L’uomo accusato di aver usato l’intelligenza artificiale per truffare le piattaforme di streaming musicale

Ha usato vari software per generare moltissime canzoni e le ha caricate con nomi di band inventate: poi ha creato migliaia di bot che fingessero di ascoltarle

Uno dei dischi che si sospetta siano stati creati da Michael Smith con l'intelligenza artificiale
Uno dei dischi che si sospetta siano stati creati da Michael Smith con l'intelligenza artificiale
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Michael Smith ha 52 anni e vive a Cornelius, una cittadina di 30mila abitanti nello stato americano del North Carolina: fa il musicista, e negli ultimi due anni ha ottenuto più di 10 milioni di royalties dalle principali piattaforme di streaming musicale, ovvero Spotify, Amazon Music e Apple Music. Sembra un risultato eccezionale, soprattutto se si considera che Smith come musicista è pressoché sconosciuto e queste piattaforme sono note per le royalties irrisorie pagate agli artisti più piccoli.

E infatti mercoledì è stato arrestato dopo che il procuratore del distretto meridionale di New York, Damian Williams, l’ha accusato di aver organizzato una truffa contro queste piattaforme. Secondo l’accusa, dal 2018 Smith ha cominciato a usare vari software basati sull’intelligenza artificiale per generare tantissime canzoni, caricarle sulle varie piattaforme di streaming con nomi di band inventate – come “Callous Post,” “Calorie Screams” e “Calvinistic Dust” – e poi “farle ascoltare” da migliaia di account falsi e automatizzati in modo da gonfiare i numeri di ascolti giornalieri calcolati dalle piattaforme e ottenere le stesse royalties di artisti amati e conosciuti da centinaia di migliaia di persone.

È accusato di riciclaggio di denaro, frode telematica e associazione a delinquere finalizzata a commettere frode telematica. Se condannato, rischia un massimo di 20 anni di carcere per ogni accusa. «Smith ha rubato milioni di royalties che sarebbero dovute andare a musicisti, cantautori e altri titolari di diritti le cui canzoni venivano legittimamente trasmesse in streaming», ha detto il procuratore distrettuale Damian Williams.

Secondo le ricostruzioni, Smith inizialmente aveva caricato musica effettivamente scritta da lui sulla piattaforma, rendendosi velocemente conto che il suo catalogo era troppo limitato e sconosciuto per poter guadagnare royalties sostanziose. Dopo aver tentato un paio di altre strade fallimentari, avrebbe acquistato circa 10mila email per creare account falsi sulle varie piattaforme utilizzando un servizio VPN (Virtual Private Network) – che consente a un dispositivo di fingersi in un altro paese – per mascherare il fatto che questi indirizzi fossero tutti riconducibili al suo indirizzo IP. L’accusa dice che, grazie a questo sistema, Smith generava fino a 661mila stream al giorno: per fare un confronto, una delle canzoni più ascoltate di quest’estate in Italia, “Sesso e samba” di Tony Effe e Gaia, è stata pubblicata il 15 marzo e da allora su Spotify è stata ascoltata 75,8 milioni di volte, quindi mediamente circa 433mila volte al giorno.

Il piano di Smith sarebbe stato organizzato tenendo a mente il modo in cui funzionano i sistemi di rilevamento delle frodi informatiche delle piattaforme di streaming. Normalmente, questi sistemi identificano un possibile caso di frode quando vedono che un brano musicale è stato ascoltato in streaming milioni di volte, senza che l’artista in questione sia effettivamente conosciuto. Smith, invece, aveva deciso di distribuire gli stream dei propri account automatizzati fasulli su un grande numero di finti artisti da lui inventati: «abbiamo bisogno di pubblicare un sacco di canzoni per poter girare attorno alle politiche antifrode», aveva scritto in un messaggio a due potenziali complici reso pubblico nell’atto di accusa.

Ad accorgersi del fatto che Smith stesse generando tantissima musica molto ascoltata molto velocemente già nel 2018 è stato il Mechanical Licensing Collective, organizzazione senza scopo di lucro che da anni rilascia le licenze per i servizi di streaming che operano negli Stati Uniti. Smith da allora nega di aver generato quelle canzoni grazie a software basati sull’intelligenza artificiale: un suo avvocato ha detto che le canzoni sarebbero tutte «di origine umana» e che l’uomo «non ha fatto nulla per gonfiare artificialmente i suoi stream».