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  • Giovedì 12 settembre 2024

Il partito islamista che è andato molto bene alle ultime elezioni giordane

È la sezione locale dei Fratelli Musulmani, e ha saputo sfruttare le critiche al re Abdullah II, ritenuto troppo vicino all'Occidente e a Israele

Un evento nella sede del Fronte d'azione islamica ad Amman, in Giordania, lo scorso gennaio
Un evento nella sede del Fronte d'azione islamica ad Amman, in Giordania, lo scorso gennaio (REUTERS/Alaa Al Sukhni)
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In Giordania si sono tenute martedì le elezioni legislative per rinnovare la Camera bassa del parlamento, e il risultato più notevole è stato ottenuto dal Fronte di azione islamica, un partito islamista che è stato capace di sfruttare la rabbia nei confronti di Israele per la guerra a Gaza e di aumentare notevolmente la sua influenza nella politica giordana: il partito ha ottenuto 31 seggi su 138, triplicando il risultato delle precedenti elezioni.

Il risultato del Fronte non cambierà l’andamento della politica in Giordania, che comunque è un paese non libero dominato dal re Abdullah II: i partiti che sostengono l’attuale governo, fedeli alla politica adottata dal re, hanno ottenuto più di 70 seggi, e gli islamisti non avranno ruoli di governo in futuro. Ma il successo del Fronte è un sintomo di una situazione politica piuttosto delicata in Giordania dove il re, storico alleato dell’Occidente in Medio Oriente, è accusato di non fare abbastanza per fermare le devastanti operazioni militari israeliane contro i palestinesi nella Striscia di Gaza.

Una donna vota per le elezioni ad Amman, in Giordania

Una donna vota per le elezioni ad Amman, in Giordania (EPA/MOHAMMAD ALI)

Il Fronte di azione islamica è uno dei partiti storici della politica giordana, ed esiste da decenni. È la sezione giordana dei Fratelli Musulmani, un movimento politico nato in Egitto negli anni Venti del Novecento che promuove un modello di società fondato sulla dottrina dell’islam e ha posizioni conservatrici e radicali. Anche il gruppo radicale palestinese Hamas, originariamente, nacque come parte dei Fratelli Musulmani, anche se ormai da tempo il rapporto con il movimento si è distanziato e complicato.

Una manifestazione per la Palestina davanti all'ambasciata israeliana di Amman

Una manifestazione per la Palestina davanti all’ambasciata israeliana di Amman (EPA/MOHAMMAD ALI)

In Giordania il Fronte e i Fratelli Musulmani sono sempre stati più o meno tollerati dapprima da re Hussein, che ha governato il paese per gran parte della sua storia moderna, e poi da re Abdullah II, che governa dal 1999. Anche grazie a un sistema elettorale che aveva sempre favorito i partiti più vicini alla monarchia, il Fronte non ha mai ottenuto grossi risultati elettorali, ed è sempre stato relativamente poco influente nella politica giordana: alle elezioni del 2016 aveva ottenuto 16 seggi e a quelle del 2020 appena 10.

Il suo grosso successo è dovuto soprattutto alla rabbia di buona parte della popolazione nei confronti della situazione nella Striscia di Gaza, di cui il Fronte è riuscito ad approfittare, presentandosi come l’unico partito che difende i palestinesi davanti a una monarchia e a un governo ritenuti troppo arrendevoli nei confronti dell’Occidente e di Israele. Da mesi e con notevole frequenza, davanti all’ambasciata israeliana di Amman si tengono grosse e a volte violente manifestazioni antisraeliane, di cui il Fronte è uno dei principali animatori.

Una manifestazione per la Palestina davanti all'ambasciata israeliana di Amman

Una manifestazione per la Palestina davanti all’ambasciata israeliana di Amman (EPA/MOHAMMAD ALI)

La Giordania è effettivamente il più stabile e affidabile alleato dell’Occidente tra i paesi arabi del Medio Oriente, e ha una collaborazione piuttosto stretta anche con Israele. Quando ad aprile l’Iran ha lanciato centinaia di missili e droni contro Israele, la Giordania ha fatto parte di una coalizione di paesi (tra cui Stati Uniti e Regno Unito) che ha aiutato Israele a difendersi e a intercettare tutti gli attacchi iraniani: questo ha provocato grosse polemiche all’interno del paese e amplificato l’idea che il governo sia troppo influenzato dall’Occidente.

Negli ultimi mesi la monarchia e il governo hanno cercato di riequilibrare questa situazione criticando duramente Israele, almeno a parole: il ministro degli Esteri Ayman Safadi ha più volte definito le azioni militari israeliane a Gaza un genocidio. La regina Rania, moglie di Abdullah II, ha fatto numerosi interventi pubblici in cui ha condannato Israele. E il paese si è impegnato molto nell’invio di aiuti umanitari ai civili nella Striscia. Per buona parte della popolazione, però, questi sforzi non sono sufficienti, e questo ha portato all’aumento dei consensi del Fronte d’azione islamica.

In Giordania circa la metà dei cittadini è di origine palestinese: molti sono arrivati nel paese nel corso del Novecento in seguito a successive emigrazioni di massa (tra cui la “nakba”, la “catastrofe” palestinese che costrinse centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla Palestina dopo la fondazione dello stato di Israele). I cittadini di origine palestinese vivono soprattutto nelle città, hanno maggiore avversione nei confronti di Israele e sono più radicali dal punto di vista religioso.

L’altro grosso gruppo etnico giordano è quello dei beduini, che costituisce il nucleo del sostegno storico alla monarchia di re Abdullah II. I beduini vivono nelle zone rurali e sono generalmente più moderati dal punto di vista religioso.

Formalmente la Giordania è una monarchia costituzionale, ma in realtà il re ha poteri esecutivi e legislativi estremamente ampi, che fanno sì che il paese non sia ritenuto davvero libero, anche se l’opposizione è parzialmente ammessa. Il re nomina il primo ministro, il Senato e la Corte costituzionale ed è il comandante in capo dell’esercito. I media e i diritti civili sono fortemente limitati.

Il re di Giordania Abdullah II

Re Abdullah II (AP Photo/Paul White)

La Camera è l’unico organo democraticamente eletto, ma la legge elettorale è pensata in modo da mantenere saldo il controllo della monarchia: storicamente il sistema elettorale giordano ha sempre favorito le zone rurali e i distretti dove il sostegno al re è più forte, attraverso un sistema di preferenze molto rigido che di fatto annullava l’influenza dei partiti nazionali e favoriva la nomina di candidati indipendenti provenienti dalle regioni tribali favorevoli alla monarchia.

Questo sistema è stato parzialmente rivisto nel 2022, con riforme che hanno aumentato la rappresentatività dei partiti. Oggi in Giordania gli elettori possono esprimere due voti: uno per eleggere un rappresentante nel proprio distretto, con metodi che sono ancora architettati per favorire le forze moderate e monarchiche, e uno per eleggere il rappresentante di un partito. Ai partiti sono stati riservati 41 seggi, e la maggioranza è stata vinta proprio dal Fronte di azione islamica. La Camera bassa rimarrà comunque dominata da formazioni politiche fedeli alla monarchia.