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  • Giovedì 12 settembre 2024

Quanto contano gli endorsement delle celebrità nella politica americana

Se ne riparla dopo quello di Taylor Swift a Kamala Harris: sono generalmente utili e possono smuovere la registrazione al voto, ma a volte hanno fatto anche danni

(Taylor Swift su Instagram)
(Taylor Swift su Instagram)
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Martedì, pochi minuti dopo la fine del dibattito fra Donald Trump e Kamala Harris, i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, la cantante Taylor Swift ha pubblicato un post su Instagram per annunciare che a novembre avrebbe votato per Harris. La sua dichiarazione di voto è molto significativa per via del suo enorme pubblico ed era molto attesa: nonostante avesse appoggiato candidati Democratici in passato, fra cui lo stesso presidente Joe Biden alle elezioni del 2020, non si era ancora espressa riguardo alle elezioni del 2024.

La pratica di dichiarare pubblicamente il proprio sostegno per un candidato piuttosto che per un altro (endorsement, in inglese) da parte delle celebrità esiste da decenni negli Stati Uniti, ma è diventata molto più comune negli ultimi anni. I politici cercano attivamente di assicurarsi il supporto di famosi cantanti, attori e più recentemente anche di influencer, ma non esiste in realtà un consenso sull’efficacia di queste prese di posizione: sono genericamente viste come positive per chi le riceve, ma quantificare la loro utilità è molto complesso e in alcuni casi, uno fra tutti quello di Hillary Clinton nel 2016, si sono anche rivelate controproducenti.

I primi endorsement di celebrità per candidati alla presidenza statunitense risalgono a più di cento anni fa: nel 1920 il cantante e attore Al Jolson e l’attrice di film muti Mary Pickford diedero il loro sostegno al candidato Repubblicano Warren G. Harding, che fu poi eletto presidente. Frank Sinatra fece lo stesso per altri tre candidati che vinsero le elezioni, ossia Franklin D. Roosevelt, John F. Kennedy (che ottenne il sostegno di molte altre celebrità fra cui Judy Garland ed Ella Fitzgerald) e Ronald Reagan, che Sinatra definì «un uomo perbene» e «un amico di lunga data».

Un caso più recente e molto noto è quello dell’endorsement nel 2008 a Barack Obama da parte di Oprah Winfrey, la presentatrice più famosa e influente della tv americana. Prima di allora Winfrey non si era mai esposta politicamente ed era registrata come un’elettrice indipendente, una pratica comune per molti personaggi famosi che non vogliono rendere noto il partito per cui votano.

Winfrey sostenne Obama fin dalle primarie del Partito Democratico, partecipando a diversi comizi, e secondo gli esperti fu molto utile alla sua elezione: uno studio della Northwestern University e della University of Maryland stimò che il sostegno di Winfrey avesse portato a Obama addirittura un milione di voti in più. Obama fu anche appoggiato dalla cantante Beyoncé e da LeBron James, uno dei giocatori di basket più famosi di sempre e che fino a quel momento non si era mai espresso pubblicamente sulla politica.

Barack Obama con sua moglie Michelle Obama e Oprah Winfrey a un comizio nel 2007 (AP Photo/Jim Cole)

Non sempre  però gli endorsement funzionano, e a volte possono essere persino dannosi. I motivi per cui Hillary Clinton perse contro Donald Trump nel 2016 furono molti e complessi, ma tra quelli citati dagli analisti ci fu l’esteso sostegno ricevuto tra le celebrità di Hollywood, che contribuì a far percepire la sua candidatura come elitaria e distante dagli elettori comuni.

Quando Trump vinse le primarie Repubblicane decine di personaggi famosi, inclusa Winfrey, si schierarono con Clinton, sostenendo che votare lei, una candidata che già non piaceva a molti elettori Democratici, fosse l’unico modo per salvare la democrazia degli Stati Uniti. L’esempio più emblematico di questo atteggiamento fu un video chiamato IMPORTANT a cui presero parte più di venti attori fra cui Robert Downey Jr., Julianne Moore, Scarlett Johansson, Mark Ruffalo e Stanley Tucci. Nel video esortavano le persone a registrarsi per votare e a eleggere Clinton, mentre Trump veniva descritto come un «razzista e un violento codardo che potrebbe danneggiare permanentemente il tessuto della nostra società».

Il video all’inizio fu accolto positivamente, ma in seguito molti sostennero che avesse fatto più male che bene alla campagna di Clinton: Trump sfruttò infatti la situazione per rafforzare la sua immagine di candidato del popolo che resisteva da solo contro il potere dell’establishment americano, nonostante facesse lui stesso parte di quel mondo. Nel 2019 Taylor Swift spiegò a Vogue di non aver dato il suo endorsement a Clinton tre anni prima proprio per questo motivo: disse che era giunta alla conclusione che esporsi a favore di Clinton «non avrebbe aiutato», dato che Trump stava «usando come un’arma l’idea dell’endorsement delle celebrità».

Per quella sua scelta fu molto criticata e da allora si è quasi sempre espressa sulle elezioni presidenziali e legislative. Non tutti i suoi endorsement hanno però avuto successo: quando lo diede nel 2018 a Phil Bredesen e Jim Cooper, due politici Democratici del Tennessee candidati rispettivamente alle elezioni per il Senato e per la Camera, solo Cooper fu eletto (era un politico di lungo corso che occupava quel seggio dal 2003) mentre Bredesen, che era stato governatore dello stato ma non si era mai candidato alla Camera, fu battuto dalla rivale Repubblicana Marsha Blackburn.

Il contributo di Swift alle elezioni del 2018 fu comunque considerato importante perché spronò molte persone a registrarsi per votare: quando mise una storia su Instagram con un link alla piattaforma Vote.org, 65mila persone si registrarono nelle 24 ore seguenti e il numero salì a oltre 250mila nei due giorni successivi. Quando fece la stessa cosa nel 2023 le persone che si registrarono nelle ore successive furono circa 35mila.

Nel 2020 diede il suo sostegno a Joe Biden e Kamala Harris, motivo per il quale molti si aspettavano che l’avrebbe rifatto per le elezioni del 2024. Non è però chiaro quanto questa presa di posizione abbia influenzato il risultato delle scorse elezioni.

Diversi studi sulla partecipazione politica delle celebrità, fra cui uno della Kennedy School di Harvard pubblicato nel 2024, hanno rilevato infatti che negli ultimi anni le dichiarazioni di voto delle celebrità sono servite più per mobilitare le persone a registrarsi per votare che a portare effettivamente voti per una parte o per l’altra. Secondo Alyssa Cass, capo della strategia alla società di ricerca Democratica Blueprint, un endorsement può essere veramente efficace in termini di spostamento di voti se è fatto da una celebrità estremamente famosa e che non si era mai espressa prima, come nel caso di Winfrey nel 2008.

Oggi invece le dichiarazioni di voto sono diventate in molti casi superflue perché alle celebrità è sempre più richiesto, specialmente dal loro pubblico più giovane, di esporsi politicamente nel quotidiano. Le loro opinioni su temi come l’aborto, la regolamentazione delle armi o il movimento Black Lives Matter, che ormai dividono in modo quasi binario l’elettorato Democratico da quello Repubblicano, sono spesso già note e non è difficile immaginarsi per chi votino. I fan di Taylor Swift in linea di massima sanno già che lei vota per il Partito Democratico, senza bisogno che lo specifichi.

Per questo motivo secondo lo studio di Harvard gli endorsement sono utili a tenere vivo il dibattito e a ricordare alle persone che bisogna registrarsi per votare, più che a cambiare le loro opinioni. L’autrice dello studio, Ashley Spillane, ha detto ad ABC News che pochissime persone, specialmente più giovani, hanno fiducia nel processo elettorale e nella classe politica, nonostante molte di loro siano attive politicamente. In questo contesto le celebrità possono aiutare a rendere di nuovo «cool» il processo elettorale, e allo stesso tempo beneficiare del ritorno di immagine tra i fan dovuto all’essersi esposti politicamente. «Votare dovrebbe essere la cosa più trendy e cool da fare», ha detto Spillane. «E lo studio dimostra che, quando le persone lo considerano tale, partecipano alle elezioni».

Anche Cass ha parlato degli endorsement in questi termini, sostenendo che oggi servano più che altro a dare ai candidati un senso di «coolness». Cass sostiene che la dichiarazione di voto di Taylor Swift, che è un personaggio valutato in modo positivo o neutrale dalla maggior parte degli elettori, aiuti Harris a mostrarsi come una candidata più alla moda, una caratteristica che per esempio mancava totalmente a Hillary Clinton.

Harris sta invece riuscendo meglio a presentarsi in questo modo, anche grazie a degli endorsement più discreti, come ad esempio quello di Beyoncé, che non ha pubblicamente detto che voterà per lei, ma le ha permesso di usare la sua canzone “Freedom” come colonna sonora della sua campagna elettorale. È chiaro che la cantante abbia dato il suo esplicito consenso perché quando Trump ha usato la stessa canzone in un suo spot elettorale il team di Beyoncé ha subito chiesto che venisse rimosso.

In questo senso ha aiutato Harris anche la cantante britannica Charli XCX che l’ha definita “brat”, ossia “ragazzaccia”, a partire dal titolo del suo ultimo album, che è stato uno dei più ascoltati dalla Generazione Z quest’estate.