Vacanze da naufraghi
Da alcuni anni esistono agenzie di viaggio che le organizzano su isole disabitate, mettendo i clienti in condizioni anche estreme
Docastaway – una parola composta da do, “fare”, e castaway, “naufragio” – è un’agenzia di viaggi spagnola specializzata nell’organizzazione di viaggi su isole sperdute e disabitate in giro per il mondo. Non è l’unica nel suo genere, ma quando fu fondata nel 2010 fu tra le prime a proporre questo tipo di turismo, sempre più richiesto da persone che desiderano vivere una specie di esperienza da naufraghi su un’isola. Dopo aver pagato per il soggiorno e aver firmato un contratto, le persone vengono lasciate per giorni – fino a qualche settimana – con poche provviste in uno tra i tanti isolotti presi in affitto e gestiti dalle agenzie, perlopiù in Indonesia, in Oceania e ai Caraibi, ma anche in Africa e nelle Filippine.
La quantità di confort sull’isola e di provviste iniziali varia molto a seconda delle richieste, ma la formula preferita da una cospicua parte dei clienti prevede di arrangiarsi con poche scorte iniziali e una serie di strumenti necessari per recuperare noci di cocco o altri frutti, o per pescare. In tutti i casi è possibile richiedere scorte aggiuntive, tra cui acqua in bottiglia o snack, ed è disponibile assistenza su richiesta per qualsiasi emergenza: è una specie di «naufragio soft, con la possibilità di chiedere aiuto se le cose vanno storte», ha scritto in un recente articolo la rivista di viaggi Afar.
Dopo Docastaway altre agenzie sono entrate nel crescente business dei finti naufragi, di cui diversi siti e giornali hanno scritto negli ultimi anni. Alcune offrono anche corsi di bushcraft, cioè tecniche basilari di sopravvivenza in ambienti in cui serve saper sfruttare le risorse disponibili per ricavarne cibo e riparo. Una delle agenzie, Desert Island Survival, è stata fondata in Inghilterra da Tom Williams, vincitore della prima edizione del reality televisivo Alone UK, in cui i concorrenti devono cavarsela da soli in posti selvaggi e disabitati, nel 2023. Un’altra è Untold Story Travel, che organizza sia soggiorni su isole deserte che singole prove di sopravvivenza tra i clienti.
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Il fondatore di Docastaway, il 43enne spagnolo Álvaro Cerezo, originario di Malaga, ha detto ad Afar che ai suoi clienti di solito sconsiglia di seguire corsi, in modo da arrivare impreparati al soggiorno e rendere più realistica la loro esperienza del finto naufragio. La clientela è piuttosto eterogenea: dal pensionato australiano di 67 anni, appassionato di escursionismo e vela, alla ventenne studente giapponese con qualche esperienza di campeggio.
Cerezo ha raccontato ad Afar di aver cominciato la sua ricerca di isole disabitate e sperdute a 19 anni, perché il ronzio degli aerei in transito o la visione delle navi di passaggio al largo erano per lui sufficienti a rompere l’illusione della solitudine quando trascorreva del tempo nei tratti più selvaggi della costa malacitana. Ai tempi dell’università visitò quindi alcune delle circa 800 isole nell’arcipelago delle Andamane e Nicobare, nel golfo del Bengala, in larghissima parte disabitate. Una delle più grandi, a oltre mille chilometri dalla costa dell’India, ospita peraltro i Sentinelesi, una delle tribù più isolate (e aggressive) al mondo.
L’esperienza nelle Andamane e altre successive in Indonesia, in Africa e ai Caraibi convinsero Cerezo a fondare Docastaway, che dal 2010 ha venduto viaggi a oltre mille clienti, perlopiù in Indonesia, l’area più vasta e relativamente più facile da raggiungere tra quelle in cui l’agenzia opera nel mondo.
Un filmato in cui Cerezo mostra una delle tecniche per accendere un fuoco con un machete e qualche fusto di bambù, presente in grandi quantità sulle isole gestite dall’agenzia
I prezzi per i soggiorni variano da circa 100 a circa 400 dollari a notte, a seconda del luogo e del tipo di formula scelta. In alcune isole è possibile soggiornare in un cottage privato con cucina e ampie scorte di viveri; in altre non è presente alcun tipo di struttura. I viaggi in aereo e via mare per raggiungere le isole, e i pernottamenti in albergo nei giorni prima del soggiorno, sono la parte maggiore delle spese, che sono tutto sommato abbastanza alte da rendere il business dei finti naufragi un settore di lusso.
Una delle ex clienti di Docastaway è l’imprenditrice giapponese Urara Takaseki, CEO della startup di software e app Omotete, che soggiornò su un’isola in Indonesia nel 2018, quando aveva 18 anni. Cercò di pescare nei primi giorni, ma poi rinunciò: finì per alimentarsi soltanto di noci di cocco, che in generale sono anche la principale fonte di acqua disponibile sulle isole. Ma, come disse al Telegraph nel 2022 un ex cliente di Desert Island Survival, serve comunque ingegnarsi per raccoglierle dalla cima delle palme, di solito con un sistema di corde, perché quelle già cadute a terra non hanno molta acqua e danno anche problemi allo stomaco.
Nel settore non si sono finora verificati particolari incidenti, ma ciò potrebbe dipendere dal fatto che questo tipo di turismo è relativamente nuovo. Gli operatori affermano comunque di prendere tutte le misure necessarie per evitare che i loro clienti possano trovarsi in condizioni di reale pericolo di vita.
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I clienti di Docastaway apprendono l’esatta posizione dell’isola soltanto dopo aver pagato una caparra, e firmano un contratto in cui sollevano l’agenzia da ogni responsabilità relativa ai vari rischi per la sicurezza sulle isole, dalla caduta delle noci di cocco dalle palme alle onde anomale. Nel contratto si impegnano anche a non diffondere né durante né dopo il soggiorno – se non attraverso modalità concordate con l’agenzia stessa – video, foto o altre informazioni da cui sia possibile risalire alla posizione dell’isola.
L’attenzione dell’agenzia a non diffondere informazioni riflette la necessità di non attirare persone sulle isole, fattore che rischierebbe di compromettere l’esperienza del finto naufragio. Sebbene esistano nel mondo migliaia di isole disabitate, la loro gestione provvisoria e manutenzione richiede ad agenzie come Docastaway molto impegno: a volte trascorrono anni prima di poterle utilizzare. Serve infatti una certa quantità di passaggi burocratici e di trattative formali e informali con le autorità locali, come spiegato da Cerezo nel 2015 al New York Times Style Magazine, che definiva il business dei finti naufragi una nuova frontiera del «turismo sottrattivo», cioè un tipo di turismo basato sull’essenzialità, alla Into the Wild (il film del 2007 basato sul libro di Jon Krakauer Nelle terre estreme).
Una volta individuata l’isola, serve prima di tutto ottenere il permesso di affittarla per un certo periodo dell’anno sia dai governi degli stati insulari di cui l’isola fa parte, sia dai singoli proprietari privati, a volte anche attraverso piccole tangenti. A quel punto, prima di accogliere eventuali clienti, uno dei primi interventi necessari è ripulire l’isola dalla grande quantità di plastiche, attrezzature da pesca abbandonate e altri rifiuti trasportati continuamente dall’oceano verso le coste. È un intervento ricorrente, perché bastano poche settimane prima che la spiaggia si riempia nuovamente di rifiuti.
Una differenza rispetto al passato, ha detto Cerezo ad Afar, è che trovare luoghi isolati è diventato via via sempre più difficile, a causa dello sviluppo crescente e della progressiva estensione delle piantagioni in molte parti del mondo prima disabitate. Le piccole isole sono inoltre tra i luoghi più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici e più esposti ai fenomeni meteorologici estremi e all’innalzamento del livello del mare.
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In anni recenti la copertura del segnale cellulare nel mondo è aumentata fino a comprendere alcuni arcipelaghi in cui si trovano isole disabitate, e anche il costo delle connessioni satellitari è diventato più sostenibile. Questo ha permesso di includere nell’offerta delle agenzie formule di disconnessione parziale dal mondo, personalizzate in base alle esigenze della clientela.
Nel 2015, per esempio, l’ex imprenditore francese Gauthier Toulemonde raccontò in un libro un suo soggiorno di 40 giorni organizzato nel 2013 da Docastaway su un’isola indonesiana. Per ragioni di lavoro Toulemonde si portò appresso il portatile, che era alimentato tramite pannelli solari ed era dotato di connessione satellitare. Portò con sé anche un cane e tre gatti, per avere compagnia durante il soggiorno e per tenere lontani i topi presenti sull’isola. Nonostante il computer e la compagnia, scrisse Toulemonde, dopo qualche giorno la sua esperienza di solitudine diventò a tratti estrema, così come il disagio dovuto alla fame, alle alte temperature diurne e alle tempeste notturne che bagnarono le scorte di legna rendendo più difficile accendere il fuoco per cuocere i granchi catturati e il pesce pescato.