L’ambiguità della comunicazione di Netanyahu
Spesso il primo ministro israeliano in pubblico dice una cosa e in privato un'altra, confondendo un po' tutti: probabilmente allo scopo di allontanare un cessate il fuoco
Lunedì scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha spiegato quale fosse una delle priorità irrinunciabili per il suo governo e per la sicurezza nazionale di Israele: controllare il cosiddetto “corridoio Philadelphi”, cioè la linea di confine tra il sud della Striscia di Gaza e l’Egitto. Il futuro del corridoio Philadelphi è una delle questioni su cui sono bloccati i negoziati per un cessate il fuoco a Gaza, un tema diventato ricorrente solo di recente nei discorsi di Netanyahu.
Fino a poco tempo fa, infatti, non era indicato come prioritario, tanto che l’esercito israeliano aveva occupato il corridoio solo a maggio, cioè più di sei mesi dopo l’inizio dell’invasione della Striscia. Inoltre, mentre Netanyahu ribadiva la centralità del corridoio e definiva il suo controllo un «imperativo strategico», i suoi negoziatori che stavano partecipando alle conversazioni per un cessate il fuoco a Gaza dicevano ai mediatori che il governo israeliano sarebbe stato disponibile a un ritiro dal confine durante la seconda delle tre fasi del piano in discussione: una cosa evidentemente in contrasto con quanto detto da Netanyahu pubblicamente.
Negli ultimi mesi le posizioni di Netanyahu sul corridoio Philadelphi non sono state le uniche espresse dal primo ministro a cambiare in maniera piuttosto repentina: in alcune occasioni Netanyahu ha fatto discorsi poco coerenti con cose dette in precedenza, mentre in altre è emerso che le sue dichiarazioni pubbliche sono state in contraddizione con quelle fatte in privato.
Durante tutta la sua carriera, Netanyahu ha usato tattiche di questo tipo per bloccare il raggiungimento di una risoluzione ampia al conflitto israelo palestinese, ha detto al Washington Post la consulente per le campagne elettorali Dahlia Scheindlin: ma «questo è l’esempio più estremo di informazioni diametralmente opposte sulle decisioni prese da Netanyahu. Non è la solita cosa, è diversa».
Una delle conseguenze di questa confusione è stato il fatto di rendere più complicata la vita ai negoziatori israeliani e di conseguenza anche ai mediatori che stanno provando a facilitare un accordo sulla Striscia di Gaza: non solo non è chiaro quale sia nel concreto la volontà di Netanyahu sulle singole proposte, ma ci sono dubbi anche sull’effettiva volontà del governo israeliano di rispettare gli impegni presi nelle varie fasi previste dall’accordo (il testo su cui si sta lavorando da mesi prevede tre fasi, nelle quali è inclusa la liberazione degli ostaggi, l’arrivo massiccio di aiuti umanitari nella Striscia e il ritiro dei soldati israeliani).
Secondo diversi analisti e osservatori, la reale intenzione di Netanyahu sarebbe però proprio quella di allontanare la possibilità di un cessate il fuoco, e l’ambiguità delle sue dichiarazioni sarebbe funzionale a questo scopo.
Il governo di Netanyahu, infatti, sopravvive solo grazie all’appoggio dei partiti ultranazionalisti guidati da Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, senza il quale il primo ministro non avrebbe la maggioranza in parlamento. Questi partiti hanno però avvisato che toglierebbero l’appoggio del governo nel caso in cui Netanyahu accettasse l’attuale proposta per un cessate il fuoco, anche se questa permettesse un graduale rilascio degli ostaggi israeliani.
Qualora non fosse più primo ministro, per Netanyahu sarebbe più difficile rallentare e ostacolare il processo per truffa e corruzione iniziato nel 2020 e da allora in corso. In estate il primo ministro ha chiesto di rinviare la sua testimonianza in aula a maggio dell’anno prossimo, ma il tribunale di Gerusalemme si è opposto alla richiesta e ha detto che dovrà testimoniare a dicembre. «Finché esisterà questo governo, la guerra continuerà. Finire la guerra è nell’interesse di Israele», ha scritto sui social il leader centrista dell’opposizione, Yair Lapid.
Anche le nuove posizioni di Netanyahu sul corridoio Philadelphi, e i discorsi sulla sua assoluta importanza per la sicurezza nazionale israeliana, avrebbero la funzione di prendere tempo.
In passato Netanyahu aveva idee diverse sul corridoio Philadelphi. Tra il 2004 e il 2005, quand’era ministro delle Finanze nel governo di Ariel Sharon, votò due volte per cederne il controllo, poi disse di aver cambiato idea. Haaretz ha ricordato che – nonostante Netanyahu sia stato primo ministro ininterrottamente dal 2009 in poi, tranne 18 mesi tra il 2021 e il 2022 – la gestione del corridoio (da cui i soldati israeliani si sono ritirati nel 2005) non è mai stata una sua particolare priorità.
Inoltre nel piano presentato a maggio da Biden, e sostenuto da Israele, il corridoio non aveva tutta questa rilevanza; l’ha acquisita in estate, dopo le minacce dei ministri ultranazionalisti Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich di lasciare il governo. Infine, i comandanti militari sono pressoché concordi nel non ritenere il controllo del corridoio così decisivo, perché in caso di emergenza potrebbero rioccuparlo facilmente.
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