La testimonianza di Gisèle Pelicot nel processo contro le decine di uomini che l’hanno stuprata con la complicità del marito
Nel tremendo e seguito processo in corso in Francia ha raccontato come scoprì delle violenze e perché ha deciso di rendere pubblico il suo nome
Giovedì Gisèle Pelicot ha testimoniato al tribunale di Avignone in uno dei processi più seguiti degli ultimi anni in Francia, quello in cui 51 uomini sono imputati con l’accusa di averla stuprata a sua insaputa con la complicità del suo ormai ex marito Dominique Pelicot. L’ex marito, tra gli imputati del processo, è accusato di averla resa incosciente numerose volte dandole di nascosto dei farmaci, e di avere consentito a decine di uomini contattati su Internet di entrare in casa per abusare di lei. Le violenze sono andate avanti per dieci anni.
In un’ora e mezza Pelicot, che ha 71 anni, ha raccontato di come ha scoperto degli stupri e di come ha reagito, della sua relazione con l’ex marito, con cui era sposata da cinquant’anni e con cui credeva di avere un rapporto «basato sulla fiducia»; di come si è sentita e si sente ora.
Le persone che hanno assistito alla testimonianza l’hanno descritta come calma e composta ed estremamente lucida. Quando ha parlato degli stupri subiti ha detto di essere stata trattata «come un sacco della spazzatura, una bambola di pezza» e ha respinto la versione di diversi imputati secondo cui non erano coscienti di star compiendo un atto di violenza perché il marito avrebbe detto loro che lei aveva acconsentito a essere drogata e abusata. Quando uno degli avvocati ha suggerito che gli imputati fossero stati «manipolati, sopraffatti dal piano criminale» di Dominique Pelicot, lei ha risposto che tutti gli uomini «sapevano esattamente cosa stavano facendo e in che condizioni ero».
In aula erano presenti l’ex marito e tutti gli altri uomini imputati, che hanno dai 26 ai 74 anni. La maggior parte di loro indossava una mascherina chirurgica per coprire parte del volto. Su di loro Gisèle Pelicot ha detto «non mi hanno violentata puntandomi una pistola alla testa», ha aggiunto. «Una telefonata avrebbe potuto salvarmi la vita. Nessuno di loro l’ha fatto».
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Ha raccontato di aver appreso per la prima volta degli stupri a novembre del 2020 quando accompagnò quello che era allora suo marito in commissariato per quello che lei credeva essere un fatto isolato: l’ex marito era accusato di aver filmato sotto le gonne di alcune clienti di un centro commerciale a settembre, una cosa per cui era già stato multato nel 2010 ma di cui lei non era a conoscenza. Mentre descriveva il marito come «un bravo ragazzo» e «un uomo premuroso» un agente le ha messo davanti una prima foto che la ritraeva nella sua camera da letto con un uomo che lei non conosceva e poi una seconda foto in cui la stava stuprando.
In quel momento la polizia le raccontò cosa le era successo e le disse di essere in possesso di 20mila video e fotografie degli stupri che il marito aveva fatto e poi aveva catalogato sul suo computer. Pelicot ha detto di essersi sentita «disgustata» e di non essersi capacitata come questo fosse potuto accadere dato che «avevamo tutto quello che ci serviva per essere felici». Gli stupri sotto effetto di sedativi hanno tuttavia spiegato i problemi di memoria e ginecologici che aveva da anni e per i quali era anche andata a fare una tac, temendo di avere un principio di Alzheimer o un tumore. Questi momenti di vuoti di memoria, che lei ha descritto come «blackout totali», la spaventavano a tal punto che aveva smesso di guidare.
Ha detto di essersi rifiutata di guardare i video degli stupri fino a maggio del 2024, quando il suo avvocato le ha consigliato di farlo per prepararsi, dato che sarebbero stati usati durante il processo. Parlando di come ha reagito e di come stia tuttora metabolizzando i fatti ha detto che la sua «facciata è solida, ma all’interno è un campo in rovina» e si è descritta come «un pugile che cade e si rialza». Ha detto che cercherà di ricostruire la sua vita anche se non sa come e ha ringraziato il sostegno che le stanno dando i suoi tre figli e sette nipoti, i suoi amici e il suo psichiatra.
Moltissimi giornali nazionali e internazionali hanno potuto riportare estesi pezzi della testimonianza perché quello contro Dominique Pelicot e gli altri uomini è un processo pubblico: nel suo discorso Gisèle Pelicot ha spiegato che pur potendo chiedere di mantenere l’anonimato e avere un processo a porte chiuse, come permette la legge francese nei casi di violenza sessuale, ha deciso di averne uno pubblico affinché la sua storia e le sue parole arrivassero a quante più persone possibili.
«È importante parlare di questo flagello. Lo faccio a nome di tutte le donne che vi sono sottoposte,» ha detto. «Forse una mattina una donna che si sveglia senza memoria penserà alla mia testimonianza». In questo ragionamento rientra anche la scelta di farsi conoscere dalla stampa con il cognome del marito, nonostante i due abbiano divorziato dopo che lei era venuta a sapere degli stupri. Ha detto che riprenderà il cognome da nubile non appena finirà il processo.
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Se hai bisogno di aiuto o sostegno qui c’è l’elenco di tutti i numeri telefonici dei centri antiviolenza della rete Di.Re. È anche possibile chiamare il numero antiviolenza e stalking 1522, gratuito, attivo 24 ore su 24 con un’accoglienza disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. In entrambi i casi si riceveranno indicazioni da persone che hanno l’esperienza e la formazione più completa per occuparsi di questa questione. È anche possibile, di fronte a una situazione di emergenza, chiamare i carabinieri o la polizia al 112.