Putin è arrivato in Mongolia e no, non è stato arrestato
Esiste un mandato di arresto della Corte penale internazionale che il governo mongolo avrebbe dovuto rispettare, ma ci sono molti ma
Nella notte di lunedì Vladimir Putin è arrivato in Mongolia per una visita ufficiale: è il primo viaggio del presidente russo in un paese sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale, il tribunale che nel marzo 2023 aveva emesso un mandato di arresto nei confronti di Putin per crimini di guerra commessi in Ucraina, in particolare per il trasferimento forzato di minori ucraini in Russia. Putin, come era però prevedibile, non è stato arrestato. Anzi, martedì parteciperà a vari eventi ufficiali.
La Mongolia è uno dei 124 paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma che riconosce la giurisdizione del tribunale (Russia, Cina ma anche Stati Uniti non l’hanno fatto). Di recente è stato anche eletto il primo giudice mongolo della Corte, Erdenebalsuren Damdin. Prima del viaggio, lo stesso tribunale aveva ribadito al governo mongolo l’obbligo di arresto per Putin, ma il regime russo aveva ottenuto rassicurazioni e non aveva quindi annullato la visita.
La Mongolia dipende fortemente dalla Russia, con cui condivide 3.500 chilometri di confine: arriva dalla Russia la quasi totalità del petrolio e del gas di cui ha bisogno. Il partito attualmente al governo, il Partito Popolare Mongolo, fino al 1990 si chiamava Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo e dal 1924 aveva governato il paese in maniera autoritaria, sotto una forte influenza dell’Unione Sovietica.
I legami con la Russia hanno portato la Mongolia a una posizione di ufficiale neutralità riguardo alla guerra in Ucraina. Il paese ha poco più di 3 milioni di abitanti e si muove in un difficile equilibrio fra le due potenze confinanti: sono forti anche le pressioni della Cina, che invece è di fatto l’unico mercato delle sue esportazioni. Nonostante i tentativi di apertura verso i paesi occidentali (la Mongolia ha ricevuto visite ufficiali del presidente francese Emmanuel Macron e del segretario di stato statunitense Antony Blinken), restano più importanti i legami con i paesi vicini.
La visita di Putin ha come ragione ufficiale le celebrazioni per l’85° anniversario della vittoria degli eserciti mongolo e sovietico contro le forze d’invasione giapponesi, nel 1939, nella battaglia di Khalkhin Gol. Putin è stato accolto al suo arrivo da una guardia militare e nella capitale Ulan Bator sono state issate molte bandiere russe. La polizia ha anche bloccato la contestazione di un piccolo gruppo di attivisti del gruppo “No War” che cercava di esporre una bandiera ucraina durante il passaggio del convoglio di auto del presidente russo.
Martedì Putin ha incontrato il presidente Ukhnaa Khurelsukh, che secondo vari media internazionali vuole assicurarsi le necessarie forniture di carburanti ed elettricità, per evitare di ritrovarsi a far fronte a carenze come era successo lo scorso inverno. Non dovrebbe invece essere tema di discussione la progettata costruzione del gasdotto Power of Siberia 2, che passando dalla Mongolia dovrebbe portare il gas russo verso la Cina: il parlamento mongolo non ha stanziato fondi per la sua costruzione per i prossimi cinque anni, di fatto rimandandola.
L’accoglienza ufficiale in Mongolia è una vittoria diplomatica per Putin e conferma che l’isolamento politico del regime russo non è totale, soprattutto nei paesi asiatici e nelle aree che hanno una storica dipendenza dalla Russia. Allo stesso tempo conferma una cosa che è risaputa da tempo: cioè che le decisioni della Corte penale internazionale non hanno all’atto pratico effetti immediati e sicuri, ma dipendono dalla volontà politica dei paesi che hanno deciso di sottostare alla sua giurisdizione.
Il mancato rispetto degli obblighi da parte della Mongolia non dovrebbe avere ripercussioni dirette. Esistono precedenti simili: per esempio nel 2015 il Sudafrica si rifiutò di arrestare Omar al Bashir, allora presidente del Sudan, per cui era stato emesso un mandato d’arresto dalla Corte penale internazionale per presunto genocidio.