Il lavoro più difficile a Milano
È l’assessore alla Casa, che è cambiato di recente e ha poco tempo per risolvere problemi che sembrano irrisolvibili
di Valeria Sforzini
Milano è la città in Italia in cui il settore immobiliare raggiunge i prezzi più alti, ci sono tante case di edilizia popolare sfitte e studenti e lavoratori faticano a trovare un posto dove vivere a prezzi abbordabili. Per gli amministratori locali trovare soluzioni ai problemi di Milano senza che vengano introdotte prima delle regole più strutturali a livello nazionale è complicato.
A luglio è stato nominato un nuovo assessore alla Casa, Guido Bardelli, che ha preso il posto di Pierfrancesco Maran dopo la sua elezione al Parlamento europeo. Il sindaco Beppe Sala ha motivato la scelta descrivendolo come una persona estremamente competente e presentandolo come una figura tecnica. Bardelli infatti non è un politico ma un avvocato cassazionista esperto di urbanistica, edilizia e appalti pubblici. Il tempo che ha disposizione per fare degli interventi significativi però non è molto, dal momento che l’attuale giunta comunale resterà in carica fino alla fine del 2026.
Fino a qualche anno fa l’assessore con delega alla Casa a Milano si occupava perlopiù delle case popolari, e a questa competenza erano quasi sempre affiancate altre deleghe, come i Lavori pubblici e il Piano quartieri (era così anche per Maran, per esempio). A luglio invece Bardelli ha ricevuto solo la delega alla Casa: la questione è stata ritenuta evidentemente così importante e urgente da dover essere gestita singolarmente. A Milano ci sono ancora molti problemi da risolvere sulle case popolari, ma oggi ad avere difficoltà a trovare un posto dove vivere non sono più solo le persone con i redditi più bassi, ma anche quelle con un reddito considerato medio o medio-basso.
Quella che viene definita “emergenza casa” a Milano è cominciata almeno dieci anni fa, ma si è intensificata negli ultimi due. Dopo anni in cui la domanda di case in vendita era continuata a crescere, nel 2023 sono state vendute molte meno case. È successo in tutta Italia come conseguenza della politica monetaria decisa dalla Banca Centrale Europea per combattere l’inflazione: in due anni i tassi di interesse di riferimento sono aumentati di oltre 4 punti percentuali, facendo salire di conseguenza il costo dei mutui sia per chi lo aveva già a tasso variabile sia per chi doveva chiederne uno per comprare casa. A Milano però il calo di vendite è stato più evidente che altrove: nel primo semestre 2024, come risulta alla società di ricerche economiche e di mercato Nomisma, è stato del 13 per cento, mentre la media della riduzione nel resto d’Italia è stata intorno al 9 per cento.
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Questo ha fatto sì che ha potuto comprare casa solo chi non aveva bisogno di aprire un mutuo (cioè generalmente le persone più ricche, con liquidità disponibile), mentre chi non poteva permetterselo è stato costretto nella gran parte dei casi a ripiegare su un affitto. Così la domanda di affitti è molto aumentata, e insieme sono aumentati anche i canoni. Sono stati fatti sempre più contratti di affitto a breve termine (da non confondere con gli affitti brevi in stile Airbnb): invece del solito “4 + 4” (ovvero quattro anni più altri quattro), sempre più proprietari di casa hanno cominciato a proporre contratti della durata di un anno o due, una pratica che permette di alzare ogni volta il prezzo alla scadenza adeguandolo all’inflazione e al mercato.
Il mercato di Milano «tende a esser esclusivo e non inclusivo, accessibile per chi ha disponibilità economica e inaccessibile per chi deve chiedere un mutuo o affittare, e molti sono costretti ad andare fuori città», dice Elena Molignoni, responsabile dell’Osservatorio immobiliare di Nomisma. Gli affitti sono aumentati anche per via di quello che viene definito da Molignoni un “effetto contagio”: negli ultimi anni sono state fatte molte riqualificazioni di quartieri e zone, che hanno fatto alzare il valore degli immobili nelle vicinanze. Una delle possibili soluzioni che vengono solitamente citate in questi casi è quella di costruire di più per aumentare l’offerta, ma a Milano «si costruiscono soprattutto immobili di lusso perché è un mercato che piace molto agli investitori internazionali», continua Molignoni. Questo si traduce in costi più elevati.
A inizio luglio la nomina di Bardelli a nuovo assessore alla Casa era stata particolarmente attesa e seguita, proprio per l’importanza che il tema ha assunto in città. Le sue competenze in tema di urbanistica sembrano potenzialmente utili anche per un altro grosso problema con cui l’amministrazione comunale si sta confrontando da qualche tempo, ovvero quello dei permessi per la costruzione di nuovi edifici. Nei mesi scorsi la procura di Milano ha infatti aperto diverse inchieste su presunti illeciti (ovvero che certi progetti di palazzi di grandi dimensioni venissero trattati come ristrutturazioni di edifici molto più piccoli). Dopo l’inizio delle indagini sono diminuite drasticamente le nuove autorizzazioni a costruire, e di conseguenza sono diminuiti molto gli oneri di urbanizzazione, cioè soldi o opere che il comune incassa a fronte di nuove edificazioni.
Da tempo il comune di Milano (e non solo) chiede al governo più sostegno nelle politiche sulla casa: incentivi per il canone concordato (cioè contratti più convenienti con sgravi fiscali per i proprietari delle case), fondi per le case di edilizia popolare, un limite alla crescita degli affitti. Anche se azioni centralizzate di questo genere sono molto importanti, l’assessorato ha comunque qualche margine per intervenire: può introdurre contratti a canone concordato, scegliere di riqualificare edifici inutilizzati o incentivare le cooperative per la casa, che affittano a lungo termine a prezzi bassi. Per riuscire a cambiare la situazione servono però grossi investimenti e molto tempo.
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Durante il suo assessorato, Maran ha avviato diversi progetti che facevano parte di un piano triennale (che non ha fatto in tempo a concludere): sono perlopiù progetti ancora nelle fasi iniziali e di cui si potranno giudicare gli esiti solo tra mesi o anni. Tra le altre cose, lo scorso gennaio Maran aveva avviato un negoziato con Invimit, società di gestione del patrimonio del ministero dell’Economia e delle Finanze, per creare un “Fondo casa”, ovvero un fondo immobiliare che servirebbe al comune per avere più soldi a disposizione per la gestione e ristrutturazione delle case popolari. L’obiettivo sarebbe quello di ricavare dal patrimonio immobiliare esistente 25mila case popolari e 10mila per progetti di affordable housing (alloggi a prezzi accessibili, più bassi del prezzo di mercato) per studenti, studentesse, lavoratrici e lavoratori. Se ne parla da circa un anno, ma questi negoziati richiedono tempo e ora spetterà a Bardelli portarli avanti e provare a chiuderli.
A settembre del 2023 era partito poi il progetto “Casa ai lavoratori” per agevolare i lavoratori a basso reddito. Il progetto coinvolge società come Atm, Amsa (che si occupano rispettivamente dei trasporti e della gestione dei rifiuti in città) e altre aziende e organizzazioni del terzo settore nella ristrutturazione di 316 appartamenti sfitti del patrimonio pubblico, per affittarle poi ai propri lavoratori a un canone più basso rispetto al prezzo di mercato. Anche se l’amministrazione ci sta lavorando è ancora solo un progetto e, almeno in una prima fase, riguarderebbe un numero limitato di persone. È ancora in fase progettuale anche lo “studentato diffuso”, che punta a creare entro il prossimo anno accademico 600 nuovi posti letto da affittare agli studenti a una tariffa tra i 250 e i 350 euro al mese, riqualificando 311 alloggi in complessi di edilizia popolare.
Una delle azioni concrete già fatte dall’amministrazione comunale negli ultimi anni per risolvere il problema degli affitti alti è stato invece l’aggiornamento del canone concordato, ovvero la misura (inquadrata da leggi nazionali) che incentiva i proprietari di casa ad affittare a un prezzo più basso di quello di mercato dando loro agevolazioni fiscali. A Milano è stata attivata nel 2023, prevede per gli affittuari una tassazione al 10 invece che al 21 per cento ed è stata estesa anche alle stanze, per rispondere alle richieste degli studenti. È una misura potenzialmente molto utile, ma che di fatto è usata ancora pochissimo, principalmente perché i proprietari di casa guadagnano molto di più affittando a un canone normale e l’incentivo non è sufficiente a colmare il divario coi prezzi del mercato milanese: si stima che nel 2023 solo lo 0,5 per cento delle case in città sia stato affittato con questo sistema, mentre a Roma il 5,4 per cento.
La percezione di Milano è cambiata dopo l’Expo del 2015. Se prima era considerata una città con poche attrattive, nell’immaginario comune fatta perlopiù di banche e fabbriche, nel giro di un decennio è molto aumentata l’offerta degli eventi e della cultura ed è diventata più attraente per turisti, aziende, università e istituti di formazione. In generale, la città è stata associata a uno stile di vita più sofisticato e internazionale rispetto al resto d’Italia. Con questo sono aumentate anche le persone che si sono trasferite a Milano per lavoro o per studiare, ma anche i turisti. Nel 2001 la popolazione residente era di circa 1 milione e 250mila persone, nel 2023 di 1 milione e 417mila residenti (cioè 167mila persone in più, che corrispondono più o meno alla popolazione di una città come Livorno). È un numero certamente sottostimato perché non tiene conto di chi vive in città senza avere la residenza, ma su questo dato il comune dice di non essere in grado di fare stime ufficiali.
In breve tempo il problema della casa ha iniziato a riguardare fasce sempre più ampie della popolazione, in particolare quelle con un reddito più alto rispetto a chi può fare domanda per un alloggio popolare, ma comunque basso per i prezzi raggiunti dal mercato.
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Milano è stata la prima città in Italia dove il problema della casa è emerso in modo così evidente, ma c’erano già stati casi simili in Europa: «Avevo chiaro il problema relativo alle città metropolitane. Era la cronaca locale di Barcellona, di Parigi e di Lione a far capire che sarebbe arrivato anche a Milano», dice l’ex assessore Maran. Queste città hanno iniziato a confrontarsi con questioni come l’aumento degli affitti, scarsa disponibilità di case e affitti brevi prima di Milano, e ognuna ha adottato soluzioni più o meno radicali. Barcellona è quella che di recente ha fatto più discutere: a giugno il sindaco della città Jaume Collboni ha annunciato l’intenzione di vietare del tutto gli affitti brevi dal 2029. Parigi ha fatto invece un grosso investimento sulle case di edilizia pubblica, puntando molto anche sul recupero degli edifici dismessi per far rimanere in città le persone con un reddito medio-basso.
Fare un confronto con le altre capitali europee in ogni caso ha senso fino a un certo punto, perché ogni città è un caso a sé. Secondo Massimo Bricocoli, coordinatore dell’Osservatorio Casa Abbordabile e direttore del dipartimento di Architettura e studi urbani del Politecnico di Milano, per risolvere il problema della casa a Milano si dovrebbe partire da un valore universale, che è quello che chiama “affordability” (che l’osservatorio traduce in italiano appunto con “abbordabilità”). «Un assunto consolidato indica che, per essere abbordabile – ossia economicamente sostenibile – la spesa per l’abitazione non debba superare il 30% del reddito», si legge sull’ultimo rapporto dell’Osservatorio Casa Abbordabile, ma a Milano nella grande maggioranza dei casi non è così. «Tutti sono sconvolti dai prezzi delle case, ma il problema è che trovi chi è disposto a pagarli», aggiunge Maran. Chi non riesce, soprattutto i giovani, è costretto ad andarsene.
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Comprare o affittare una casa a Milano nel 2023 costava mediamente il 40 per cento in più rispetto al 2015, ma ai prezzi più alti non è corrisposto un aumento dei redditi: nello stesso periodo sono aumentati in termini reali – tenendo cioè conto dell’inflazione – solo del 5 per cento. Negli ultimi anni ci sono state sempre più proteste delle categorie più penalizzate, che chiedono un intervento da parte della politica. Nel 2023 gli studenti avevano fatto quella che è stata chiamata “la protesta delle tende”, accampandosi fuori dalle università per denunciare l’impossibilità di trovare una stanza in affitto a un prezzo abbordabile: era stata un’iniziativa inizialmente piccola e partita dal basso, ma aveva via via assunto una certa rilevanza simbolica dei problemi sulla casa della città. Milano è infatti la città più cara per gli studenti: secondo una ricerca dell’istituto indipendente Scenari Immobiliari affittare una stanza singola costa circa 10mila euro all’anno, corrispondenti a circa 860 euro al mese, ovvero il 45 per cento in più della media del mercato italiano.
La città è diventata più attrattiva anche per gli istituti di formazione e le università, e così sono aumentati anche gli studenti. Dieci anni fa i fuori sede erano 45mila, oggi sono oltre 92mila: in dieci anni sono più che raddoppiati. I posti letto a disposizione negli studentati — cioè edifici con stanze singole, condivise o piccoli appartamenti, interamente dedicati agli universitari — sono però solo 14.500, e bastano appena per il 15,7 per cento del totale. Quello degli studentati è un settore che sta crescendo molto a Milano, anche per via dei fondi stanziati dal PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato dall’Unione Europea per uscire dalla crisi dovuta alla pandemia. Entro il 2026 (data di scadenza dei progetti finanziati col PNRR) dovrebbero essere costruite molte nuove residenze pubbliche e private in città, circa 5mila in più, e non basteranno ancora.
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