Una strana familiarità con Mussolini

È quella che hanno provato a costruire gli sceneggiatori di “M - Il figlio del secolo”, la serie tratta dal romanzo di Antonio Scurati in cui il dittatore fascista scherza con la telecamera

di Gabriele Niola

(Sky)
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La serie M – Il figlio del secolo, che sarà trasmessa su Sky nei primi mesi del 2025, è tratta dal romanzo omonimo di Antonio Scurati che ha vinto il premio Strega nel 2019, ma non gli assomiglia. Non ha un approccio rigoroso alle vicende storiche come il libro, e pur mostrando tutti fatti documentati (la maggior parte provenienti dal romanzo stesso) lo fa con un tono grottesco e postmoderno: a tratti cioè è consapevole di essere una serie e gioca con questa consapevolezza.

Il protagonista Benito Mussolini per tutti gli otto episodi, in cui viene raccontata la nascita del fascismo e la presa del potere (la prima puntata è ambientata nel 1919, l’ultima nel 1924), parla in camera, cioè si rivolge al pubblico, gli confessa cose che gli altri personaggi non possono sentire, scherza e fa ironia. In un certo senso sconcertante è simpatico, anche per come lo interpreta l’attore Luca Marinelli, ma ciò non alleggerisce la gravità della storia e delle sue azioni.

Si tratta di un tipo di scrittura per lo schermo molto complicata, e ovviamente anche di un tono che giunge alla condanna dei personaggi passando per una strana e sgradevole familiarità, molto delicata da gestire. Tra tutti gli elementi della serie è quello che più colpisce e di cui più si sta parlando ora che è stata presentata alla Mostra del cinema di Venezia. Lo si vede dal trailer.

Questa scelta così rischiosa e fuori dalla tradizione italiana del racconto storico viene dai due sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino, a cui la produzione (The Apartment, la stessa di Parthenope di Paolo Sorrentino, Queer di Luca Guadagnino e della serie Supersex) ha chiesto di scrivere i primi due episodi di una possibile serie dopo aver acquistato i diritti del romanzo, per capire come la si sarebbe potuta impostare e quindi decidere se produrla. Una volta scritti questi due episodi e prese le decisioni riguardo a stile, tono e modalità di racconto, è stato possibile iniziare a proporla a coproduttori e canali televisivi: «in realtà prima mi è arrivato il romanzo» spiega Stefano Bises, «me lo mandò Scurati, che io non conoscevo personalmente. La dedica diceva: “Spero potremo lavorarci insieme”. Non capii cosa intendesse. Poi mi arrivò la proposta di The Apartment».

Bises è uno dei nomi più importanti della sceneggiatura per la televisione italiana, ha lavorato per molti anni alle serie poliziesche della tv generalista e poi, quando anche Sky ha iniziato a produrne ma con più ambizioni, ha scritto (tra le molte) Gomorra – La serie, Il re, ZeroZeroZero, The New Pope, Esterno notte e Speravo de morì prima. Bises ha coinvolto Davide Serino, sceneggiatore più giovane che ha collaborato spesso con lui e che da solo ha contribuito alla scrittura di 1992 e 1993, The Bad Guy e Ti mangio il cuore.

Ci sono voluti due anni per mettere a punto le prime due puntate, non per ragioni di difficoltà di scrittura né per la lunghezza del romanzo, oltre 800 pagine. Bensì perché l’inizio del lavoro su una serie o un film è la fase in cui occorre prendere tutte le decisioni che poi daranno una personalità al progetto, tra cui la caratterizzazione di ogni personaggio. In quel momento è stato deciso il tono particolare e l’equilibrio tra l’empatia con il protagonista e la sua condanna.

Sono stati due anni in cui Bises e Serino hanno portato avanti altri lavori, non si sono dedicati solo a questo: «A scriverle poi non ci vuole molto» dice Bises, «ma a concepirle e a radunare i materiali sì. Ci vogliono due anni di pensiero». Per certi versi questo modo di parlare con il pubblico di Mussolini può ricordare quello di Frank Underwood, protagonista della serie House of Cards: gli sceneggiatori ne erano consci, ma è stato ritenuto giusto e funzionale all’ambizione di restituire «un costante doppio standard», come lo definisce Bises, «tra pensiero e manifestazione del pensiero, cioè è uno che non dice mai la verità, parla sempre una doppia lingua e con questo trucco lo potevamo rappresentare». Oltre a un tono diverso rispetto al romanzo, la serie ha anche una struttura diversa e molti altri cambiamenti: «Può capitare che 300 pagine siano riassunte con un montaggio rapido», dice Serino.

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Anche per questa ragione ci sono state molte conversazioni tra gli sceneggiatori e Antonio Scurati riguardo al tono da tenere. In una produzione simile lo scrittore del romanzo (specialmente se importante come Scurati) se non è sceneggiatore viene coinvolto soprattutto come consulente. Quando vengono scritte le puntate, gli vengono mandate in lettura, anche se non sono definitive, per avere un parere non vincolante attraverso delle note.

«Il rapporto con l’autore di un romanzo da adattare non è mai lineare. Tanto più se tu quella roba la prendi e la stravolgi come abbiamo fatto noi. Che Antonio fosse spiazzato dal tono mi pare comprensibile, per lungo tempo lo ha trovato un tradimento del suo rigore. Alla fine, un po’ per le regole del gioco (in fondo ha dato i diritti alla produzione e la produzione era d’accordo con i cambiamenti) e un po’ perché quello che stavamo facendo piaceva a tutte le persone a cui doveva piacere, si è tranquillizzato». Il nome di Antonio Scurati compare tra i soggettisti, e in tutte le interviste date ha dimostrato di essere molto soddisfatto del risultato.

Ci sono delle ragioni tecniche per questa scelta degli sceneggiatori: in un racconto audiovisivo, specialmente se così lungo e con un protagonista che è in sé negativo, serve trovare un modo perché il pubblico abbia lo stesso un’empatia o una forma di adesione con lui. «La grande idea di Scurati è anche questa: raccontare il fascismo dal punto di vista di Mussolini ma in maniera estremamente documentata», spiega Serino. Nel romanzo, Mussolini è descritto come un uomo con molti talenti, un deciso acume e una forte volontà, ma pieno di quei difetti che spesso cinema e letteratura hanno raccontato come tipicamente italiani (opportunismo, trasformismo, vigliaccheria). Essendoci in questo qualcosa in linea con la tradizione della commedia italiana, è stato scelto proprio quel registro: «All’inizio l’impronta di commedia è più forte. Poi più la serie procede più diventa nera, avvitandosi nella tragedia», dice Bises.

Con la sceneggiatura dei primi due episodi, e quindi l’impianto della serie, venne trovato anche chi la poteva mettere in onda, cioè Sky, e cominciò il lavoro più intenso. È a questo punto che venne coinvolto Joe Wright, regista inglese di Espiazione e L’ora più buia, per la prima volta alla regia di un’intera serie televisiva.

Essendoci già una sceneggiatura ed essendo state già prese tutte le decisioni cruciali, un regista a questo punto accetta o rifiuta lo stile, non lo cambia. Tuttavia, come si vede anche dal prodotto finito, molto della serie è montato e pensato già sulla carta per avere lo stile di Wright che infatti, dicono Bises e Serino, ha poi aggiunto, personalizzato e collaborato alla scrittura, seguendo quella linea già impostata, per adattare le puntate alla sua regia.

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Inevitabilmente questo ha dato alla serie un tono molto internazionale (specialmente dal punto di vista dell’immagine), anche se ha creato qualche difficoltà in più. M – Il figlio del secolo è una serie di carattere storico che ha a che fare con personaggi reali molto noti, che richiede quindi un’attenzione alla lingua che una persona non italiana non può avere. Anche per questo è stato necessario che i due sceneggiatori fossero spesso sul set o comunque vicini alle fasi di lavorazione. La cosa è frequente sui set delle serie tv americane (in cui gli sceneggiatori sono spesso anche produttori) e molto inusuale per l’Italia.

Per esempio la rituale lettura del copione con gli attori è stata fatta insieme agli sceneggiatori, in modo da correggere e indirizzare l’interpretazione linguistica, il lavoro sulle parole e sull’aderenza alle vere figure storiche. In particolare per Mussolini, che aveva non solo un accento chiaro ma una sua lingua particolare. Una volta impostato il lavoro, la presenza degli sceneggiatori è stata sempre meno capillare: «Ma per tutte le scene importanti noi c’eravamo sempre, anche solo per controllare. Devo dire però che dopo tanti anni di lavoro posso affermare di non aver mai conosciuto qualcuno più rispettoso della sceneggiatura di Joe Wright. Pur non parlando la lingua, non ha consentito che venisse cambiata nemmeno una parola, nemmeno quando lo proponeva Luca Marinelli».

Un pezzo molto importante della serie è proprio Marinelli, che interpretando Mussolini è al centro di quasi tutte le scene, è la voce fuoricampo, porta avanti il racconto, dialoga con gli spettatori e, dovendo rendere quel tono così particolare della sceneggiatura (quello che poi determina la bontà e la riuscita di tutto il progetto), ha su di sé un compito molto più importante e gravoso di quanto non abbiano di solito gli attori. Forse anche per questo non c’è stato un vero e proprio casting come si fa di solito, ma il progetto fin dalle primissime fasi ha sempre avuto lui come scelta unica, anche prima che fosse deciso il regista: «Da che ricordo io, il progetto lo si è sempre proposto e venduto con Luca nei panni di Mussolini, e anche con lui abbiamo parlato molto, ci sono delle frasi reali di Mussolini che sono in sceneggiatura perché le ha suggerite lui dopo averle trovate documentandosi, come: “Solo i muli e i paracarri non cambiano idea”», dice Bises.

Ora che la serie è terminata e che è stata presentata alla Mostra del cinema di Venezia, dove già sono state lanciate con successo serie italiane di grandi ambizioni internazionali come The Young Pope di Paolo Sorrentino, sono iniziate le riflessioni sugli altri romanzi di Scurati. M. Il figlio del secolo è il primo, poi sono usciti M. L’uomo della provvidenza, che racconta eventi dal 1925 al 1932, M. Gli ultimi giorni d’Europa, che tratta i fatti dal 1938 al 1940, e l’ultimo, M. L’ora del destino. Ufficialmente non sono stati annunciati piani per ulteriori stagioni che adattino gli altri romanzi, ma, come è prassi, gli sceneggiatori hanno già in mente delle idee da proporre su cosa fare e come farlo.

Secondo Bises e Serino il secondo romanzo, che inizia subito dopo gli eventi del primo e racconta la storia del partito fascista con i suoi segretari e la costruzione della dittatura, sarebbe meno interessante da trasporre. Il terzo libro, che invece fa un salto di sei anni e comincia nel 1938 per trattare del rapporto con Hitler, sembra più in linea con quello che poi è la serie: «Nel rapporto con la Germania di Hitler c’è una cosa che si trova molto anche in questa nostra prima stagione: il fatto che Mussolini è un arci-italiano, che una volta costruiti i suoi sogni vuole fare l’impero, ma fa ridere. La guerra in Etiopia è un’immensa tragedia non raccontata e una vergogna nazionale, ma condotta con un fare da operetta».

Nel caso dunque andrebbe anche rappresentato Hitler, che a differenza di Mussolini è un personaggio molto raccontato dal cinema di tutto il mondo e in modi molto diversi, che vanno dal tragico al macchiettistico fino al fumettistico. Rimetterlo in scena ancora una volta con un’idea nuova e in linea con il tono originale di questa serie sarebbe una delle questioni principali, e Serino e Bises hanno già un’idea su come fare: «Non si può fare La caduta, cioè Hitler serio e drammatico, né possiamo fare Jojo Rabbit e renderlo divertente. Siamo tentati di non farlo parlare mai, solo farlo comparire. Quando Mussolini va per la prima volta a Berlino, si sente il maestro di un piccoletto, un po’ folle e un po’ barbaro. Un selvaggio. Lì però si trova seicentomila persone perfettamente allineate davanti a sé. Ecco, non c’è bisogno che Hitler parli perché Mussolini si renda conto che c’è qualcosa che non va».