Una raffineria di petrolio in Nigeria potrebbe cambiare un sistema paradossale
Quello dei sussidi per la benzina, per i quali il paese spende moltissimo nonostante sia il primo produttore africano di greggio
Il 3 settembre Aliko Dangote, l’uomo più ricco della Nigeria e del continente africano, ha annunciato che, dopo molti ritardi, la sua nuova raffineria di petrolio ha iniziato a produrre benzina. Sui giornali locali, ma non solo, si sta discutendo se questa iniziativa privata riuscirà ad avere effetti positivi sulla cronica carenza di carburante del paese e a risolvere una situazione apparentemente paradossale: la Nigeria è il primo produttore africano di petrolio greggio, eppure importa tutta la benzina che consuma. La rivende poi agli abitanti a un prezzo molto basso, grazie a un meccanismo di sussidi diventato insostenibile per le finanze pubbliche.
La raffineria di Dangote si trova a Lekki, a est di Lagos, la principale città della Nigeria. È costata circa 20 miliardi di dollari, è stata costruita da 40mila persone e, una volta raggiunta la sua piena capacità (650mila barili di greggio raffinato al giorno, un terzo di tutto quello che la Nigeria produce e quasi l’1 per cento della produzione mondiale), potrebbe essere in grado di fornire tutta la benzina, il gasolio e il cherosene di cui il paese ha bisogno. Durante l’inaugurazione del nuovo impianto, nel maggio del 2023, Dangote aveva detto che la sua raffineria avrebbe messo fine alla «tragedia» della dipendenza del paese dalle importazioni.
La Nigeria è il più grande produttore di greggio dell’Africa e da questo settore dipende circa il 90 per cento delle entrate legate alle sue esportazioni. Il paese esporta però solo la materia prima non lavorata, e importa i prodotti raffinati. Le poche infrastrutture petrolifere esistenti sono malfunzionanti, e il settore è spesso coinvolto in episodi di furto e contrabbando. Come ha scritto in un lungo articolo Samuel Misteli sul quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung, più del 10 per cento del greggio viene rubato e spesso i ladri lo prendono direttamente dagli oleodotti, provocando ogni anno perdite allo stato per miliardi di dollari.
A rendere il settore petrolifero poco redditizio contribuisce anche il meccanismo statale delle sovvenzioni al prezzo del carburante. I prodotti raffinati che vengono importati sono sostenuti da sussidi statali: rimborsando la differenza agli importatori, lo stato consente che la benzina venga venduta ai consumatori a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato. I sussidi furono introdotti negli anni Settanta, sono molto apprezzati dalla popolazione e non sono destinati solo alla mobilità. La Nigeria è infatti uno dei paesi con il più basso numero di veicoli pro capite al mondo: 50 ogni mille abitanti (per fare un paragone, in Italia sono 684). In un paese dove quasi metà della popolazione non ha accesso all’elettricità o non ne riceve abbastanza a causa di una rete carente, il carburante serve soprattutto ad alimentare i generatori.
Tali sussidi mantengono artificialmente basso il prezzo della benzina: allo stesso tempo sono molto costosi, tolgono risorse statali ad altri settori che invece ne avrebbero bisogno, come sanità e istruzione, e bloccano gli investimenti nell’industria della raffinazione. Si stima che nel 2022 siano arrivati a costare circa 10 miliardi di dollari all’anno, assorbendo quasi il 40 per cento delle entrate statali. Il Fondo monetario internazionale sostiene che nel 2024 questi sussidi per il carburante costeranno alla Nigeria fino al 3 per cento del suo Prodotto Interno Lordo.
Poiché il meccanismo dei sussidi per la benzina è così costoso, non solo il governo non può permetterselo, ma la benzina sovvenzionata spesso finisce e causa lunghe file di auto ai distributori, proliferazione del mercato nero e proteste.
Nel maggio del 2023, poco dopo essere entrato in carica, il presidente Bola Ahmed Tinubu aveva subito annunciato la fine dei sussidi per il carburante, per consolidare il bilancio statale. L’annuncio e poi la messa in pratica della riforma avevano causato panico e confusione, costringendo il presidente a reintrodurli almeno parzialmente: le stazioni di servizio avevano raddoppiato o triplicato i prezzi della benzina, davanti ai distributori si erano create lunghissime code, gli autobus avevano aumentato le tariffe, e l’aumento dei prezzi dei trasporti aveva a sua volta causato un aumento nei prezzi dei prodotti alimentari, che viaggiano soprattutto su strada. Tutto questo mentre l’inflazione era e resta a livelli molto alti, e quasi due terzi della popolazione (circa 133 milioni di persone) vivono in condizioni di povertà, secondo i dati dell’ufficio statistico nazionale.
Molti politici ed economisti concordano con l’abolizione dei sussidi e sul fatto che la benzina debba essere venduta a un prezzo di mercato: la nuova raffineria di Dangote potrebbe rappresentare un passo importante in questa direzione. Il 5 settembre scorso Bloomberg ha scritto che il governo sta valutando di permettere a Dangote di stabilire autonomamente il prezzo della benzina che venderà, liberando dunque una grossa quota di fondi pubblici utilizzabile per l’assistenza sanitaria, l’istruzione e altri servizi. «La raffineria Dangote non venderà certamente i propri prodotti al di sotto del valore di mercato dato che è un’attività creata per realizzare profitti», ha detto a Bloomberg il portavoce del governo Temitope Ajayi, aggiungendo che il ruolo dell’ente regolatore dell’industria petrolifera del paese «sarà quello di garantire la qualità dei prodotti e un prezzo equo in modo che quell’attività non tragga un indebito vantaggio dai cittadini».
Tuttavia, gli ostacoli a questo cambiamento potrebbero essere molti. Eliminare completamente il sussidio potrebbe essere doloroso per la popolazione e dunque impopolare, con il rischio di nuove proteste e instabilità politica. L’Economist scrive che molti nigeriani considerano la benzina a basso costo come l’unico beneficio concreto che ricevono dal governo, e non come un drenaggio di entrate che potrebbero essere utilmente spese in altri settori. Inoltre, la corruzione diffusa e il noto sperpero di risorse pubbliche rendono la cancellazione dei sussidi ancora più difficile da accettare: «È difficile dire alla gente di essere paziente (…) quando la presidenza sta spendendo centinaia di milioni di dollari per un altro jet», ha detto ad esempio Esili Eigbe della società di consulenza Escap facendo riferimento al recente acquisto dell’ennesimo aereo presidenziale.
D’altra parte, la pessima situazione delle finanze pubbliche potrebbe non lasciare alternative, ed è probabile che il governo cerchi di raggiungere un accordo con Dangote. Ma ci vorrà del tempo prima che gli effetti positivi sull’economia si facciano sentire.