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  • Mercoledì 11 settembre 2024

Pedro Almodóvar non è così amato in Spagna

Per motivi politici, cinematografici e caratteriali, il celebre regista da poco vincitore al festival di Venezia è sempre stato piuttosto divisivo nel suo paese, ma forse qualcosa sta cambiando

(Vianney Le Caer/Invision/AP)
(Vianney Le Caer/Invision/AP)
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In occasione della vittoria del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia con il film La stanza accanto, sul País (il più diffuso quotidiano spagnolo) sono comparsi due articoli di grande entusiasmo ed esaltazione sul regista Pedro Almodóvar. È una notizia perché Almodóvar ha da sempre un rapporto burrascoso con la critica, la stampa e l’industria del cinema spagnoli, e in particolare da qualche anno col País (non mancano articoli a suo favore ma anche altri molto duri), almeno da quando è arrivato Carlos Boyero, critico che prima lavorava a El Mundo (secondo quotidiano spagnolo e di orientamento conservatore) e che è una delle voci più critiche riguardo ai suoi film.

Anche dal pubblico spagnolo, nonostante i suoi film siano guardati e abbiano successo, è maturata una forte opposizione a tutto ciò che Pedro Almodóvar ha voluto rappresentare nel corso della sua lunga carriera. Come dice l’attacco di uno dei due articoli pubblicati dal País: «È il nostro regista più internazionale, profeta più fuori che dentro, premiato e apprezzato in tutto il mondo, tranne che in Spagna, dove il suo cinema e la sua figura continuano a suscitare perplessità».

Tra i motivi per cui è stato così divisivo in Spagna non ci sono solo i film che ha girato, che per almeno i primi dieci anni di carriera sono state commedie provocatorie, che facevano umorismo pesante sulla religione e mostravano stili di vita che nella Spagna dell’epoca erano considerati molto anticonformisti. C’entra in gran parte anche il modo in cui si è esposto nel dibattito pubblico e politico, e il suo carattere poco diplomatico.

Pedro Almodóvar, che oggi ha 74 anni, esce dalla Movida, movimento che, dopo la fine della dittatura di Francisco Franco, ha tenuto insieme personalità artistiche e non, a cui prima non era consentito di esprimersi liberamente. Tutta la comunità LGBT+, anche se all’epoca non si chiamava così, ne era parte integrante e manifestava la propria visione del mondo a gran voce e spesso con l’intenzione di offendere i conservatori o chi avrebbe preferito che non si esprimesse pubblicamente. Almodóvar è stata la figura più nota della movida cinematografica e lo è stato con un atteggiamento sfrontato che gli ha inimicato l’industria del cinema spagnola. I suoi primi film non venivano considerati per i premi Goya (l’equivalente spagnolo dei David di Donatello, assegnati ogni anno da tutte le persone che lavorano nel cinema in Spagna), cosa a cui ogni volta lui rispondeva con lettere di polemica sui giornali. Solo quando i suoi film sono stati riconosciuti nel resto del mondo (quindi da Donne sull’orlo di una crisi di nervi, del 1988, in poi), hanno cominciato a vincere anche premi in Spagna. E non è mai successo per film che non avessero già avuto un successo internazionale.

Anche per questa ragione, quasi da subito, a partire dal suo sesto film (La legge del desiderio del 1987), Pedro Almodóvar, insieme al fratello Augustín, ha creato la società di produzione El Deseo, così da essere indipendente e potersi finanziare e approvare da sé i film.

I giornali spesso lo hanno criticato per gli atteggiamenti da divo, e lui non ha mai mediato opinioni o ammorbidito le proprie dichiarazioni per piacere all’opinione pubblica. Negli anni è stato critico anche con chi lo definiva un regista gay, anche negli Stati Uniti, soprattutto perché come si vede nei suoi film, non ha mai concepito la sessualità come qualcosa che può essere definita facilmente e incasellata in termini o definizioni univoche. In maniera anche più radicale rispetto a Nanni Moretti in Italia, Almodóvar ha fatto incursioni nella politica (negli anni ’80 aveva chiaramente espresso il suo appoggio al partito socialista), è spesso intervistato dai giornali su questioni e temi a lui cari, ed è diventato l’esponente di un certo modo di vedere il mondo. A differenza di Nanni Moretti, il suo apprezzamento non è però così radicato nel grande pubblico. Quando fu coinvolto nella storia dei Panama Papers i giornali non risparmiarono dettagli e trattarono la cosa con grande interesse sapendo di alimentare il livore che una parte dei loro lettori già coltivava.

Dal punto di vista del pubblico e degli incassi, i film di Pedro Almodóvar hanno sempre avuto successo in Spagna – cosa che gli ha consentito di mettere in piedi la sua società di produzione – e continuano ad averlo anche oggi. Non ha mai avuto problemi anche perché, per scelta e per mantenere totale libertà, ha sempre concepito i film in modo che non fossero costosi. Tuttavia, rispetto al successo che ha in altri paesi, quello spagnolo non è grande come ci si potrebbe aspettare.

Se si considerano i suoi film più famosi, almeno a partire dalla fine degli anni ’90, quando è diventato un nome noto in tutto il mondo, gli incassi spagnoli non sono necessariamente i più alti. Ad esempio, Tutto su mia madre nel 1999 incassò l’equivalente di 6,3 milioni di euro in Spagna, e più di 6,6 milioni in Italia (dove Almodóvar è particolarmente amato), a fronte di una popolazione totale paragonabile. Il film successivo, Parla con lei, incassò di nuovo 5,6 milioni di euro in Spagna e una cifra poco più bassa, 4,9 milioni, in Italia, mentre in Francia fece 8,5 milioni (su una popolazione del 30% superiore). Solo quando i suoi film sono commedie (genere per cui è apprezzato di più nel suo paese e che gli ha dato le prime fortune), in Spagna ottiene decisamente più successo che altrove. È accaduto con Gli amanti passeggeri nel 2013, andato male quasi ovunque ma non in Spagna (dove ha incassato 5,6 milioni) e con Dolor y gloria nel 2019, per il quale i 6,1 milioni spagnoli sono stati l’incasso più alto di tutti (in Italia fece la metà, 3,3 milioni, e in Francia 5,4 milioni).

A guidare la fazione spagnola di chi considera Pedro Almodóvar un regista sopravvalutato è sempre stato il critico Carlos Boyero. Fin dai primi film ha criticato il suo stile, la sua scrittura e le sue capacità. In occasione della presentazione a Cannes di Gli abbracci spezzati nel 2009, Almodóvar rispose alla recensione di Boyero con un post di 13 pagine su quello che allora era il suo blog. In quel post accusava il critico di incapacità e altrettanto la redazione del País per essersi affidata a lui, e rispondeva alla frase di Boyero «Non voglio rivedere Gli abbracci spezzati, mica sono masochista» con «A me non importa un bel niente se Boyero è masochista o no, se ha un testicolo o quattro, o la marca della crema idratante che usa. Ma, visto che lo pagano perché informi dei film che concorrono al Festival, il fatto che non sia masochista non dovrebbe esimerlo da questo obbligo». Dopo una prima replica del giornale in difesa del suo critico e delle sue scelte, in un altro post da sette pagine Almodóvar finì per invocarne le dimissioni scrivendo: «Mi domando se sia possibile che il País non trovi qualcun altro da mandare al Festival di Cannes, il più importante del mondo».

Ma Boyero non è l’unico critico spagnolo a ritenere Almodóvar, come disse una volta, «un fenomeno sociale più che cinematografico». Ad esempio, anche Alberto Rey, di El Mundo, nel parlare di come fossero cambiati nel corso degli anni i suoi film, passando da storie punk ambientate nella cultura underground a melodrammi borghesi, descrisse l’“Almodovarlandia” come un mondo di «persone educate e di buone letture, che vivono in appartamenti dai parquet stupendi, usano le migliori creme per la pelle e soffrono tanto mentre camminano per le strade più alla moda», criticando così l’idea che quei film potessero davvero dire qualcosa o spiegare la Spagna a un pubblico mondiale.

Il suo carattere non sempre accomodante ha reso difficile anche alcuni rapporti. Dopo aver girato insieme i loro primi 8 film (l’ultimo dei quali fu il grande successo mondiale Donne sull’orlo di una crisi di nervi), litigò con l’attrice Carmen Maura e si presentò ai Goya di quell’anno con un pezzo dell’allora appena caduto muro di Berlino dicendo che se quel muro poteva cadere, allora poteva farlo anche quello tra lui e Carmen Maura. Non lavorarono più insieme fino al 2006, quando girarono Volver. Quel film però fu l’ultimo che fecero insieme e nel 2012 Maura si disse più felice di lavorare con altri per via del metodo intenso e faticoso di girare che ha Pedro Almodóvar. A questo la società El Deseo, tramite Augustín Almodóvar, rispose con una nota: «Non si dovrà preoccupare. Non la chiameremo».

Tutto questo si è molto attenuato negli ultimi dieci anni. L’età sembra aver ammorbidito il carattere di Almodóvar e contemporaneamente il continuo accumulare riconoscimenti e onorificenze (nel 2019 la Mostra del cinema di Venezia gli diede il Leone d’Oro alla carriera), gli Oscar vinti (due: miglior film straniero per Tutto su mia madre e miglior sceneggiatura per Parla con lei) e i molti altri premi e collaborazioni con attori e attrici hollywoodiani (Tilda Swinton due volte e poi anche Julianne Moore), gli hanno conferito un altro status che sembra averlo pacificato sia con l’industria che con una parte dei suoi detrattori. Anche Carlos Boyero, in occasione dell’uscita di un suo libro pubblicato quest’anno intitolato Non so se mi spiego (nel quale un intero capitolo è dedicato a Pedro Almodóvar), ha precisato che ci sono comunque alcuni suoi film che gli piacciono come Légami!, Volver e Che ho fatto io per meritare questo?.