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  • Venerdì 6 settembre 2024

Il disastro dell’alluvione in Emilia-Romagna si poteva prevedere?

Se lo chiedono le procure di Ravenna e Forlì, che hanno commissionato una perizia per capire se si sarebbero potuti evitare la morte di 17 persone e i danni per circa 10 miliardi di euro

Il ponte della Motta distrutto dalla piena del fiume Idice
Il ponte della Motta distrutto dalla piena del fiume Idice (Antonio Masiello/Getty Images)
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Le procure di Ravenna e Forlì hanno commissionato una perizia a tre esperti del politecnico di Milano – un geologo, un meteorologo e un ingegnere idraulico – per capire se le conseguenze disastrose dell’alluvione in Romagna del maggio 2023 fossero in qualche modo prevedibili. La perizia fa parte dell’inchiesta aperta lo scorso anno per individuare eventuali responsabilità nella gestione dei fiumi, delle strade e in generale delle infrastrutture: l’obiettivo dei magistrati è scoprire se in passato fosse stata fatta un’adeguata prevenzione o se l’alluvione sia stata così estesa e grave da rendere inefficaci le opere di prevenzione realizzate negli anni precedenti.

L’inchiesta è importante anche perché è una delle prime di questo tipo in Italia su un fenomeno meteorologico come un’alluvione.

Nel maggio del 2023 in Romagna ci furono tre eventi meteorologici intensi con pioggia abbondante concentrata in poche ore: il 2, il 10 e il 16 maggio si formarono tre diversi cicloni sul mar Tirreno che spostandosi verso est provocarono esondazioni di centinaia di corsi d’acqua tra fiumi, torrenti e canali, l’allagamento di numerosi centri abitati e campi coltivati, centinaia di frane e tutti i gravi danni che ne sono conseguiti. A causa degli allagamenti morirono 17 persone e migliaia rimasero senza casa, sfollate per diversi mesi. Fu un evento eccezionale: è stato stimato che un’alluvione del genere abbia un tempo di ritorno di 200 anni, un’espressione scientifica che significa che la probabilità che si verifichi in un dato anno è circa dello 0,5 per cento.

Già circa un mese dopo l’alluvione la Regione Emilia-Romagna presentò al governo una stima accurata dei danni causati dagli allagamenti in pianura, dalle frane in collina e sugli Appennini. In totale furono segnalati danni per 8,8 miliardi di euro, di cui la metà per ripristinare opere pubbliche come strade, ponti, argini dei fiumi, canali. Furono aperti 6.300 cantieri urgenti soprattutto per riaprire le strade interrotte da allagamenti e frane. Nei mesi successivi la stima dei danni aumentò fino a raggiungere quasi 10 miliardi di euro per la ricostruzione o la sistemazione di opere pubbliche o private come case e aziende.

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Pochi giorni dopo l’alluvione esperti, politici e abitanti delle zone colpite iniziarono a interrogarsi sugli interventi e sulle opere idrauliche che avrebbero potuto evitare gli allagamenti. Tra le opere più citate come decisive in caso di alluvioni ci sono le “casse di espansione” dei fiumi, note anche come bacini di espansione. Le casse di espansione sono invasi costruiti per raccogliere l’acqua che tracima dai fiumi durante le piene. Vengono chiamate così perché di fatto sono un’espansione dei fiumi: quando il livello dell’acqua è sotto controllo, le casse di espansione rimangono vuote.

Secondo un report della Regione che cita i dati dell’ANBI, l’associazione nazionale delle bonifiche e delle irrigazioni, nel momento dell’alluvione in Romagna c’erano 53 casse di espansione che potevano raccogliere quasi 100 milioni di metri cubi d’acqua. Dal 2020 la Regione ha stanziato 190 milioni di euro per costruire 23 nuove opere idrauliche tra casse di espansione e bacini artificiali: alcune sono state concluse, di altre sono iniziati i lavori, altre ancora sono nella fase di progettazione.

Nell’ultimo anno sono stati commissionati nuovi progetti e sono stati stanziati fondi per far accelerare lavori che andavano a rilento. Sono stati aperti i cantieri per adeguare le casse di espansione del fiume Secchia, in provincia di Modena; è iniziata la progettazione delle casse di espansione del torrente Marano, del rio Melo e del torrente Ventena, in provincia di Rimini. Secondo le stime della Regione, ora tutte le casse di espansione aperte in Emilia-Romagna hanno capacità di 130 milioni di metri cubi di acqua, di cui solo 35,7 in Romagna. Una commissione tecnica istituita dalla Regione per analizzare i danni causati dall’alluvione ha spiegato però che le casse di espansione, pur essenziali in alcuni territori, non avrebbero potuto evitare gli allagamenti: un anno e mezzo fa piovve troppo, e in troppo poco tempo.

– Leggi anche: In Romagna sono esondati anche i bacini costruiti per evitare gli allagamenti

Le procure di Ravenna e Forlì stanno indagando per capire se la conclusione a cui è arrivata la commissione sia corretta. Lo sta facendo avendo a disposizione molti più documenti: nell’autunno del 2023 i carabinieri hanno iniziato a sequestrare atti e progetti relativi alla gestione dei fiumi, dei corsi d’acqua e della rete idrica, in particolare tutto il materiale relativo ai progetti di opere di prevenzione. Tra queste ci sono anche le casse di espansione, i canali di scolo e dei cosiddetti scolmatori, cioè gallerie che servono a diminuire la portata dei corsi d’acqua, ma anche progetti per la prevenzione delle frane. Il fascicolo d’indagine è stato aperto per “disastro colposo” e al momento non ci sono indagati.

Tutto il materiale sarà messo a disposizione dei periti del politecnico di Milano. Il procuratore capo di Ravenna, Daniele Barberini, ha detto che li aspetta un lavoro enorme perché la documentazione da analizzare è «immensa», e tra le altre cose comprende gli esposti inviati alla magistratura dai cittadini.

Non sarà un lavoro semplice e non è detto che la perizia potrà arrivare a conclusioni definitive perché è molto complicato attribuire responsabilità dirette, dovute ad azioni e omissioni, nella gestione di un evento con conseguenze così estese. Nell’ottobre del 2023 la stessa procura di Ravenna aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione dell’inchiesta aperta per omicidio colposo relativa alle morti avvenute durante l’alluvione. Le indagini della polizia giudiziaria avevano dimostrato che in quella situazione d’emergenza era stato fatto il possibile per avvertire la popolazione e soccorrere le persone coinvolte.