Il rebranding degli indipendentisti scozzesi
L’SNP era andato malissimo alle elezioni di luglio: ora vuole ritrovare consensi puntando ancora sulla secessione dal Regno Unito, ma in modo diverso dal passato
Lo scorso fine settimana c’è stata a Edimburgo la convention del Partito Nazionale Scozzese (SNP). Gli obiettivi erano sostanzialmente due: capire le ragioni del risultato disastroso alle elezioni generali britanniche del 4 luglio, e soprattutto evitare il ripetersi della sconfitta alle prossime elezioni scozzesi, previste nella primavera del 2026, considerate molto importanti per il partito che governa la Scozia da 17 anni. Per ritrovare consensi, i dirigenti dell’SNP hanno riformulato la loro battaglia storica, quella per l’indipendenza dal Regno Unito, in termini economici, attaccando il nuovo governo britannico dei Laburisti.
Alle elezioni dello scorso 4 luglio l’SNP aveva ottenuto solo 9 seggi, sui 67 scozzesi, il peggior risultato dal 2010: nella legislatura precedente ne aveva 48. Al di là delle peculiarità del sistema elettorale uninominale secco, che ha effetti distorsivi, l’SNP era andato particolarmente male anche in termini di voti: ne aveva persi più di 500mila rispetto alle elezioni precedenti, del 2019. La ricostruzione dei leader del partito è che metà di questi voti sarebbero andati ai Laburisti e metà sarebbero di elettori che non sono andati a votare.
In realtà, la crisi di popolarità dell’SNP era già cominciata prima, nel febbraio del 2023, quando si era dimessa a sorpresa Nicola Sturgeon, la prima ministra scozzese per nove anni e la leader più rappresentativa degli indipendentisti. Di lì a poco Peter Murrell, marito di Sturgeon ed ex amministratore delegato del partito, era stato accusato di appropriazione indebita dei fondi dell’SNP. L’anno scorso sia lui sia Sturgeon erano stati fermati, interrogati e subito rilasciati nell’ambito della stessa indagine.
Da ultima, a fine aprile, c’era stata la caduta del governo del successore di Sturgeon, Humza Yousaf, causata dallo stesso Yousaf. L’allora primo ministro aveva infatti rotto l’accordo di coalizione con i Verdi, che garantiva la maggioranza al governo: era convinto di poter trovare altri voti in parlamento, ma non ci era riuscito e si era dovuto dimettere. Da maggio il leader dell’SNP e primo ministro scozzese è John Swinney, che ha guidato i lavori della convention di Edimburgo.
I media britannici hanno notato un’atmosfera diversa rispetto al passato, anche per il numero minore di partecipanti: circa 1.500, quasi esclusivamente delegati di partito, rispetto alle migliaia di persone di quando era leader Sturgeon. «Immaginate un festival rock dove gli artisti principali non si presentano. […] Va così a Edimburgo, dove i pezzi grossi di un decennio fa sono un ricordo lontano e la stoffa da fuoriclasse manca tristemente», ha scritto l’inviato del Times di Londra (il principale quotidiano conservatore britannico).
Domenica nel discorso conclusivo Swinney ha insistito molto sul riavvicinare il partito alle «priorità della gente», con un programma che enfatizzi la componente socialdemocratica dell’SNP e declini in questo modo anche quella storica, nazionalista. In sintesi Swinney ha presentato l’indipendenza come un’opportunità economica. Il leader ha detto che l’obiettivo del partito sarà convincere le persone che migliorerebbe le loro condizioni di vita, e che il pessimo risultato di luglio era dipeso dalla perdita di fiducia degli scozzesi in questa prospettiva.
Venerdì, durante un incontro a porte chiuse, Swinney aveva detto che secondo lui il partito si era concentrato troppo sulle modalità della secessione: «Siamo stati consumati dal processo indipendentista». Era una sessione riservata ai membri del partito, ma l’audio è stato pubblicato dal Times. Nel discorso finale, non a caso, Swinney non ha citato l’eventualità di un secondo referendum, che era un pallino di Sturgeon (la tattica dell’SNP era poi diventata considerare “un referendum di fatto” le prossime elezioni scozzesi dopo che nel 2022 la Corte Suprema del Regno Unito aveva stabilito che per convocarlo serviva l’autorizzazione del parlamento britannico).
«La mia promessa è che farò in modo che l’indipendenza sia intesa come la via che ci porti alla costruzione di un paese più forte e più giusto. Intesa non come piacevole da avere: ma come urgente ed essenziale», ha detto Swinney. Questo approccio pragmatico e meno ideologico si sta vedendo nel modo in cui gli indipendentisti stanno attaccando il primo ministro britannico Keir Starmer. Swinney e il capogruppo alla Camera dei Comuni, Stephen Flynn, hanno accusato i Laburisti di non aver mantenuto le loro promesse e di aver adottato politiche di austerità fiscale, termine associato ai governi Conservatori di David Cameron (2010-2016).
L’SNP proverà insomma a criticare da sinistra il governo centrale. I Laburisti hanno infatti annunciato «scelte difficili» per sistemare un buco di bilancio di circa 26 miliardi di euro, lasciato dai Conservatori. La settimana scorsa Starmer ha detto che «le cose peggioreranno prima di migliorare» e che serviranno «decisioni impopolari» nella prossima manovra, che verrà presentata entro il 30 ottobre. Mercoledì Swinney presenterà il suo programma per il prossimo anno di governo e punterà molto sulla crescita economica.
Questa specie di rebranding degli indipendentisti scozzesi si basa anche sui sondaggi. Non tanto e non solo su quelli sulle intenzioni di voto, che dicono che i Laburisti potrebbero tornare a governare in Scozia dopo quasi vent’anni (però manca ancora oltre un anno e mezzo alle elezioni), ma piuttosto su quelli che registrano il sostegno all’indipendenza della Scozia. Nei primi sondaggi condotti dopo le elezioni di luglio, il 45 per cento degli intervistati si dice ancora favorevole. «Per metterla semplice, l’indipendenza è più popolare dell’SNP», ha scritto il think tank Chamber UK.
Su questa causa l’SNP ha costruito più di un decennio di successi elettorali: deve convincere gli elettori indipendentisti che è ancora il migliore per provare a realizzarla.
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