A Cuba manca anche l’acqua corrente
Da mesi ci sono interruzioni che durano anche settimane, a causa della crisi economica, dei frequenti blackout e delle pessime condizioni della rete idrica
Nelle ultime settimane con sempre più frequenza in varie province di Cuba e nella capitale L’Avana manca l’acqua corrente. Il problema va avanti da inizio luglio, ma ultimamente si è aggravato: il governo ha detto che non ci sono soluzioni immediate e ha riconosciuto che la carenza riguarda oltre 600mila cittadini, ma il numero reale potrebbe essere molto superiore. Ci sono state anche alcune proteste nelle strade, cosa che accade raramente dato che le manifestazioni pubbliche di dissenso non sono tollerate dal regime comunista che governa l’isola.
L’assenza di acqua, che in alcune zone dura anche per settimane, è causata da una rete idrica insufficiente e molto deteriorata, nonché dalla costante carenza di energia e di carburante. I frequenti blackout bloccano le pompe dell’acqua, che poi hanno bisogno di ore per far raggiungere a tutto l’impianto la pressione necessaria, quando non sono danneggiate dalle interruzioni. La carenza di benzina invece rende spesso inutilizzabili le autobotti, soluzioni alternative ormai diventate una necessità quotidiana in molte zone dell’isola.
La crisi del sistema idrico è l’ultimo effetto di una più grande crisi economica del paese, la più grave dal 1959, quando ci fu la rivoluzione guidata da Fidel Castro: i problemi vanno avanti da anni e hanno portato alla cronica carenza di cibo, medicine e materie prime, oltre che di energia e carburante. La popolazione fatica a trovare i beni di cui ha bisogno per la vita quotidiana, e quando li trova non può permetterseli a causa dell’inflazione. In molti casi le infrastrutture del paese mancano anche della minima manutenzione, e quindi smettono di funzionare: è il caso delle centrali elettriche, ma anche della rete idrica, soggetta a enormi perdite di acqua. È stato stimato che solo all’Avana i cosiddetti “salideros”, punti in cui i tubi dell’acqua perdono, siano oltre duemila.
Alle 600mila persone senza acqua riconosciute dal governo si deve aggiungere una parte della popolazione molto più ampia a cui l’acqua non arriva con costanza, ma che deve gestire interruzioni anche di una o più giornate. Secondo l’Osservatorio cubano per i diritti umani (OCDH) la situazione è notevolmente peggiore di quanto riconosca il governo: il 17 per cento della popolazione non avrebbe accesso all’acqua potabile (quasi due milioni di persone), il 27 per cento potrebbe contarci per meno di 4 giorni alla settimana, meno della metà della popolazione avrebbe un servizio stabile.
Oltre alle proteste la carenza di acqua ha portato alla nascita di un mercato nero, che riguarda soprattutto gli approvvigionamenti con le autobotti: per ottenerne una sono necessari circa 8.000 pesos (più o meno 300 euro). Sono prezzi fuori dalla portata della maggior parte della popolazione, che infatti cerca soluzioni alternative: su molti balconi e tetti delle case cubane ci sono cisterne per raccogliere l’acqua piovana o per fare scorte quando l’acqua potabile raggiunge gli appartamenti, ma spesso sono necessari anche viaggi quotidiani verso i punti di distribuzione.
Il governo e le autorità locali hanno promesso l’installazione di nuove pompe per potenziare l’acquedotto, ma Antonio Rodríguez Rodríguez, presidente dell’Istituto Nazionale per le Risorse Idriche (INRH), ha confermato che la condizione attuale è destinata a durare: «Speriamo che grazie ai lavori l’anno prossimo la situazione possa migliorare, anche se questo non significa che risolveremo tutti i problemi di tracimazione, intasamento e approvvigionamento idrico», ha detto.
I problemi economici, strutturali e di gestione di Cuba hanno aggravato il problema dell’acqua, che negli ultimi cinque anni ha colpito tutta l’area caraibica, con una frequenza inedita. Trinidad e Tobago, Dominica, Giamaica, Barbados e Grenada sono alcuni dei paesi che negli ultimi anni hanno dovuto gestire periodi anche prolungati di siccità, che secondo alcuni studiosi potrebbero diventare «la nuova norma».
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