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  • Venerdì 6 settembre 2024

I ciclisti-marinai della Coppa America

I “cyclor” generano l'energia necessaria a muovere le vele dei monoscafi volanti AC75, impegnati in queste settimane nella più antica e importante competizione velica al mondo

I cyclor di Luna Rossa durante questa edizione della Coppa America (EPA/Quique Garcia)
I cyclor di Luna Rossa durante questa edizione della Coppa America (EPA/Quique Garcia)
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Nel 2017 il team neozelandese Emirates Team New Zealand vinse la Coppa America, il più importante trofeo della vela, battendo il team statunitense BMW Oracle, che si era aggiudicato le precedenti due edizioni. Tra le altre cose, Emirates Team New Zealand vinse perché al posto dei cosiddetti grinder (le persone che usavano le braccia per generare l’energia necessaria a muovere parti dell’imbarcazione) usò i cyclor, dei ciclisti-marinai (la parola nasce dall’unione delle parole inglesi cyclist e sailor) che usando le gambe al posto delle braccia sviluppavano maggiore potenza. Nel 2021, anno dell’edizione successiva, l’uso dei cyclor fu espressamente vietato e si tornò ai grinder, cosa che comunque non impedì ai neozelandesi di vincere di nuovo la Coppa America di vela.

Quest’anno, dopo un nuovo cambio di regolamento, i cyclor sono tornati. In ogni regata di questa Coppa America le imbarcazioni in gara hanno avuto (e avranno) a bordo quattro ciclisti-marinai incaricati di generare l’energia necessaria a muovere le vele. È una novità che alcuni puristi della vela non hanno gradito, ma date le nuove regole, secondo cui non è necessario usare solo le braccia per produrre energia, non avrebbe avuto senso fare altrimenti. Il motivo è semplice: le gambe sono più potenti delle braccia.

Oltre a essere il più importante trofeo velistico al mondo e uno dei più importanti nel mondo dello sport, la Coppa America è anche la più antica competizione sportiva tra quelle che ancora si svolgono con una certa regolarità. La prima edizione fu nel 1851, con gli Stati Uniti che le vinsero tutte fino al 1983. Giunta quest’anno alla 37ª edizione dei suoi 173 anni di storia, negli anni la Coppa America si è complicata parecchio e le imbarcazioni con cui si compete sono cambiate in modo radicale.

Questo perché, oltre al normale progresso del mondo della vela, a ogni nuova edizione la squadra che difende il titolo sceglie gran parte di ciò che riguarda la serie di regate che assegnano il trofeo: i protocolli da seguire, il luogo delle gare, il tipo di imbarcazioni da usare. Il trofeo vero e proprio – noto come Auld Mug, “vecchia brocca” – si assegna al termine di una lunga fase preliminare che seleziona quale squadra, tra diverse candidate, si guadagna il diritto di sfidare i detentori del trofeo. È la fase in cui siamo ora: con Luna Rossa, del Team Prada Pirelli, a contendersi con altre imbarcazioni la vittoria della Louis Vuitton Cup e la possibilità – intorno alla metà di ottobre – di regatare contro il team neozelandese per la vittoria della Coppa America. Anche se il girone non è ancora terminato, Luna Rossa è prima a punteggio pieno e già qualificata per le semifinali.

Così come nel 2021, anche quest’anno le imbarcazioni in gara sono gli AC75: AC sta per America’s Cup e 75 è la loro lunghezza in piedi, pari a quasi 23 metri. Gli AC75 sono imbarcazioni affascinanti ed estreme: grazie a una serie di innovazioni tecnologiche – la più evidente delle quali è quella che le fa volare – possono raggiungere i 55 nodi, pari a più di 100 chilometri orari. Per arrivare a questa velocità è ovviamente determinante il vento e come lo si sfrutta (e non mancano parti azionate a batteria), ma per far sì che le vele si possano muovere – e che lo facciano quando necessario e alla maggiore velocità possibile – servono i cyclor.

I cyclor sono così importanti che compongono la metà degli equipaggi degli AC75 di questa 37ª Coppa America. Delle otto persone che stanno su ogni imbarcazione durante ogni regata due sono timonieri, due sono trimmer (quelli che regolano le vele) e quattro sono cyclor.

Questi peculiarissimi pedalatori fanno parte dei cosiddetti Power Team, e c’è chi ha fatto riferimento a loro come a una sorta di “sala macchine” di queste barche a vela. Come ha ricordato Yachting World, sebbene la parola cyclor – «una parola da storia di fantascienza» – sia stata coniata dai neozelandesi nel 2017, già nel 1977 c’era stato chi, proprio in Coppa America, aveva sperimentato l’uso di pedali al posto delle manovelle.

La presenza dei cyclor in questa 37ª Coppa America è una conseguenza della riduzione degli equipaggi: nella passata edizione le persone su ogni barca erano infatti 11. Siccome le barche sono simili a quelle di tre anni fa e richiedono ancora grande energia per fare manovre rapide ed efficaci, c’era la necessità di generare una potenza complessiva uguale o maggiore rispetto alla passata edizione, usando però meno persone.

Durante le gare i quattro cyclor, alloggiati in appositi spazi in cui stanno per l’intera regata, devono pedalare e generare l’energia necessaria per alimentare i sistemi idraulici che permettono ai trimmer di regolare albero e vele in base alle necessità dei timonieri. A seconda delle imbarcazioni alcuni stanno in una posizione simile a quella di chi pedala su una bici indoor, mentre altri stanno in una posizione più reclinata.

I cyclor, però, non devono pedalare-e-basta: devono farlo quando e come richiesto dalle condizioni e dalle scelte di gara, calcolando come gestire le energie tra accelerazioni e virate repentine, in barche di oltre 6,5 tonnellate che sfruttano la portanza (la forza che le spinge verso l’alto) per volare sull’acqua, a bordo di monoscafi in carbonio spesso paragonati a macchine di Formula 1, realizzati con progetti il cui costo stimato supera i 100 milioni di euro.

«È come andare in bici e giocare a rugby nello stesso momento», ha detto Matt Gotrel, cyclor per Ineos Britannia e vincitore di un oro olimpico (nel canottaggio) a Rio 2016. I cyclor devono fare un lavoro intenso e inconsueto; un lavoro che giusto una manciata di persone aveva svolto su una sola barca sette anni fa, e che fino alla scorsa edizione era contro le regole.

I cyclor dell’Emirates Team New Zealand all’edizione del 2017 della Coppa America che si svolse alle Bermuda (AP Photo/Gregory Bull)

Questo vuol dire che tutti i team in gara hanno avuto meno di tre anni per creare posti per i cyclor sulle loro imbarcazioni, studiare come ottimizzare la trasmissione della loro potenza e cercare candidati ideali per il ruolo. E siccome in Coppa America ci sono da fare decine di regate, ogni team ha ingaggiato più cyclor di quelli che possono stare su una barca durante una regata, così da poterli alternare nelle varie gare (in genere in misura maggiore rispetto a quanto succede anche con trimmer e timonieri).

Per fare da motore alle loro imbarcazioni le squadre avevano bisogno di atleti abituati a sforzi fisici di intensità variabile: le regate durano circa mezz’ora e richiedono di alternare sforzi brevi ma intensissimi, in cui andare davvero a-tutta per qualche secondo, ad altri che possono durare anche alcuni minuti. Serviva, com’è ovvio, che gli aspiranti cyclor non soffrissero mal di mare, che potessero performare su monoscafi volanti e non solo su strada o in test svolti in contesti parecchio più tranquilli. E siccome alle barche conviene che l’equipaggio sia pesante (ma non troppo pesante, perché c’è un limite di peso per le persone a bordo) i cyclor dovevano avere un certo peso, in genere vicino ai 90 chilogrammi.

Nonostante si tratti pur sempre di pedalare, e sebbene più di una squadra in gara abbia legami più o meno diretti con aziende che sponsorizzano anche squadre ciclistiche, solo alcuni cyclor sono ex ciclisti. Il fatto è che nel ciclismo, soprattutto quello su strada, un valore molto importante è quello dei watt-per-chilo: è determinante generare centinaia di watt, ma lo è altrettanto essere leggeri per vincere meglio la gravità e la resistenza dell’aria. «Ci servivano atleti molto forti e robusti: questa non è un’attività in cui conta il rapporto peso-potenza, è solo una questione di potenza assoluta», ha detto a Cyclingnews Ben Day, ex ciclista e ora Head of Performance per il team statunitense American Magic.

Tra gli ex ciclisti diventati cyclor c’è lo statunitense Ashton Lambie, ex campione mondiale di inseguimento individuale nel ciclismo su pista (uno degli storici rivali di Filippo Ganna) che intervistato da BBC ha detto di aver messo su circa dieci chili («quasi tutti di muscoli») e ha però spiegato che tra fare il ciclista e il cyclor è tutto un altro pedalare, soprattutto per la sensazione di muoversi lateralmente e verticalmente.

Un altro ex ciclista impegnato a regatare in Coppa America è il 31enne italiano Paolo Simion, che ha partecipato a tre Giri d’Italia e che intervistato dal canale YouTube GCN Italia ha raccontato di essersi candidato per diventare cyclor di Luna Rossa nel dicembre 2021, dopo che a causa della pandemia era saltata la possibilità di continuare a fare il ciclista professionista correndo per una squadra cinese. «Un amico ha visto sulla Gazzetta dello Sport che la vela cercava ciclisti e ho detto “ci provo”». Dieci mesi dopo la sua autocandidatura via mail Simion ha avuto risposta, ha fatto i test del caso e dal marzo del 2023 è diventato uno dei nove cyclor di Luna Rossa.

Simion ha spiegato così il suo nuovo lavoro: «Pedalando azioniamo una pompa che fa girare l’olio e lo mette in pressione in un circuito che fa muovere le vele». Ha poi detto che rispetto a quando correva ha «preso 15 chili» passando «dal 7 al 9,5 per cento di massa grassa» e che prima di diventare cyclor di vela non sapeva «minimamente nulla». A proposito delle regate Simion ha detto: «la fase più difficile è il pre-start, quando parti, perché si arrivano a fare anche tre minuti a 550 watt medi» e che in determinati momenti i cyclor arrivano a generare «1500/1600 watt di sprint», sempre considerando che bisogna risparmiare qualche energia: «se fai mezz’ora a tutta arrivi a un momento chiave, magari all’ultima virata o strambata che le energie non ci sono più».

Tra i cyclor non ci sono però solo ciclisti: molti arrivano dal canottaggio (in cui hanno vinto medaglie olimpiche), altri arrivano da contesti più propriamente velistici (ci sono anche grinder diventati cyclor) e altri ancora da contesti diversi: chi dall’esercito, chi dal mezzofondo e chi dal crossfit. In breve: nel caso di ex ciclisti si tratta di guadagnare massa e adattare un movimento familiare a un’attività del tutto nuova, con dinamiche diverse. Nella maggior parte degli altri casi si tratta invece di allenare muscoli diversi dal solito, per fare però sforzi spesso più simili a quelli a cui ci si era abituati.

Un’altra cosa strana di questo strano lavoro è che dopo mesi di preparazione (molti dei quali a terra, perché le barche ancora non potevano regatare) nelle prossime settimane il lavoro di molti cyclor finirà. Con l’imminente fine dei cosiddetti “round robin” e con le successive fasi finali della Louis Vuitton Cup, la maggior parte dei team sarà eliminata. E siccome non c’è modo di sapere chi vincerà la Coppa America né quali regole sceglierà per la prossima edizione, non è detto che i cyclor ci saranno di nuovo.

Per molti di loro, però, non dovrebbe essere difficile trovare occupazione, dentro o fuori il contesto della vela competitiva. Come ha spiegato Simion a GCN, oltre a pedalare e fare palestra, nei mesi prima della gara i cyclor sono stati anche «impiegati nei diversi dipartimenti» (per esempio idraulica, elettronica, vele, albero, boat building e human interface): un po’ per fare gruppo, un po’ per prendere familiarità con tutto il contesto, un po’ perché mentre si pedala in barca bisogna capire cosa sta succedendo tutto intorno.

Simion ha raccontato che la contaminazione tra mondi diversi che richiede una sfida come la Coppa America di vela è stata utilissima a livello umano e lo sarà dal punto di vista professionale: «Con il ciclismo impari ad andare in bicicletta, mentre qui impari a fare tantissime cose e riesci a tastare con mano diversi ambienti lavorativi e vedere cosa ti piace fare».