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  • Venerdì 13 settembre 2024

Di chi è la scalinata di Trinità dei Monti?

La Corte dei Conti della Francia ha analizzato la gestione del patrimonio immobiliare francese a Roma, e ha fatto notare che la proprietà del celebre monumento sarebbe da chiarire

Le attrici Cosetta Greco, Liliana Bonfatti e Lucia Bosè sul set di Le ragazze di piazza di Spagna, film del 1952 (ANSA)
Le attrici Cosetta Greco, Liliana Bonfatti e Lucia Bosè sul set di Le ragazze di piazza di Spagna, film del 1952 (ANSA)
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Il 3 settembre la Corte dei Conti ha pubblicato un lungo report in cui dice, tra le altre cose, che è necessario «confermare lo stato giuridico» della scalinata di piazza di Spagna, cioè stabilire se sia di proprietà della Francia o dell’Italia. È una questione tutto sommato marginale rispetto al report, ma dopo che mercoledì era stato segnalato in un articolo pubblicato sul quotidiano francese Le Monde la questione è arrivata anche sui giornali italiani, con annesse polemiche. Venerdì ne hanno parlato anche alcuni esponenti di governo che accusano la Francia di volersi “riprendere” la scalinata: ma al di là delle esagerazioni patriottiche, in realtà non è così scontato stabilire a chi appartenga la scalinata (e chi la debba gestire).

Forse più che in altre città italiane, a Roma ci sono chiese e altri immobili che non appartengono né allo Stato né alla Santa Sede, ma ad altri paesi, come la Francia o la Spagna, che li costruirono secoli fa e che ancora li mantengono. Il report della Corte dei Conti francese riguarda l’operato dei Pieux Établissements de la France à Rome et à Lorette (“Pii Stabilimenti” in italiano), un organo responsabile della gestione dei beni francesi a Roma e a Loreto (nelle Marche). In teoria è dipendente dall’ambasciata francese alla Santa Sede ma nella pratica si trova in un limbo giuridico che, secondo la Corte, gli ha permesso di amministrare il patrimonio in modo discutibile e «approssimativo».

A Roma la Francia possiede cinque chiese e tutte le opere contenute al loro interno: Trinità dei Monti, San Luigi dei Francesi, Santi Claudio e Andrea dei Borgognoni, San Nicola dei Lorenesi e Sant’Ivo dei Bretoni. Inoltre è proprietaria di 13 edifici, per un totale di 180 proprietà (fra uffici, negozi e appartamenti) che affitta e con i cui ricavi paga il restauro dei luoghi di culto: secondo Le Monde il valore delle proprietà si aggira intorno ai 250 milioni di euro e le entrate annue sono di 4,5 milioni di euro.

Come spiega il report, le cinque chiese e le proprietà a loro collegate furono costruite dalla Francia a partire dal 1450 per accogliere la comunità di pellegrini francesi che passavano da Roma. Nel 1793, con la caduta della monarchia francese in seguito alla Rivoluzione francese e l’assenza di indicazioni sulla loro gestione da parte della neonata Repubblica, papa Pio VI affidò la loro amministrazione al cardinale de Bernis, che al tempo era l’ambasciatore del re di Francia presso la Santa Sede. Negli anni immediatamente successivi lo Stato Pontificio reclamò la loro proprietà ma nel 1801 furono restituiti alla Francia e furono affidati ai Pii Stabilimenti, che li hanno amministrati fino a oggi.

Durante il fascismo una parte dei possedimenti francesi fu sequestrata dallo Stato italiano, che poi li rese alla Francia nel 1943 grazie all’intervento di papa Pio XII. Oggi la loro gestione si basa su un regolamento aggiornato l’ultima volta nel 1956, approvato dal papa e dal ministero degli Esteri francese.

Non ci sono quindi dubbi sul fatto che la chiesa di Trinità dei Monti, costruita nel Cinquecento, sia di proprietà della Francia. Nel suo report la Corte nota anche che i Pii Stabilimenti hanno finanziato da soli il restauro della facciata con 1,8 milioni di euro fra il 2013 e il 2017. Per quanto riguarda la sua celebre scalinata, quella che arriva a piazza di Spagna ed è frequentatissima dai turisti, la questione è invece più complicata.

A causa della condotta problematica dei Pii Stabilimenti e del «ripetuto rifiuto dell’amministratore e del tesoriere in carica all’inizio del controllo di rispondere alle domande della Corte», i magistrati contabili hanno scritto che ci sono diverse cose che non tornano. Fra queste c’è anche la questione della proprietà della scalinata di Trinità dei Monti. A pagina 62 del rapporto la Corte scrive:

Come già accennato, i beni e gli arredi dei Pii Stabilimenti, di notevole valore, non sono conosciuti con precisione. Le scale della Trinità dei Monti, che collegano questa chiesa a piazza di Spagna, illustrano la complessità di una situazione che meriterebbe di essere chiarita.

Costruite con fondi francesi all’inizio del XVIII secolo, sono state mantenute per decenni dai Pii Stabilimenti ma anche, in diverse occasioni negli ultimi anni, dal Comune di Roma o attraverso opere di mecenatismo. La conferma del loro status giuridico è necessaria per chiarire le responsabilità in termini di manutenzione e restauro.

Le scale della Trinità vennero costruite fra il 1723 e il 1725 dall’architetto romano Francesco De Sanctis con i fondi della monarchia francese, il cui stemma con i gigli compare infatti alla base del monumento. Parlando con l’agenzia di stampa Adnkronos il Sovrintendente ai Beni culturali della città Claudio Parisi ha detto però che «dal Novecento in poi è sempre stata mantenuta, restaurata e gestita in tutti gli aspetti dall’amministrazione comunale di Roma. Solo nel periodo più recente ricordo i due importanti restauri del 1995 e poi del 2014 e i continui interventi di manutenzione e ripristino effettuati sempre da Roma Capitale». Quando nel suo report la Corte parla di «opere di mecenatismo» si riferisce molto probabilmente al restauro della scala realizzato fra il 2015 e il 2016 grazie a un milione e mezzo di euro forniti dall’azienda di gioielleria Bulgari.

I Pii Stabilimenti operano sotto la supervisione dell’ambasciata francese presso la Santa Sede con l’assistenza di una “Congregazione” cosiddetta composta da «dodici cittadini francesi di spicco [sei religiosi e sei laici, ndr] domiciliati a Roma». Nel pratico però sono gestiti da un amministratore (appartenente al clero) e da un tesoriere (laico), che secondo alcune testimonianze raccolte da Le Monde già nel 2021 e secondo la Corte dei Conti agiscono praticamente in autonomia. Questa libertà è data anche dal fatto che non è chiaro a chi i Pii Stabilimenti debbano render conto per le grosse somme di denaro che ogni anno ricavano e reinvestono: per la Corte di Cassazione italiana lo Stato italiano non può tassare i loro beni perché sono di proprietà francese, ma secondo la Francia sono un ente autonomo, e al massimo deve rispondere alla Santa Sede.

Per questi motivi l’operato dei Pii Stabilimenti è molto criticato in Francia. Alla fine del 2022 la Corte dei Conti fu incaricata di analizzare la loro situazione e dopo poco l’allora amministratore Philippe Bordeyne si dimise, lasciando il posto al frate domenicano Renaud Escande. Parlando con Le Monde Escande ha ammesso che i Pii Stabilimenti hanno «sempre giocato su questa specificità, tra Francia, Italia e Vaticano».

In quasi due anni di lavoro i magistrati della Corte dei Conti hanno rilevato «numerose ed evidenti carenze» nella gestione, definita «approssimativa», del patrimonio francese da parte dei Pii Stabilimenti nel periodo che va dal 2015 al 2022. Il report parla per esempio di una «politica opaca di assegnazione degli affitti», con cifre in alcuni casi estremamente basse che privano l’organo «di quasi il 50 per cento del suo reddito potenziale». Dice poi che esiste un «rischio comprovato per la sicurezza delle persone e dei beni», dato che i Pii Stabilimenti non hanno seguito le raccomandazioni per prevenire gli incendi stabilite dal ministero della Cultura francese.

La Corte ha inoltre individuato «notevoli abusi» nell’assegnazione dei lavori di ristrutturazione e restauro, che sono stati eseguiti senza gare d’appalto e affidati sempre alle stesse poche imprese. Il report dice anche che il ministero degli Esteri francese «era a conoscenza di queste irregolarità da molto tempo, ma non ha preso le misure necessarie per ripristinare una situazione compromessa».