Il partito islamista che è andato molto bene alle ultime elezioni giordane
È la sezione locale dei Fratelli Musulmani, e ha saputo sfruttare le critiche al re Abdullah II, ritenuto troppo vicino all'Occidente e a Israele
In Giordania si sono tenute martedì le elezioni legislative per rinnovare la Camera bassa del parlamento, e il risultato più notevole è stato ottenuto dal Fronte di azione islamica, un partito islamista che è stato capace di sfruttare la rabbia nei confronti di Israele per la guerra a Gaza e di aumentare notevolmente la sua influenza nella politica giordana: il partito ha ottenuto 31 seggi su 138, triplicando il risultato delle precedenti elezioni.
Il risultato del Fronte non cambierà l’andamento della politica in Giordania, che comunque è un paese non libero dominato dal re Abdullah II: i partiti che sostengono l’attuale governo, fedeli alla politica adottata dal re, hanno ottenuto più di 70 seggi, e gli islamisti non avranno ruoli di governo in futuro. Ma il successo del Fronte è un sintomo di una situazione politica piuttosto delicata in Giordania dove il re, storico alleato dell’Occidente in Medio Oriente, è accusato di non fare abbastanza per fermare le devastanti operazioni militari israeliane contro i palestinesi nella Striscia di Gaza.
Il Fronte di azione islamica è uno dei partiti storici della politica giordana, ed esiste da decenni. È la sezione giordana dei Fratelli Musulmani, un movimento politico nato in Egitto negli anni Venti del Novecento che promuove un modello di società fondato sulla dottrina dell’islam e ha posizioni conservatrici e radicali. Anche il gruppo radicale palestinese Hamas, originariamente, nacque come parte dei Fratelli Musulmani, anche se ormai da tempo il rapporto con il movimento si è distanziato e complicato.
In Giordania il Fronte e i Fratelli Musulmani sono sempre stati più o meno tollerati dapprima da re Hussein, che ha governato il paese per gran parte della sua storia moderna, e poi da re Abdullah II, che governa dal 1999. Anche grazie a un sistema elettorale che aveva sempre favorito i partiti più vicini alla monarchia, il Fronte non ha mai ottenuto grossi risultati elettorali, ed è sempre stato relativamente poco influente nella politica giordana: alle elezioni del 2016 aveva ottenuto 16 seggi e a quelle del 2020 appena 10.
Il suo grosso successo è dovuto soprattutto alla rabbia di buona parte della popolazione nei confronti della situazione nella Striscia di Gaza, di cui il Fronte è riuscito ad approfittare, presentandosi come l’unico partito che difende i palestinesi davanti a una monarchia e a un governo ritenuti troppo arrendevoli nei confronti dell’Occidente e di Israele. Da mesi e con notevole frequenza, davanti all’ambasciata israeliana di Amman si tengono grosse e a volte violente manifestazioni antisraeliane, di cui il Fronte è uno dei principali animatori.
La Giordania è effettivamente il più stabile e affidabile alleato dell’Occidente tra i paesi arabi del Medio Oriente, e ha una collaborazione piuttosto stretta anche con Israele. Quando ad aprile l’Iran ha lanciato centinaia di missili e droni contro Israele, la Giordania ha fatto parte di una coalizione di paesi (tra cui Stati Uniti e Regno Unito) che ha aiutato Israele a difendersi e a intercettare tutti gli attacchi iraniani: questo ha provocato grosse polemiche all’interno del paese e amplificato l’idea che il governo sia troppo influenzato dall’Occidente.
Negli ultimi mesi la monarchia e il governo hanno cercato di riequilibrare questa situazione criticando duramente Israele, almeno a parole: il ministro degli Esteri Ayman Safadi ha più volte definito le azioni militari israeliane a Gaza un genocidio. La regina Rania, moglie di Abdullah II, ha fatto numerosi interventi pubblici in cui ha condannato Israele. E il paese si è impegnato molto nell’invio di aiuti umanitari ai civili nella Striscia. Per buona parte della popolazione, però, questi sforzi non sono sufficienti, e questo ha portato all’aumento dei consensi del Fronte d’azione islamica.
In Giordania circa la metà dei cittadini è di origine palestinese: molti sono arrivati nel paese nel corso del Novecento in seguito a successive emigrazioni di massa (tra cui la “nakba”, la “catastrofe” palestinese che costrinse centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla Palestina dopo la fondazione dello stato di Israele). I cittadini di origine palestinese vivono soprattutto nelle città, hanno maggiore avversione nei confronti di Israele e sono più radicali dal punto di vista religioso.
L’altro grosso gruppo etnico giordano è quello dei beduini, che costituisce il nucleo del sostegno storico alla monarchia di re Abdullah II. I beduini vivono nelle zone rurali e sono generalmente più moderati dal punto di vista religioso.
Formalmente la Giordania è una monarchia costituzionale, ma in realtà il re ha poteri esecutivi e legislativi estremamente ampi, che fanno sì che il paese non sia ritenuto davvero libero, anche se l’opposizione è parzialmente ammessa. Il re nomina il primo ministro, il Senato e la Corte costituzionale ed è il comandante in capo dell’esercito. I media e i diritti civili sono fortemente limitati.
La Camera è l’unico organo democraticamente eletto, ma la legge elettorale è pensata in modo da mantenere saldo il controllo della monarchia: storicamente il sistema elettorale giordano ha sempre favorito le zone rurali e i distretti dove il sostegno al re è più forte, attraverso un sistema di preferenze molto rigido che di fatto annullava l’influenza dei partiti nazionali e favoriva la nomina di candidati indipendenti provenienti dalle regioni tribali favorevoli alla monarchia.
Questo sistema è stato parzialmente rivisto nel 2022, con riforme che hanno aumentato la rappresentatività dei partiti. Oggi in Giordania gli elettori possono esprimere due voti: uno per eleggere un rappresentante nel proprio distretto, con metodi che sono ancora architettati per favorire le forze moderate e monarchiche, e uno per eleggere il rappresentante di un partito. Ai partiti sono stati riservati 41 seggi, e la maggioranza è stata vinta proprio dal Fronte di azione islamica. La Camera bassa rimarrà comunque dominata da formazioni politiche fedeli alla monarchia.