Il regista più chiacchierato a Venezia

È Brady Corbet, che con il film “The Brutalist” sta ottenendo legittimazione e fama dopo una carriera piuttosto anomala

di Gabriele Niola

Brady Corbet alla Mostra del cinema di Venezia. (Vianney Le Caer/Invision/AP)
Brady Corbet alla Mostra del cinema di Venezia. (Vianney Le Caer/Invision/AP)
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La proiezione di The Brutalist alla Mostra del cinema di Venezia è stata la definitiva affermazione di Brady Corbet, regista al terzo film fino a oggi noto agli spettatori più attenti e appassionati e meno al grande pubblico. Del film si sta parlando con toni entusiasti e, a prescindere da come andrà la premiazione, la casa di distribuzione Universal lo considera uno di quelli su cui puntare per la campagna di avvicinamento ai premi Oscar di quest’anno.

The Brutalist racconta la storia di un architetto ebreo ungherese, Laszlo Toth (interpretato da Adrien Brody), sopravvissuto ai campi di concentramento e arrivato in America da immigrato. Toth inizia a lavorare come manovale per il negozio di mobili del cugino e, quando si presenta l’occasione di rinnovare la biblioteca di un ricco magnate (Guy Pearce), la disegna in prima persona. Il risultato è così eccezionale che il magnate si informa e scopre che, prima della guerra, Toth era un grande architetto della scuola Bauhaus. Decide così di commissionargli la costruzione di un grande edificio. La travagliata costruzione di quest’opera audace, le difficoltà e poi i rapporti familiari e umani che sono legati a questo lavoro costituiscono il grosso del film.

The Brutalist è una biografia di un personaggio immaginario (per scriverlo sono state unite le personalità e gli stili di tre grandi architetti: Paul Rudolph, Marcel Breuer e Louis Kahn) nello stile di Oppenheimer di Christopher Nolan, cioè con una grande concentrazione su un’impresa titanica, faticosa e molto importante, mentre a vederlo ha molto il tono e il modo di raccontare di Il petroliere di Paul Thomas Anderson, soprattutto per come tratta il capitalismo americano e quello che fa alle persone. La sua particolarità maggiore infine è un tratto distintivo dei film di Brady Corbet: racconta un personaggio condizionato da quello che è accaduto nel suo passato, da un trauma che lo porta a fare qualcosa di grande ma distruggendosi.

Il cast di The Brutalist (Joe Alwyn, Alessandro Nivola, Felicity Jones, Stacy Martin, Ariane Labed, Adrien Brody, Isaach de Bankolé, Raffey Cassidy, Emma Laird e Guy Pearce) con la sceneggiatrice Mona Fastvold e il regista Brady Corbet. (Vianney Le Caer/Invision/AP)

Corbet non ha fatto il classico percorso che a Hollywood porta a diventare registi di lungometraggi. Iniziò a lavorare nel cinema a undici anni come attore in piccole serie televisive e come doppiatore di cartoni animati. Fino a quando era bambino e poi ragazzo ha lavorato spesso con Vanessa Hudgens, attrice poi resa famosa dai programmi di Disney Channel e della sua stessa età. Negli anni Duemila interpretò il figlio della nuova fidanzata del protagonista della serie 24, recitò nel remake di Funny Games di Michael Haneke, in Melancholia di Lars Von Trier e poi nell’ultimo anno in cui è stato attore, il 2014, prese parte a molti film europei o indipendenti come Sils Maria, Eden, Force Majeure e Giovani si diventa di Noah Baumbach.

Questa strana formazione si nota nei suoi film, americani nella produzione e nell’impianto ma molto europei nella scrittura, nei temi e negli spunti delle trame scritte sempre con la moglie (anche lei ex attrice) Mona Fastvold. Prima di The Brutalist aveva esordito con Infanzia di un capo, biografia immaginaria dall’età infantile fino a quella adulta di quello che poi diventerà un dittatore di uno stato dell’Occidente (è tratto dal romanzo omonimo di Jean-Paul Sartre), raccontata attraverso tre momenti che corrispondono a tre gravi scatti d’ira del protagonista. Il secondo film, Vox Lux, racconta di una musicista di grande successo (interpretata da Natalie Portman), sopravvissuta da giovane a una sparatoria nel suo liceo e poi violentata durante un tour. Entrambi questi film furono presentati alla Mostra di Venezia, Infanzia di un capo nella sezione Orizzonti (dove vinse nel 2015 il premio per la regia) e Vox Lux in concorso nel 2018 (senza vincere nulla).

Una scena dal film The Brutalist

Solitamente i registi americani, quando i loro primi film ottengono un po’ di visibilità o di successo anche solo nel circuito festivaliero, passano al lavoro per gli studios per realizzare film più grandi e commerciali che ne dimostrino la capacità di incassare. Una volta dimostrato quello possono alternare film su commissione (solitamente ad alto budget) a film più piccoli e personali. A 36 anni Corbet, che con questo film diventa definitivamente una delle poche scoperte della Mostra del cinema di Venezia, è giovane per aver avuto già tre lungometraggi in un festival importante e non sembra intenzionato a diventare anche un regista su commissione alle dipendenze degli studios.

The Brutalist era stato concepito dieci anni fa (prima di ogni altro film che ha poi realizzato) e sono stati necessari sei anni per farlo, cambiando più volte cast e girando lungo un periodo molto ampio per problemi di soldi. Nonostante sembri un film molto costoso, è stato finanziato con una cifra modesta per gli standard americani, tra i dieci e i venti milioni di dollari. La Universal l’ha acquistato una volta finito e si occupa solo di distribuirlo nel mondo, cosa che però include anche la promozione e quindi la campagna per gli Oscar. Qualora il film dovesse effettivamente dimostrarsi in grado di arrivare a delle nomination (spesso le intenzioni dei grandi studios si scontrano con uno scarso interesse o saltano fuori film che hanno più possibilità), sarebbe la prima volta per un film di Brady Corbet.

Insieme a Paul Thomas Anderson, Christopher Nolan e Quentin Tarantino e pochi altri, Corbet è uno dei cineasti al lavoro a Hollywood che sostengono il formato in pellicola e non girano in digitale. The Brutalist in particolare è girato in pellicola da 70mm, una scelta logisticamente complicata (le macchine da presa sono più ingombranti, la pellicola costa di più) ma coerente con l’uso del formato VistaVision, inventato e usato negli anni ’50, cioè il periodo in cui è ambientato il grosso della storia, e con l’idea di spettacolo.

Come già The Hateful Eight di Tarantino, The Brutalist inizia con una ouverture e a metà della sua durata (tre ore e mezza) c’è un intervallo impresso nella pellicola, cioè non si ferma la proiezione, ma per quindici minuti viene proiettato un cartello fisso con un conto alla rovescia per l’inizio del secondo tempo e una musica di sottofondo. Si tratta di una scelta che riprende le modalità di proiezione dei grandi film in 70mm degli anni ’50 e ’60, ma che Corbet ha spiegato anche con il fatto che «dà la possibilità a tutti di una pausa e di andare al bagno senza lo stress di perdersi una scena, che è una cosa legittima in un film lungo».

Se la distribuzione di The Brutalist sarà come quella di altri film in 70mm moderni come The Hateful Eight, Dunkirk o The Master, sarà disponibile in due formati. La maggior parte delle sale lo proietterà in un riversamento digitale, mentre un numero molto piccolo, attrezzato con proiettori 70mm, potrà mostrarlo in pellicola. Per un film di questo tipo e una produzione così avventurosa, anche solo spostare la pellicola non è facile. The Brutalist, vista la durata di tre ore e mezza ed essendo la pellicola da 70mm grande, viene trasportato in 26 bobine che complessivamente pesano 130 kg, cosa che rende anche solo la spedizione in aereo da Los Angeles a Venezia non semplice.

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