Questa enorme massa di bonus fiscali

Ci sono 625 diverse agevolazioni che costano allo Stato più di 100 miliardi l'anno: ridurle è un'impresa che negli ultimi decenni non è riuscita a nessun ministro dell'Economia

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
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In questi giorni il governo è alle prese sia con il Piano strutturale di bilancio, il programma di politica economica per i prossimi sette anni da concordare con la Commissione Europea, che con la legge di bilancio, cioè il provvedimento con cui stabilisce come utilizzare le risorse per il 2025. È un duplice compito piuttosto arduo, perché gli spazi di manovra sono ristretti, e le regole europee impongono di ridurre il debito pubblico e contenere la spesa. Anche per questo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti hanno annunciato che intendono ripensare in maniera radicale il sistema dei bonus fiscali così da recuperare risorse da spendere su altri progetti.

Il problema è che i bonus fiscali in Italia sono così tanti e frammentati che persino il governo fa fatica a quantificarli e a sapere esattamente quanto costano allo Stato. E inoltre, politicamente, è sempre complicato toglierli una volta che sono stati concessi.

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I bonus fiscali, spesso chiamati anche tax expenditures, sono agevolazioni fiscali riconosciute dallo Stato a specifiche categorie sociali o attività economiche e commerciali. Possono essere concesse sotto diverse forme: crediti d’imposta, esenzioni, detrazioni, deduzioni, tutte possibili applicazioni di meccanismi che in sostanza consentono ai beneficiari di pagare meno tasse. Per lo Stato concedere questi bonus ha un costo, perché comportano un minore gettito, cioè una mancata riscossione delle tasse, e dunque un minor afflusso di denaro nel bilancio pubblico.

In Italia queste agevolazioni hanno iniziato a essere adottate saltuariamente fin dagli anni Settanta, per poi crescere per numero e per portata economica dalla seconda metà degli anni Novanta, fino a moltiplicarsi negli ultimi quindici anni. Erano 444 nel 2016, erano aumentate fino a 602 nel 2020, e oggi ne esistono 625. Comportano un mancato gettito per il 2024 di almeno 105 miliardi, una cifra notevole e pure questa cresciuta considerevolmente nell’ultimo periodo (è raddoppiata in 6 anni, rispetto ai 54 miliardi del 2018).

Sono numeri che, come lo stesso ministero dell’Economia riconosce, rendono la situazione italiana peculiare e anomala tra i paesi occidentali. Le agevolazioni si applicano a diverse imposte: 207 sull’IRPEF (cioè l’imposta per le persone fisiche), 110 sull’IRES (l’imposta sui redditi delle società), 76 sull’IVA (l’imposta sul valore aggiunto) e 78 ad altre imposte indirette.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan illustrano la Legge di bilancio del 2017, il 28 novembre 2016 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Non è la prima volta che un governo si pone come proposito quello di ridurre questi bonus. Solo per stare ai casi più recenti, Pier Carlo Padoan s’impegnò a ridurre di almeno un paio di miliardi le tax expenditures nel 2015 e poi nel 2017 e a promuovere un riordino complessivo delle misure, durante i governi di centrosinistra di Matteo Renzi e di Paolo Gentiloni. Ma non ci riuscì. Nel 2018, durante il primo governo di Giuseppe Conte, il compito di ridimensionare il numero e la portata delle agevolazioni fu assegnato al viceministro dell’Economia, il leghista Massimo Garavaglia (peraltro uomo di grande fiducia dell’attuale ministro dell’Economia), che disse di voler recuperare 10 miliardi all’anno con questa operazione: non se ne fece nulla. Un taglio drastico delle tax expenditures era infine previsto anche nella riforma del fisco avviata dal governo di Mario Draghi, disatteso anche questo.

Adesso, dopo che già l’anno scorso aveva fatto annunci simili con poche conseguenze concrete, il governo di Meloni ci riprova.

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Ridurre questi bonus è difficilissimo per tutti i governi per ragioni strettamente politiche. Le agevolazioni vengono introdotte per favorire alcune professioni o gruppi d’interesse in cambio del loro consenso: rimuoverle, specularmente, significherebbe inimicarsi quelle categorie. Anche perché, al di là di alcune voci molto onerose, la maggior parte dei bonus è di piccola entità, spesso quasi irrilevante per il bilancio dello Stato, e dunque il contenuto guadagno economico che il governo trarrebbe dal cancellarli non compenserebbe il danno politico.

È così che nuove tax expenditures vengono introdotte senza che quelle vecchie vengano rimosse. Per altre si attende semplicemente che vadano a scadenza, e non di rado vengono rinnovate in extremis.

È una stortura non solo italiana: anche la Francia ha problemi simili, così come gli Stati Uniti e il Canada. Ma in quanto a dimensioni non c’è confronto: il nostro è infatti il paese col maggior numero di tax expenditures tra i 38 membri dell’OCSE (l’organizzazione che riunisce i principali paesi sviluppati con un’economia di mercato), e l’insieme di questi bonus così diversi e disomogenei determina un quadro frammentato e illogico, al punto che perfino per il governo avere dati definitivi e affidabili è difficile. Lo scorso luglio, rispondendo a un’interrogazione del Partito Democratico, il sottosegretario all’Economia Federico Freni dovette ammettere che per 118 delle 625 agevolazioni, lo Stato non era in grado di quantificare il costo, «per mancanza di dati o per le caratteristiche della misura stessa», e in parte perché alcuni di questi bonus comportano un minor gettito di pochi milioni, e in alcuni casi di poche centinaia di migliaia di euro.

Il sottosegretario all’Economia Federico Freni, alla Camera, il 21 dicembre 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Nel settembre 2017 un report del Servizio studi del Senato elencò le agevolazioni meno utilizzate, spesso indicate con voci lunghissime e incomprensibili perlopiù a chiunque.

La «tassazione separata indennità perdita di avviamento in caso di cessazione della locazione di immobili adibiti ad usi diversi da quello di abitazione ed indennità di avviamento delle farmacie spettanti al precedente titolare» era sfruttata da 68 contribuenti in tutta Italia, con un risparmio medio a persona di 1.470 euro all’anno.

La «detrazione forfettaria del reddito imponibile dell’IVA per le associazioni sindacali operanti nel settore agricolo relativamente alle attività di assistenza rese agli associati» aveva una platea di 216 beneficiari con un risparmio pro capite di 370 euro a persona.

La «detrazione per erogazioni liberali in denaro in favore delle persone giuridiche che senza scopo di lucro svolgono attività nello spettacolo» era utilizzata da 1.600 persone, con un risparmio di 94,30 euro a testa. Altre, pur essendo indirizzate a pochissime persone, avevano un grande effetto finanziario per i beneficiari: «le imposte di registro ipotecaria e catastale applicate in misura fissa per apporti ai fondi immobiliari chiusi», per esempio, garantiva a 14 soggetti di pagare minori tasse per 635mila euro ciascuno, in media.

Quando, nel 2018, il primo governo Conte annunciò di voler eliminare alcune esenzioni, il ministero dell’Economia segnalò l’esistenza di agevolazioni fiscali per le ditte che estraevano magnesio dall’acqua di mare, per chi allestiva spettacoli circensi in tendoni di dimensioni contenute, per gli allevatori di cozze e molluschi. Tutte misure su cui alla fine non si è intervenuti.

Il settore interessato dal maggior numero di bonus sono le imprese, con 109 voci; le politiche sociali e della famiglia ne hanno 102. In entrambi i casi l’incidenza delle agevolazioni è aumentata in seguito alle misure straordinarie adottate durante la crisi del Covid, e in massima parte ancora attive. Ci sono poi 59 diverse agevolazioni per il settore delle politiche del lavoro, 58 per le politiche abitative e urbanistiche.

Il governo intende riorganizzare le norme e ridurre il numero dei bonus, per finanziare le misure che vorrebbe confermare o inserire nella legge di bilancio per il 2025. Tra queste ce n’è una di cui il ministro Giorgetti ha parlato al Foglio e che riguarderebbe gli incentivi alla natalità: misure che necessitano di circa 6 miliardi (tanti per una manovra che varrà circa 25-28 di miliardi), e che verrebbero attuate, anche queste, sotto forma di agevolazioni fiscali per le spese che le famiglie devono sostenere in favore dei figli. Sempre al Foglio Giorgetti aveva fatto un annuncio simile anche un anno fa, senza che poi ci sia stata alcuna norma concreta.

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In effetti l’ambito “famiglie e spesa per i figli” è uno dei pochi in cui di recente si sia riusciti a intervenire per armonizzare e razionalizzare le agevolazioni. Nel marzo del 2022, dopo un lungo dibattito andato avanti per anni, è stato infatti istituito l’Assegno unico e universale, cioè un contributo statale a sostegno delle famiglie con figli a carico di età inferiore a 21 anni, con agevolazioni progressive commisurate al reddito della famiglia beneficiaria. Sull’assegno unico è in corso peraltro una procedura d’infrazione della Commissione Europea, che contesta al governo italiano il fatto che il bonus venga riconosciuto solo ai cittadini italiani e non anche a quelli di altri Stati membri che vivono in Italia.

Ma a rendere difficile per il governo recuperare una cifra vicina ai 6 miliardi intervenendo sulle tax expenditures c’è anche il fatto che, al di là delle centinaia di voci quasi irrilevanti che consentirebbero di aumentare di poco il gettito, ci sono poi poche agevolazioni che hanno un impatto enorme ma su cui si può fare ben poco prima del 2025. Circa il 40 per cento dell’effetto finanziario delle tax expenditures, e cioè 38 miliardi su 105, quest’anno riguarda i bonus edilizi, cioè il Superbonus e le altre agevolazioni sulle ristrutturazioni degli edifici introdotte perlopiù durante il secondo governo di Giuseppe Conte, a partire dal 2020.

Il governo di Meloni è intervenuto per limitare l’accesso a questi bonus, in particolare al Superbonus, che è il più costoso di tutti e produrrà proprio nei prossimi anni gli effetti più devastanti sul bilancio dello Stato. Infatti la maggior parte degli interventi edilizi compresi in questo bonus è stata fatta nel 2023, e chi ne ha beneficiato godrà di agevolazioni fiscali per i successivi cinque anni: per questo l’impatto finanziario del solo Superbonus crescerà ancora, dai 37,4 miliardi di euro del 2024 fino ai 38,9 miliardi nel 2026, per poi scendere a 21,5 miliardi nel 2027 e assestarsi intorno ai 2 miliardi negli anni seguenti fino al 2034.