La Corte d’appello di Lecce ha annullato la sentenza di primo grado sul presunto disastro ambientale all’ex ILVA di Taranto

Una manifestazione dei lavoratori dell'ex ILVA a Roma nel gennaio 2023
Una manifestazione dei lavoratori dell'ex ILVA a Roma nel gennaio 2023 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Venerdì la sezione distaccata di Taranto della Corte d’Assise d’appello di Lecce ha annullato la sentenza di primo grado del processo chiamato “Ambiente svenduto”, su presunte irregolarità nel controllo ambientale dello stabilimento ex ILVA di Taranto. Non c’è stata una sentenza: terminate le udienze del processo d’appello, il giudice Antonio Del Coco ha accolto con un’ordinanza la richiesta di spostare il processo a Potenza fatta dagli avvocati difensori, che avevano invocato quella che in gergo giuridico viene chiamata legitima suspicione (“legittimo sospetto”): secondo gli avvocati i giudici di Taranto, sia i magistrati sia la giuria popolare, erano a loro volta “parti offese” del presunto disastro ambientale, e quindi essendo potenzialmente vittime dei reati su cui si erano espressi non avrebbero avuto sufficiente libertà di giudizio. Le motivazioni dell’ordinanza verranno depositate entro 15 giorni.

Il giudice ha disposto il trasferimento degli atti alla procura di Potenza, in Basilicata, dove il processo ricomincerà da capo. Nel maggio 2021 erano state condannate 26 persone, tra le quali gli ex proprietari e amministratori dell’acciaieria Fabio e Nicola Riva (rispettivamente a 22 e 20 anni di reclusione); l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola (a 3 anni e mezzo), e l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido (a 3 anni). «L’inquinamento è stata un’invenzione? Morti e malattie non hanno responsabilità? Questa non è giustizia», ha commentato il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli. Anche attivisti e sindacati hanno commentato molto negativamente l’annullamento della sentenza.

L’ex ILVA è in crisi da anni e nell’ultimo periodo ha quasi del tutto interrotto la produzione, ma il governo vuole evitarne la chiusura perché avrebbe costi sociali ed economici altissimi: la società impiega da sola circa 10.500 dipendenti, ma dal suo funzionamento dipendono anche molte altre aziende a cui affida lavori non direttamente collegati alla produzione dell’acciaio. A luglio la Commissione Europea ha approvato il “prestito ponte” da 320 milioni di euro che il governo italiano voleva fare ad Acciaierie d’Italia, la società che gestisce lo stabilimento.

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