È morto l’ex dittatore del Perù Alberto Fujimori
Governò in modo autoritario dal 1990 al 2000 e fu condannato per corruzione, abuso di potere e violazione dei diritti umani: aveva 86 anni
Mercoledì è morto a 86 anni l’ex presidente del Perù Alberto Fujimori, che governò in maniera autoritaria il paese dal 1990 al 2000. Fujimori aveva gravi problemi di salute da tempo: la morte è stata confermata dalla figlia Keiko, leader dell’opposizione peruviana.
Alberto Fujimori, figlio di immigrati giapponesi, è ricordato per avere ridato impulso all’economia peruviana in un momento complicato e per avere represso le ribellioni tentate da due movimenti di sinistra nel paese, ma anche per avere governato in modo dittatoriale. Negli ultimi quindici anni era stato al centro di una lunga vicenda giudiziaria legata alla sua condanna per corruzione, abuso di potere e violazione dei diritti umani, tutti reati commessi durante i suoi mandati presidenziali.
Il suo medico, José Carlos Gutiérrez, ha detto che gli era stato diagnosticato un cancro all’inizio dell’anno e che la sua morte è legata a «complicazioni relative alla malattia».
Nato a Lima il 28 luglio del 1938, Fujimori fu eletto presidente per la prima volta nel 1990, superando inaspettatamente al ballottaggio lo scrittore Mario Vargas Llosa. Per i suoi sostenitori, Fujimori fu l’uomo che salvò il Perù dal movimento rivoluzionario Tupac Amaru (MRTA), di ispirazione marxista e leninista, e dal gruppo terroristico “Sendero Luminoso”, che dagli anni Ottanta cercò di prendere il potere attraverso una serie di attentati esplosivi in luoghi pubblici, omicidi e rapimenti, e all’epoca era all’apice della sua attività. Nel 1992 tuttavia sciolse il parlamento, accusandolo di impedirgli di mettere in atto le misure necessarie per la tutela del paese, e cominciò a governare per decreto, concentrandosi sulla violenta repressione dei movimenti di sinistra che risultò nell’uccisione di quasi 70mila persone.
In particolare tra il 1991 e il 1992 furono compiuti diversi massacri dallo squadrone conosciuto come Grupo Colina, un distaccamento dell’esercito peruviano formato dallo stesso governo di Fujimori per combattere Sendero Luminoso, ma che finì per uccidere una sessantina di persone, tra cui minori e oppositori politici. Tra questi ci furono il massacro di Barrios Altos, in centro a Lima, dove il 3 novembre del 1991 lo squadrone uccise 15 persone, compreso un bambino di otto anni, e quello della Cantuta, in cui il 18 luglio successivo nove studenti e un professore dell’omonima università furono rapiti, torturati e uccisi.
Nel dicembre del 1996 invece l’MRTA occupò la residenza dell’ambasciatore giapponese a Lima, tenendo in ostaggio 72 persone per 126 giorni: la vicenda si concluse con un’operazione militare ordinata da Fujimori in cui furono uccisi 14 membri del gruppo, un prigioniero e due operatori di soccorso.
Dopo una guerriglia molto violenta e l’arresto del leader e fondatore di Sendero Luminoso, l’ex professore di filosofia Abimael Guzmán, il gruppo si indebolì. Le decine di migliaia di peruviani che si trovarono loro malgrado al centro della violenta repressione cominciarono a vedere il presidente come una figura autoritaria e un dittatore spregiudicato.
Al tempo la Costituzione peruviana prevedeva un massimo di due mandati presidenziali consecutivi: Fujimori tuttavia si candidò anche alle elezioni del 2000, sostenendo di poterlo fare, visto che il testo era stato promulgato nel 1993, dopo lo scioglimento del Congresso. Fu rieletto senza aver avuto alcun rivale, ma nello stesso anno fu costretto a dimettersi a causa delle accuse di corruzione che coinvolsero il capo dei servizi segreti, Vladimiro Montesinos, ripreso in un video mentre tentava di corrompere un deputato dell’opposizione.
Dapprima Fujimori scappò in Giappone, paese che gli aveva riconosciuto la nazionalità, dove diede le sue dimissioni con un fax inviato da Tokyo, e dopo si rifugiò in Cile: in tutto questo periodo disse di volersi candidare nuovamente alla presidenza in Perù.
Nel 2007 fu infine estradato nel paese e due anni dopo condannato a 25 anni di carcere per corruzione, abuso di potere e violazione dei diritti umani per i fatti compiuti durante i suoi mandati presidenziali. Nel 2017 fu però scarcerato dopo avere ricevuto la grazia dal presidente Pedro Pablo Kuczynski, ufficialmente per motivi di salute: l’anno successivo la Corte Suprema peruviana annullò la grazia e ordinò che Fujimori tornasse in carcere per scontare il resto della pena: Fujimori fece ricorso in appello ma lo perse, e nel febbraio del 2019 fu di nuovo incarcerato.
L’ultimo sviluppo giudiziario significativo della vicenda risale al dicembre del 2023, quando la Corte Costituzionale ribaltò la sentenza, permettendo la sua scarcerazione. Da allora Fujimori aveva cercato nuovamente di riabilitare la propria immagine, anche tramite i social network: a luglio aveva anche annunciato la sua intenzione di candidarsi alle elezioni presidenziali peruviane previste per il 2026. Sua figlia Keiko a sua volta si presentò per la prima volta alle elezioni presidenziali nel 2011, e poi ancora nel 2016 e nel 2021, perdendo ogni volta.