In India il personale sanitario continua a scioperare
Le proteste per lo stupro e l’uccisione di una specializzanda vanno avanti da un mese, e ora anche la Corte Suprema ha ordinato di mettervi fine
In India vanno avanti ormai da un mese gli scioperi dei medici e del personale sanitario, cominciati in seguito allo stupro e all’omicidio di una specializzanda avvenuto a inizio agosto. Lunedì la Corte Suprema ha ordinato ai medici di rientrare al lavoro entro le 17 di martedì pomeriggio (intorno a mezzogiorno ora italiana), ma molti di loro hanno fatto sapere che non hanno intenzione di interrompere lo sciopero fino a quando le loro richieste non saranno soddisfatte. Per martedì i medici hanno anche indetto una nuova manifestazione di fronte alla sede del ministero della Sanità a Calcutta, nello stato del Bengala occidentale, dove è avvenuto l’omicidio.
Lo scorso 10 agosto una donna di 31 anni, di cui non è stato diffuso il nome, era stata trovata morta in una stanza del RG Kar Medical College and Hospital di Calcutta, dove lavorava. Sul suo corpo c’erano segni di uno stupro molto violento, probabilmente di gruppo a giudicare dalla quantità di sperma poi rilevato dalle analisi. Lo stesso giorno del ritrovamento la polizia del Bengala aveva arrestato Sanjay Roy, un uomo di 33 anni che lavora come volontario presso l’ospedale e che in passato era già stato accusato di violenza contro le donne. I giornali indiani hanno scritto che Roy dice di aver trovato la specializzanda già morta al suo arrivo e di essere stato incastrato.
Dal suo arresto però le autorità hanno interrogato un centinaio di altre persone senza identificare altri sospettati. Il 14 agosto la gestione delle indagini era passata dalla polizia di Calcutta, che era stata molto criticata, al Central Bureau of Investigation (CBI), la principale agenzia di polizia e investigazioni indiana. In seguito la Corte Suprema aveva deciso spontaneamente di prendere in carico il caso, per monitorare le indagini.
Lo stupro e omicidio della specializzanda ha generato estese proteste a Calcutta e nel resto del paese. A metà agosto decine di migliaia di persone tra infermiere, dottoresse, ragazze e donne di ogni età, avevano partecipato a una grossa manifestazione a Calcutta con lo slogan Reclaim the night (“Riprendiamoci la notte”, un vecchio slogan femminista per rivendicare il diritto delle donne di esistere e sentirsi sicure negli spazi pubblici, anche di notte). Le proteste hanno anche superato i confini dell’India: domenica scorsa migliaia di persone di origine indiana ma residenti altrove hanno marciato in 130 città di 25 paesi in tutto il mondo.
Lo sciopero dei medici era iniziato poco dopo il ritrovamento del corpo e aveva coinvolto inizialmente poche persone in alcuni stati dell’India. Poi l’Indian Medical Association (IMA), la più grande associazione di medici del paese, ne aveva indetto uno nazionale a cui avevano partecipato molti più professionisti. Da allora alcuni sono rientrati al lavoro, mentre altri (soprattutto i più giovani) hanno continuato a scioperare.
Secondo i manifestanti e i medici in sciopero, le autorità continuano a non fare abbastanza per identificare e arrestare i responsabili del crimine, né per evitare che casi simili si verifichino di nuovo in futuro. In India gli stupri sono molto frequenti, e non è la prima volta che una medica viene aggredita sul luogo di lavoro, a causa della diffusa violenza di genere ma anche della mancanza di misure di sicurezza adeguate negli ospedali.
I medici del centro in cui lavorava la donna per esempio hanno denunciato che nella struttura non ci sono abbastanza telecamere di sicurezza e che la stanza dove la specializzanda si era appoggiata per riposare dopo un turno di 36 ore non aveva la chiave, come avviene di frequente.
Il personale medico in sciopero chiede che vengano assunte delle guardie donne a supporto del personale femminile; che vengano installate più telecamere di sicurezza e che vengano create delle stanze adibite al riposo separate per donne e uomini. Chiedono anche che il caso di agosto venga gestito in modo serio e le dimissioni del capo della polizia locale, Vineet Goyal, e di Sandip Ghosh, il primario dell’ospedale in cui sono avvenuti lo stupro e l’omicidio (che si è effettivamente dimesso lo scorso 13 agosto).
Nelle ultime settimane gli scioperi hanno causato disservizi nel sistema sanitario, soprattutto nello stato del Bengala. The Economic Times, un sito di notizie indiano in lingua inglese, ha scritto che vari appuntamenti e terapie sono state posticipate, e che i medici più anziani hanno dovuto sostituire quelli più giovani, che si sono uniti alle proteste in misura maggiore.
Lunedì il procuratore Kapil Sibal, che rappresenta lo stato del Bengala nel processo presso la Corte Suprema, ha presentato un rapporto in cui si dice che 23 pazienti sono morti a causa dello sciopero e ha richiesto ai giudici di ordinare ai medici di riprendere il servizio. «Sappiamo che cosa succede sul campo, ma i medici devono rientrare al lavoro» ha detto Dhananjaya Yeshwant Chandrachud, una dei tre giudici della Corte. «Se i medici non rientreranno a lavoro, non possiamo impedire che il governo prenda delle misure disciplinari».
Nei giorni scorsi aveva attirato particolare attenzione il caso di un paziente di 28 anni che aveva raggiunto l’RG Kar Medical College and Hospital dopo essere stato investito da un camion, e che era morto per emorragia prima di essere ammesso nella struttura. Il parlamentare Abhishek Banerjee ha collegato la sua morte allo sciopero dei medici, indicandolo come la causa dei ritardi nell’accettazione. Sia l’ospedale che i medici hanno respinto le accuse.
«Non vogliamo che siano i pazienti a soffrire per il nostro sciopero, ma le nostre richieste sono chiare: voi ci date giustizia e noi riprenderemo il servizio» ha detto un medico che lavora all’RG Kar Medical College and Hospital. Il personale in sciopero sostiene che siano state prese le giuste misure per tutelare i pazienti in queste settimane. Tra le altre cose il 31 agosto scorso i medici del West Bengal Junior Doctors’ Front hanno aperto una clinica per la telemedicina. Secondo l’organizzazione, che sta guidando le proteste nello stato del Bengala occidentale, alcune migliaia di pazienti hanno ricevuto le cure necessarie tramite la clinica, che è stata chiamata Abhaya (“impavida”) dal soprannome che i manifestanti hanno dato alla specializzanda uccisa.
Il 20 agosto scorso la Corte Suprema aveva creato una task force che si occuperà di stilare delle raccomandazioni per migliorare le condizioni di sicurezza negli ospedali, ma per il momento i medici in sciopero non hanno considerato la misura sufficiente.
Le operatrici e gli operatori sanitari in India sono particolarmente soggetti a casi di violenza, sessuale o meno: il caso più noto risale al 1973 ed è quello di Aruna Shanbaug, un’infermiera di un importante ospedale di Mumbai che venne violentata e strangolata da un inserviente nell’ospedale in cui lavorava e che è rimasta in stato vegetativo per via dei gravi danni cerebrali riportati fino alla sua morte, nel 2015.