Abdelmadjid Tebboune è stato rieletto presidente dell’Algeria, come previsto
Secondo i risultati preliminari ha votato il 48 per cento degli aventi diritto, in un'elezione in cui l'affluenza contava più di tutto il resto
Domenica sera l’Autorità elettorale indipendente dell’Algeria ha detto che il presidente Abdelmadjid Tebboune, eletto per la prima volta nel 2019, è stato rieletto con il 94,65 per cento dei voti.
È un risultato piuttosto scontato, anche perché in questi anni Tebboune ha governato il paese con l’appoggio dell’esercito e in modo sempre più autoritario. Delle sedici persone che avevano provato a candidarsi, solo due ci sono riuscite oltre a Tebboune: Abdelaali Hassani Cherif del Movimento della Società per la Pace, l’unico partito islamista legale nel paese, e Youssef Aouchiche, candidato del Fronte delle Forze Socialiste, un partito di opposizione che nonostante le poche possibilità di vincere aveva deciso per la prima volta dopo anni di non boicottare le elezioni. Domenica sera alcune persone che hanno lavorato alla campagna di Cherif hanno denunciato varie irregolarità elettorali: hanno detto che le persone che lavoravano ai seggi, per esempio, hanno subito pressioni affinché cambiassero i risultati.
Considerato quanto fosse prevedibile la vittoria di Tebboune, comunque, fin da prima del voto i partiti si sono interessati più che altro all’affluenza. Alle 17 aveva votato solo il 26,45 per cento degli aventi diritto, ma alla chiusura dei seggi (che è stata posticipata di un’ora, dalle 19 alle 20) la percentuale è aumentata fino al 48,03 per cento. L’affluenza è stata quindi più alta rispetto alle ultime elezioni del 2019, in cui si era fermata al 39,8 per cento, la più bassa nella storia delle presidenziali in Algeria. Negli scorsi anni la partecipazione a un importante referendum costituzionale e alle elezioni amministrative e legislative era scesa ancora di più, raggiungendo un minimo storico del 23 per cento.
Questo disinteresse della popolazione al processo elettorale ha finora impedito a Tebboune di descriversi come un presidente con un forte sostegno popolare, mentre potrebbe farlo con un’affluenza più alta.
La disillusione della popolazione algerina degli ultimi anni deriva direttamente dall’elezione di Tebboune. Nel 2019 la speranza di un cambiamento netto nella politica del paese era molto sentita. Una serie di proteste a cui avevano partecipato milioni di cittadini aveva costretto alle dimissioni il presidente Abdelaziz Bouteflika, che governava ininterrottamente dal 1999. Il movimento pro-democrazia Hirak, emerso durante le proteste, chiedeva cambiamenti strutturali del sistema politico algerino ed elezioni libere.
Queste richieste furono però disattese: con l’appoggio dell’esercito, in quattro mesi le autorità organizzarono nuove elezioni a cui furono ammessi solo cinque candidati, tutti in un modo o nell’altro legati al vecchio regime che si era sviluppato durante i vent’anni di governo autoritario di Bouteflika. Durante il mese di campagna elettorale vennero organizzate diverse proteste che però furono violentemente represse dall’esercito. Per questo i partiti di opposizione chiesero ai cittadini di boicottare le elezioni, a cui parteciparono in pochissimi.
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Alla fine Abdelmadjid Tebboune fu eletto con il 58 per cento dei voti: durante la sua campagna elettorale aveva lodato le proteste di Hirak, promettendo un cambiamento, e dopo essere stato eletto aveva anche liberato alcuni attivisti e giornalisti che l’esercito aveva imprigionato nei mesi precedenti.
Tebboune dice di aver migliorato la situazione economica dell’Algeria nel suo primo mandato. Secondo i dati del governo il PIL ha un tasso di crescita del 4,2 per cento, ma alcuni attivisti e politici dell’opposizione contestano l’attendibilità dei dati. D’altra parte ha anche confermato i timori degli attivisti pro-democrazia, governando in modo sempre più autoritario e confidando sempre di più sull’appoggio dell’esercito. Nel 2020 per esempio attraverso un referendum poco partecipato modificò la Costituzione rafforzando i suoi poteri e quelli dell’esercito.
Questi anni sono stati caratterizzati da un costante aumento della repressione contro attivisti e giornalisti. Da giugno del 2021, per via di una modifica del codice penale, qualsiasi azione volta a «ottenere l’accesso al potere o […] cambiare il sistema di governo con mezzi non costituzionali» può essere identificata come «terroristica». In questa definizione sono state fatte rientrare moltissime azioni degli attivisti pro-democrazia legati a Hirak, che dal 2019 chiedono, fra le altre cose, la creazione di un’assemblea costituente per una transizione democratica pacifica.
In seguito al referendum del 2020 centinaia di persone sono state arrestate per quelli che gli oppositori di Tebboune definiscono “reati d’opinione”. La repressione si è vista anche nel processo di selezione dei candidati per queste presidenziali: per candidarsi una persona doveva raccogliere 600 firme di rappresentanti eletti e 50mila firme di cittadini. Solo Cherif e Aouchiche ci sono riusciti: gli altri si sono divisi fra quelli che non sono riusciti a raccogliere le firme, quelli che si sono ritirati ancora prima di terminare la raccolta in segno di protesta, e quelli le cui firme sono state invalidate dall’Autorità nazionale indipendente per le elezioni, a causa di presunte irregolarità.
Decine di persone sono state arrestate il mese scorso con l’accusa di frode elettorale, e tre potenziali candidati sono stati messi sotto sorveglianza dal tribunale. L’Autorità nazionale per le elezioni è stata accusata di aver finto che ci fossero delle irregolarità per diminuire la concorrenza contro Tebboune.
Diversi partiti e movimenti di opposizione hanno quindi chiesto ancora una volta agli elettori di boicottare il voto. Fra questi non c’è però il Fronte delle Forze Socialiste, che ha cambiato orientamento rispetto agli ultimi anni: a questo giro ha scelto di candidare Youcef Aouchiche, attirandosi alcune critiche poiché c’è il rischio che la sua candidatura, che ha pochissime possibilità di vittoria, aumenti l’affluenza al voto e finisca per avvantaggiare il presidente in carica, dando più legittimità al risultato.
Aouchiche, intervistato da Le Monde a fine maggio, ha detto di essersi candidato perché «oggi gli algerini hanno rinunciato all’azione politica. Siamo passati dalla sfida alla rassegnazione, e questo è un pericolo». Si è quindi convinto che «nonostante le condizioni discutibili in cui si svolgeranno, le prossime elezioni […] offrono l’opportunità di recuperare lo spazio politico democratico» e che il suo partito può provare a «riabilitare la libertà di espressione e di opinione». In questi mesi però la sua campagna elettorale non è riuscita a ottenere grande sostegno, anche a causa della convinzione diffusa che Tebboune vincerà in ogni caso.