Come si spostano gli animali in Italia a causa del clima

«Le cicale sono soltanto una delle numerose specie di insetti e animali che, come l’uomo, tentano di adattarsi al cambiamento climatico; alcune fuggono dal caldo anomalo, altre lo sfruttano per estendere il proprio habitat, con conseguenze negative sia dal punto di vista ecologico (minor biodiversità) che sanitario (portatori di patogeni). Se in passato gli effetti delle introduzioni di specie aliene in Europa da parte dell’uomo venivano in gran parte limitati dal freddo, oggi questa capacità di contenimento si è notevolmente ridotta. Per tanti tipi di piante e animali invasivi che sfruttano il caldo a loro vantaggio, ci sono altrettante specie autoctone che vedono il loro habitat ridursi, al punto da essere costrette a spostarsi verso regioni più fredde. Succede anche a noi»

Ermellino bianco su prato verde senza neve (Epa/Karl-Josef Hildebrand/ansa)
Ermellino bianco su prato verde senza neve (Epa/Karl-Josef Hildebrand/ansa)
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Agosto 2017, fa un gran caldo in tutta Italia e molte zone registrano una preoccupante carenza d’acqua. Spossato dalla calura e intristito dagli alberi precocemente ingialliti dalla siccità, decido di cercare frescura in montagna. Con un amico optiamo per il monte Falterona, sull’Appennino tosco-romagnolo, zona nota per la ricchezza delle sue foreste, per la bellezza dei suoi paesaggi e per il clima gradevole anche in piena estate. Salendo di quota il caldo si attenua, ma la sensazione è quella che sia davvero eccessivo anche per quelle altitudini. Arrivati a circa 1.550 metri il silenzio dei faggi e degli abeti viene spezzato dal frinìo di una cicala; quel canto, così anomalo per quell’ambiente, ci lascia talmente increduli che decidiamo di registrarlo.

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Anche l’insetto più rappresentativo delle estati mediterranee ha deciso di puntare in alto, ma non per sfuggire al caldo, bensì per seguirlo ben oltre i limiti entro i quali la natura lo aveva confinato. Le cicale, infatti, come molti altri insetti, sono creature termosensibili e ampliano o riducono il loro areale, la superficie abitata da una specie, anche in base alle condizioni climatiche. Quella dell’estate 2017 è stata la mia prima, personale, testimonianza della presenza di cicale in montagna; un fatto che ormai si ripete ogni estate diventando una consuetudine a cui non facciamo quasi più caso. Nell’estate del 2023 l’inconfondibile “canto” della cicala è stato documentato anche sul monte Baldo, tra Trentino e Veneto, a 1.700 metri di quota, mentre nell’agosto 2024 ha riecheggiato sui crinali più elevati dell’Appennino pistoiese.

Un esemplare adulto di cicala (AP Photo/Carolyn Kaster)

Le cicale sono soltanto una delle numerose specie di insetti e animali che, come l’uomo, tentano di adattarsi al cambiamento climatico; alcune fuggono dal caldo anomalo, altre lo sfruttano per estendere il proprio habitat, con conseguenze negative sia dal punto di vista ecologico (minor biodiversità) che sanitario (portatori di patogeni). A causa del cambiamento climatico alcuni tipi di zecche, note per essere vettori di malattie anche gravi,  stanno espandendo sia il loro areale, sia la stagione in cui riescono a parassitare gli ospiti. Dato che non tutti gli animali che colonizzano gli spazi resi disponibili da questo innaturale innalzamento delle temperature sono “buoni”, molti possono risultare estremamente competitivi e soprattutto molto dannosi per l’ecosistema. Non è certo il caso del geco, un “invasore” simpatico e innocuo, anch’esso diventato presenza costante in zone d’Italia dove fino a 20 anni fa non esisteva, come per esempio la Val Padana, le montagne del Carso, o le zone collinari interne dell’Italia centrale.

Decisamente pericolose per gli equilibri ecosistemici, invece, sono le specie marine che dal mar Rosso si spingono nel Mediterraneo, trovando, contrariamente a quanto succedeva in passato, un ambiente favorevole per la loro diffusione.

Il pesce coniglio, per esempio, è ormai diventato una presenza fissa e indesiderata nella parte sudorientale del bacino, dove a causa della sua voracità sta desertificando i fondali ricchi delle alghe di cui si ciba. Il pesce scorpione, sempre più diffuso nei mari del Sud Italia, è un abile predatore di pesci autoctoni e non ha alcun rivale che ne regoli la proliferazione. Il pesce palla maculato, invece, è tossico e può infliggere morsi molto dolorosi.

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Anche il pesce coniglio, il pesce scorpione e il pesce palla maculato, così come altre centinaia di specie invasive (se ne contano circa mille nel Mediterraneo), hanno puntato in alto, in questo caso verso nord. Un viaggio iniziato oltre 150 anni fa, quando l’uomo fece cadere la barriera fisica che divideva mar Rosso e Mediterraneo scavando il canale di Suez. L’apertura del canale, tuttavia, non favorì l’immediata diffusione delle specie tropicali e subtropicali perché il mar Mediterraneo era in grado di difendersi attraverso altre efficaci barriere, quelle imposte dal clima.

Il pesce coniglio da qualche anno è presente nel Mediterraneo (Rickard Zerpe, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons)

Per decenni, infatti, la temperatura delle acque ha contenuto la migrazione verso nord di fauna e flora marina aliena, impedendone la proliferazione e la formazione di popolazioni stabili. Una capacità di contenimento che è andata riducendosi a partire dagli anni Novanta a causa del rapido aumento delle temperature.
Le barriere biogeografiche che un tempo connotavano il Mediterraneo come un mare temperato sono sempre più deboli e circoscritte; quando anche le ultime cederanno sotto la spinta incalzante del cambiamento climatico il bacino assumerà definitivamente caratteristiche tropicali.

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Un tempo in estate il mare era uno dei posti migliori per sfuggire alla calura. L’ingresso in acqua era graduale e accompagnato da brividi; oggigiorno, al contrario, sembra sempre più spesso di entrare in una piscina termale. Nella caldissima estate 2024 le temperature superficiali del Mediterraneo hanno oscillato, mediamente, tra i 26 e i 30 °C, con valori localmente superiori ai 30 °C sulla parte centrale e orientale del bacino. Queste temperature, tra pochi anni, saranno una consuetudine e del tutto normale sarà l’ingresso, attraverso lo stretto di Gibilterra, di pesci provenienti dall’Atlantico tropicale. Era già accaduto nell’Eemiano, 125.000 anni fa, quando nel Mediterraneo vivevano soltanto pesci tropicali e succederà di nuovo tra pochi decenni, con la fondamentale differenza che durante l’Eemiano la transizione da mare temperato a mare tropicale necessitò di diverse migliaia di anni.

Come noi esseri umani percepiamo sulla nostra pelle che l’ambiente che ci circonda sta cambiando a una velocità impressionante, così fanno anche gli animali, con la differenza che molti non hanno mezzi per adattarsi efficacemente a un mutamento climatico così rapido: o emigrano, o periscono. In tutti e due i casi a vincere saranno le specie più abituate al caldo.

Zanzara tigre (Aedes albopictus) (Reuters/Eva Manez)

La zanzara tigre, per esempio, insieme alla ben più temuta Aedes aegypti (la zanzara della febbre gialla, vettore anche della dengue), estende di anno in anno il suo areale conquistando chilometri verso nord e metri verso l’alto. Come nel caso del Mediterraneo, è un altro caso in cui sta cedendo una fondamentale barriera naturale: il freddo. Le uova e le larve delle ormai onnipresenti zanzare, che pungono anche in autunno, hanno dei limiti di resistenza alle basse temperature, oltre i quali muoiono o si riducono notevolmente. Quarant’anni fa, probabilmente, l’espansione della zanzara tigre sarebbe stata limitata dai rigori invernali, così come le fioriture tossiche dell’alga Ostreopsis ovata, l’avanzata del sorgo selvatico sulle Alpi, l’espansione dell’ibis sacro nelle aree umide del Nord Italia e della Toscana e l’invasione delle città da parte del parrocchetto dal collare (pappagallino verde).

Se in passato gli effetti delle introduzioni di specie aliene in Europa da parte dell’uomo venivano in gran parte limitati dal freddo, oggi questa capacità di contenimento si è notevolmente ridotta. Per tanti tipi di piante e animali invasivi che sfruttano il caldo a loro vantaggio, ci sono altrettante specie autoctone che vedono il loro habitat ridursi, al punto da essere costrette a spostarsi verso regioni più fredde. Succede anche a noi.

Proviamo a cambiare prospettiva e a immaginare insetti, animali e piante che osservano i nostri comportamenti. Cosa vedremmo? Migliaia di persone che puntano verso l’alto. Un larice, parlando con un abete rosso, probabilmente direbbe: «Quando ero un giovane albero, da queste parti non si vedeva quasi mai nessuno e i pochi che salivano fin qua si lamentavano del freddo e del brutto tempo anche in estate. Sono sempre scontenti questi bipedi!».
L’abete rosso: «Verissimo. Mi chiedo cosa spinga queste mandrie di persone a venire fin quassù».
Il larice: «Il caldo, caro mio, lo stesso che rende i nostri anelli più spessi, scatena orde di parassiti e divora i ghiacciai».

Noi osserviamo gli effetti del cambiamento climatico sulla natura, ma anche la natura ci guarda. Forse non ne siamo pienamente consapevoli, ma le nostre abitudini stanno cambiando velocemente e in maniera radicale. Siamo diventati come le cicale, le zanzare e i pesci tropicali: in estate puntiamo sempre più di frequente verso l’alto o verso nord in cerca di temperature più confortevoli; in inverno non temiamo più il freddo, lasciando languire cappotti, sciarpe e guanti negli armadi e ritardando il cambio di stagione. I nostri acquisti mutano col mutare del clima, dai vestiti (sempre più leggeri), ai condizionatori d’aria (sempre più diffusi e necessari).

Come gli animali che vedono ridursi le settimane di letargo, noi vediamo contrarsi i periodi e i luoghi dove praticare gli sport invernali. Anche la neve è costretta a puntare sempre più in alto, così come i ghiacciai alpini, destinati a scomparire al di sotto dei 3.500 metri in pochi decenni. A causa della minor copertura nevosa gli ermellini non riescono a sfruttare la loro capacità di mimetizzarsi, risultando così più esposti, nei mesi invernali, ai predatori. La sostanziale differenza tra esseri umani e animali è che noi (almeno, gli occidentali) cambiamo le nostre abitudini in base al clima, ma poi torniamo nelle nostre case e nelle nostre città; gli animali invece emigrano, colonizzano altri ambienti o si estinguono.

In questa parte del mondo possiamo permetterci il lusso di tornare perché, grazie alla tecnologia e al progresso, siamo ancora in grado di difenderci dal caldo eccessivo, dalla siccità e dalle piogge estreme, mentre per milioni di persone e migliaia di specie animali e vegetali gli effetti del cambiamento climatico sono già definitivi.

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Giulio Betti
Giulio Betti

Nato a Fiesole nel 1980, è meteorologo e climatologo presso l’Istituto per la BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e il Consorzio LaMMA (Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale). Attivo nel campo della meteorologia da oltre 20 anni, si occupa di previsioni a supporto alla catena di allertamento della Protezione Civile della Toscana, ricerca scientifica, reportistica meteoclimatica e divulgazione mediatica. Ha all'attivo numerosi articoli e interviste. Nel 2022 è stato nominato “meteorologo dell’anno” dall’Associazione Meteo Professionisti (AMPRO).

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