Come funziona la sicurezza a Palazzo Chigi
E perché un poliziotto che controlla l'accesso a un ascensore ha un ruolo più delicato di quanto possa sembrare
Martedì un articolo della Stampa ha generato una polemica politica sulla gestione della sicurezza e del personale in servizio a Palazzo Chigi, la sede della presidenza del Consiglio dei ministri. L’articolo di Ilario Lombardo parlava della decisione adottata da Giorgia Meloni di rimuovere i poliziotti che stanno di guardia al primo piano del palazzo, quello dove la presidente del Consiglio e i suoi più stretti collaboratori hanno i loro uffici e dove c’è la stanza del Consiglio dei ministri. Sarebbe una scelta senza precedenti, visto che i protocolli di sicurezza di Palazzo Chigi sono consolidati da decenni. Nel corso della giornata di martedì il portavoce di Meloni, Fabrizio Alfano, ha ridimensionato la notizia, spiegando che l’intenzione non era rimuovere gli agenti dal primo piano, ma solo di «rivalutare la presenza di un agente di Polizia destinato esclusivamente agli accompagnamenti in ascensore».
La polemica è proseguita comunque, e l’opposizione ha accusato il governo di alimentare sospetti e teorie del complotto, ma il tema non è nuovo. Presto o tardi, con più o meno clamore, tutti i presidenti del Consiglio finiscono col lamentarsi per le fughe di notizie a Palazzo Chigi, dove lavorano centinaia di funzionari: sono più di 3.000 le persone che figurano come dipendenti di Palazzo Chigi (molti di loro però sono dislocati nelle altre sedi della presidenza del Consiglio). E garantire la riservatezza delle cose che accadono in un posto così trafficato e su cui l’attenzione dei giornalisti è così alta non è facile.
Anche per questo Silvio Berlusconi, da presidente del Consiglio, tendeva a utilizzare la sua residenza romana di Palazzo Grazioli, distante poche centinaia di metri, per lavorare e tenere gli incontri più delicati. E in tempi più recenti, durante la presidenza di Giuseppe Conte, sono sorte delle polemiche su alcuni commessi sospettati di avere rapporti di consuetudine eccessiva coi cronisti. Tutte queste lamentele, però, avevano sempre riguardato gli addetti a mansioni ordinarie (uscieri, addetti alla registrazione delle presenze, eccetera), e non gli agenti della Polizia.
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La sicurezza di Palazzo Chigi è infatti delegata alla Polizia di Stato, in particolare a uno specifico presidio denominato Ufficio speciale di pubblica sicurezza, gergalmente chiamato Ispettorato. Per Palazzo Chigi funziona un po’ come per altre importanti sedi delle istituzioni romane: il Vaticano, la Camera, il Senato, alcuni ministeri, sono tutte presidiate da specifici Ispettorati di Polizia, che dipendono dal ministero dell’Interno.
Il presidio alla sede della presidenza del Consiglio si compone di una ventina di agenti, sul cui impiego effettivo decidono il dirigente dell’Ispettorato e il segretario generale di Palazzo Chigi, un funzionario di grande prestigio e importanza che, tra le altre cose, amministra anche il personale del palazzo. Sono entrambi incarichi che ogni nuovo governo tende a riassegnare, scegliendo persone di fiducia del (o della) presidente del Consiglio di turno.
Il dirigente dell’Ispettorato, che è la persona a cui Meloni ha detto di aver inoltrato la richiesta riguardo al poliziotto che piantona l’ascensore, è Giovanni Busacca, un poliziotto con una lunga carriera nominato in quel ruolo dal Consiglio dei ministri nel febbraio 2023, e che aveva avuto incarichi dirigenziali nella Polizia stradale e nella Polizia di frontiera. Il segretario generale scelto da Meloni è Carlo Deodato, un giurista esperto che aveva già lavorato a Palazzo Chigi come capo dell’ufficio legislativo nei governi di Enrico Letta e di Mario Draghi. Prima di lui c’era stato Roberto Chieppa, presidente di sezione del Consiglio di Stato che aveva mantenuto il ruolo in tre diversi governi dal 2018 al 2022: più di ogni altro nella storia repubblicana.
Anche sulla scelta degli agenti assegnati all’Ispettorato di Palazzo Chigi il presidente del Consiglio ha un margine di autonomia, che esercita però in forma più discreta.
Confrontandosi col ministro dell’Interno, può decidere di sostituire un agente su cui ha dei dubbi, o magari fare in modo che a certe mansioni vengano delegati solo quelli di cui il presidente stesso si fida di più. La ventina di agenti segue dei turni, quindi non sono mai in servizio effettivo più di cinque o sei: e due di questi, in particolare, sono sempre presenti al primo piano, sempre in borghese e collegati tra loro e coi superiori via radio. Per prassi, uno di questi due si muove tra il corridoio che conduce all’ufficio del presidente del Consiglio e la Sala dei Galeoni, quella tradizionalmente utilizzata, tra l’altro, per le conferenze stampa dei leader stranieri in visita a Palazzo Chigi. L’altro, invece, piantona l’ingresso nell’anticamera dello studio presidenziale, quello comunemente detto “salottino giallo” per via del colore della tappezzeria e dei mobili (anche se Meloni, dopo essersi insediata, ha approfittato di alcuni lavori di ristrutturazione in corso per rendere bianche le pareti su cui c’era da decenni una carta da parati color oro).
Questo agente è addetto anche all’ascensore che sta a pochi passi dallo studio. Ma è un ruolo più delicato di quanto possa sembrare. All’ascensore si accede infatti da una porta chiusa, e di cui per prassi solo questo agente ha le chiavi. Da quell’ascensore, poi, si sale direttamente all’appartamento presidenziale, al terzo piano. Semplificando un po’, si può insomma dire che quell’agente ha le “chiavi di casa” del presidente del Consiglio. Stando a quel che si sa, all’appartamento presidenziale si può accedere anche dalla cosiddetta Sala Verde, una grande sala che viene tradizionalmente utilizzata per gli incontri tra il governo e i sindacati, oltre che per altre riunioni di emergenza. Da lì, oltre lo stanzone che ospita i ritratti di tutti i presidenti del Consiglio, si arriva a una porta che immette nell’appartamento, ma è un accesso più scomodo e meno utilizzato.
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L’uso che i presidenti fanno dell’appartamento a Palazzo Chigi varia a seconda dei casi. C’è chi, come per esempio faceva Matteo Renzi, lo utilizza stabilmente come la propria residenza romana; e chi, come Mario Draghi o la stessa Meloni, che avendo casa a Roma lo sfrutta solo per faccende estemporanee. In ogni caso l’agente che piantona quell’ascensore sa sempre quando il presidente del Consiglio entra o esce dall’appartamento, e sa chi eventualmente ne è ospite. Il poliziotto è tenuto a riferire queste informazioni riservate ai suoi superiori, e in particolare al dirigente dell’Ispettorato, per ragioni di sicurezza. Si deve sempre sapere dove è e con chi il presidente del Consiglio, e anche chi ha avuto accesso alle sue stanze e ai suoi uffici. E deve essere sempre noto quando il presidente del Consiglio utilizza l’ascensore riservato: infatti, ogni volta che dall’appartamento al terzo piano scende al primo piano o al piano terra, c’è un campanello che automaticamente suona, avvertendo tutti i funzionari del palazzo.
La richiesta di rimuovere questo agente, e di affidare le chiavi dell’ascensore direttamente alla presidente del Consiglio, è segno evidente che Meloni e il suo staff vorrebbero maggiore riservatezza, ma è una questione sempre molto delicata a Palazzo Chigi. Chi entra nel palazzo, infatti, deve di solito farsi riconoscere e lasciare il proprio documento d’identità all’ingresso, dove si viene controllati tramite metal detector e dove si riceve un pass specifico per gli ospiti. Se il presidente del Consiglio vuole, queste procedure possono essere almeno in parte aggirate, ma resta in ogni caso assai improbabile che un ospite possa entrare, a piedi o in auto, e salire dal cortile fino all’appartamento presidenziale senza che almeno una manciata di funzionari lo veda.
Diverso è invece il discorso per la scorta, cioè gli agenti che accompagnano il presidente del Consiglio nei suoi vari appuntamenti con il compito di sorvegliare sulla sua incolumità. Anche loro hanno una stanza riservata a Palazzo Chigi, di solito al piano terra, dove possono riposarsi mentre il capo del governo è impegnato nel palazzo. Ma sulla loro scelta e il loro impiego i presidenti del Consiglio hanno una libertà quasi totale: possono decidere da quale corpo ottenere gli agenti (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza), e anche chi indicare come caposcorta. Meloni, che prima di diventare presidente del Consiglio ha sempre rifiutato finché ha potuto di ricevere una scorta istituzionale, ha affidato questo ruolo a Giuseppe Napoli, un agente in servizio all’AISI, il servizio segreto interno. Napoli è il marito di Patrizia Scurti, la storica e fidatissima segretaria di Meloni.