso di essere competitiva rispetto ai produttori locali, perché i suoi veicoli sono eccessivamente costosi paragonati a quelli cinesi, soprattutto nel caso dei modelli elettrici. La società, come molte altre tra quelle occidentali, è molto esposta al declino dei modelli tradizionali e all’aggressiva concorrenza cinese: la sua auto elettrica meno costosa ha un prezzo di 40 mila euro, più del doppio di quelle cinesi di fascia bassa.

Le aziende occidentali devono tenere prezzi alti per ripagare ancora i grandi investimenti fatti per lo sviluppo delle nuove tecnologie per i modelli elettrici; quelle cinesi riescono invece ad assorbirli meglio grazie agli ingenti sussidi del governo, che permettono loro di vendere auto praticamente sottocosto e non avere concorrenza coi produttori occidentali. È il motivo per cui l’Unione Europea – come gli Stati Uniti e il Canada – ha deciso l’imposizione di dazi, a cui peraltro Volkswagen era molto contraria: l’azienda è molto integrata con l’industria cinese e ha molti stabilimenti nel paese, dove si producono auto e componenti destinate poi al mercato europeo, e che rischiano di essere danneggiati dai dazi.

In Cina Volkswagen riesce ancora ad avere un vantaggio sui veicoli a motore termico, qualitativamente molto superiori a quelli cinesi, ma che in futuro potrebbero essere sempre meno richiesti e rilevanti rispetto ad altri motori più avanzati tecnologicamente. Nel frattempo nell’arco di un decennio le sue vendite in Cina si sono dimezzate.

Anche in Europa Volkswagen sta comunque avendo difficoltà: nel 2023 ha venduto 700 mila veicoli in meno rispetto al 2019, con una perdita del 14 per cento. Il responsabile finanziario dell’azienda ha detto che però questo mercato è ormai compromesso, e al massimo possono sperare di limitare la perdita a mezzo milione di auto all’anno rispetto al 2019: l’equivalente della produzione di due interi stabilimenti del gruppo.

La società è riuscita finora ad assorbire finanziariamente le difficoltà: nel 2023 ha comunque registrato un utile netto di 6,2 miliardi di euro. È però la metà esatta dell’utile dell’anno precedente, che era meno di quello del 2019: significa che la società non è più profittevole come un tempo. E questo non dipende solo dal volume delle vendite, ma anche dalla politica commerciale dell’azienda: per cercare di recuperare quote di mercato ha abbassato i suoi prezzi e fatto impegnative campagne promozionali, che hanno ridotto notevolmente i margini di guadagno.

Il responsabile finanziario di Volkswagen ha detto recentemente che l’azienda ha ancora un paio d’anni per adeguare la sua struttura a un mercato che è molto cambiato. Lo scorso anno è già stato attuato un piano di prepensionamenti e uscite volontarie, che però ha portato a risparmi tutto sommato marginali.

Per questo Volkswagen ha comunicato provvedimenti più drastici, come l’intenzione di chiudere alcuni stabilimenti – su cui però non ci sono ancora dettagli né su quanti né su quali – e la risoluzione dell’accordo collettivo con i dipendenti, notificata a inizio settembre ai sindacati aziendali e nazionali, entrambi molto influenti. Questa decisione ha già conseguenze preoccupanti per la forza lavoro di Volkswagen, poiché ne cambia drasticamente le prospettive: i patti aziendali da cui l’azienda si è tirata indietro garantivano gli attuali livelli occupazionali fino al 2029, e prima di allora non sarebbero potuti avvenire licenziamenti di massa, neanche per motivi finanziari. Con l’annullamento del patto però le tutele finiranno già a metà del 2025.

I sindacati hanno minacciato scioperi e ricorsi contro la decisione: secondo i rappresentanti la società corre un grosso rischio, perché se non verrà firmato alcun accordo alternativo Volkswagen potrebbe essere tenuta a pagare fino a 1 miliardo di euro in compensazioni e aumenti di stipendi ai lavoratori, proprio grazie ad alcune clausole dell’accordo che ha annullato. In alcuni stabilimenti ci sono già state alcune manifestazioni contro la dirigenza.

Una protesta dei dipendenti in un meeting tra dirigenti di Volkswagen e sindacati, il 4 settembre 2024 (Moritz Frankenberg/pool photo via AP)

I minori guadagni di Volkswagen dipendono anche da criticità sul fronte dei costi. E qui bisogna tenere conto di una serie di fattori che a loro volta dipendono in gran parte dai problemi più generali dell’economia e dell’industria della Germania, che ha risentito molto più degli altri paesi della crisi energetica e dell’aumento dei prezzi dell’energia dopo l’inizio della guerra in Ucraina: sebbene il peggio sia passato, l’energia è ancora più cara rispetto all’inizio del 2022. Tutto ciò è dovuto al fatto che l’intera Unione Europea ha dovuto fare a meno del gas a buon mercato proveniente dalla Russia, da cui la Germania era particolarmente dipendente.

La crisi energetica ha messo in luce una serie di debolezze strutturali nelle basi economiche del paese note da tempo, e che il governo di coalizione nato dopo la fine dell’era politica di Angela Merkel ha faticato a correggere. La questione più importante e cruciale è quella del sistema energetico tedesco, inadatto a soddisfare in modo sostenibile il fabbisogno energetico dell’industria e non solo a causa della crisi energetica: già prima della guerra in Ucraina l’energia tedesca era tra le più costose delle economie avanzate, perché largamente dipendente dal gas e poco alimentata dalle fonti di energia rinnovabile.

Una delle questioni più rilevanti oggi per la Germania è garantire alle imprese energia meno costosa, per esempio tramite le rinnovabili, in modo da preservare la loro competitività sui mercati internazionali: le imprese tedesche partono già penalizzate rispetto alle concorrenti internazionali per quanto devono pagare l’energia, e questo è un problema particolarmente sentito in un paese che basa la sua economia sulle esportazioni come la Germania.

Tutto il settore tedesco delle auto, e non solo Volkswagen, è inoltre ancora troppo legato al motore a combustione e sta ritardando tutte quelle innovazioni che dovrebbero portare allo sviluppo di una produzione 100 per cento elettrica. Non è un caso che il governo tedesco – insieme a quello italiano – sia stato quello che si è dimostrato più contrario all’introduzione da parte dell’Unione Europea del divieto di vendita di veicoli a combustione dal 2035. Negli ultimi anni è mancata la capacità politica di far orientare l’economia verso settori in rapida trasformazione e crescita, e a causa del tradizionale rigore tedesco nel far quadrare i conti non sono stati introdotti neanche seri e ampi piani di incentivi economici.

Ora però il governo di Scholz è costretto a occuparsi della crisi del settore dell’auto e soprattutto della situazione di Volkswagen, proprio per l’importanza dell’azienda per l’economia tedesca: centinaia di migliaia di posti di lavoro, interi territori totalmente dipendenti dalle attività di Volkswagen, e il simbolo della forza e dell’affidabilità dell’industria tedesca.

Il governo si trova però in una posizione particolarmente difficile. Da una parte deve far fronte a grosse ristrettezze di bilancio, motivo per cui lo scorso anno aveva interrotto del tutto gli incentivi in vigore per l’acquisto dei veicoli elettrici, danneggiando aziende automobilistiche. Dall’altra però dovrà trovare il modo di dare una risposta al declino di Volkswagen, anche solo per risollevarsi dai pessimi risultati ottenuti alle elezioni statali di inizio settembre: si sono tenute in Turingia e in Sassonia, e sono stati particolarmente penalizzati i partiti che fanno parte dell’attuale coalizione di governo, i Socialdemocratici, i Liberali e i Verdi. Al contrario è andato molto bene il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD) il quale, oltre che sui soliti temi di immigrazione e sicurezza, ha puntato molto sulla crisi industriale che stanno vivendo questi territori.

– Leggi anche: Secondo Mario Draghi, sulla competitività l’Unione Europea non deve perdere tempo

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