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  • Sabato 7 settembre 2024

La petroliera in fiamme da due settimane nel mar Rosso

È stata attaccata il 21 agosto dagli Houthi e poi abbandonata: potrebbe diventare un grosso problema ambientale

La Sounion in fiamme, il 25 agosto (European Union's Operation Aspides via AP)
La Sounion in fiamme, il 25 agosto (European Union's Operation Aspides via AP)
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Il 21 agosto la petroliera con bandiera greca Sounion è stata attaccata dagli Houthi, il gruppo politico e militare sciita che controlla buona parte dello Yemen, mentre attraversava il mar Rosso. La nave è stata poi abbandonata dal suo equipaggio, e nei giorni seguenti gli Houthi sono tornati a bordo e hanno appiccato incendi sul ponte principale facendo esplodere alcune cariche. Da allora – sono passate due settimane – la Sounion è in fiamme in mezzo al mare.

Nel frattempo sono stati messi in atto procedimenti per mettere in sicurezza il carburante a bordo, l’ultimo è stato annullato martedì mentre era in corso a causa delle fiamme. Per il momento quindi non si sa se è possibile spegnere gli incendi a bordo o trasferire su un’altra nave il carico di carburante. La nave trasporta 150mila tonnellate di petrolio greggio: se disperso in mare causerebbe un disastro ambientale e gravi danni economici per gli abitanti della zona. I rimorchiatori che partecipavano all’operazione erano scortati da navi militari della missione Aspides, organizzata dall’Unione Europea.

Al momento la Sounion è ancorata a un centinaio di chilometri da Hodeida, il principale porto yemenita sul mar Rosso, e non sta andando alla deriva. A chiedere di poter rimuovere la petroliera è stata la società greca che gestisce la petroliera, Delta Tankers, e gli Houthi hanno acconsentito anche grazie alla mediazione dell’Arabia Saudita.

Dopo un primo scontro a fuoco con i miliziani a bordo di due piccole imbarcazioni, nelle ore successive la nave era stata colpita da tre missili che avevano messo fuori uso i suoi sistemi di manovra: a quel punto l’equipaggio era stato fatto scendere, scortato da navi militari, poi gli Houthi erano tornati a bordo il 23 agosto per mettere e far esplodere le cariche.

Da mesi gli Houthi attaccano le navi in transito per lo stretto di Bab al Mandeb, che collega l’oceano Indiano con il mar Rosso e quindi con il Mediterraneo e l’Europa. Dicono di farlo in sostegno al popolo palestinese che sta subendo l’invasione israeliana nella Striscia di Gaza. Anche se sostengono di colpire navi legate a Israele, agli Stati Uniti o al Regno Unito, hanno colpito diverse navi che non c’entrano nulla con quei paesi. Come Hamas, anche gli Houthi sono sostenuti dall’Iran, e da più di dieci anni combattono contro il governo yemenita riconosciuto internazionalmente.

La Sounion il 2 settembre (European Union’s Operation Aspides via AP)

Gli attacchi hanno creato grossi problemi nel commercio internazionale: il prezzo delle assicurazioni per le navi che passano dal mar Rosso è molto aumentato, e molte compagnie hanno deciso di usare la rotta che passa dal Capo di Buona Speranza, in Sudafrica, per collegare l’Europa all’Asia. Per difendere le navi commerciali nella zona l’Unione Europea ha istituito la missione Aspides, e Stati Uniti e Regno Unito hanno bombardato postazioni degli Houthi in Yemen.

Oltre ai problemi economici, gli attacchi degli Houthi comportano rischi ambientali molto gravi: il carburante contenuto nella Sounion è quattro volte di più di quello che c’era a bordo della Exxon Valdez, la petroliera che si incagliò in Alaska nel 1989 causando una delle peggiori fuoriuscite di petrolio di sempre. Lo sversamento del carburante potrebbe uccidere decine di migliaia di pesci, uccelli e mammiferi marini, e danneggiare gravemente la vegetazione marina. Il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen ha stimato che 78mila pescatori e le rispettive famiglie potrebbero essere danneggiati dall’inquinamento derivante dalle navi colpite dagli Houthi.

La Sounion non è l’unica imbarcazione che costituisce un rischio ambientale: un attacco di febbraio causò l’affondamento della Rubymar, una nave che trasportava fertilizzanti. Secondo Julien Jreissati, il direttore dei programmi di Greenpeace in Medio Oriente, se il suo carico si disperdesse in mare potrebbe causare una fioritura anomala di alghe e la produzione nell’acqua di livelli tossici di ossigeno, uccidendo gli animali di ampi tratti di mare.