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  • Martedì 3 settembre 2024

Il primo discorso di Netanyahu dall’inizio dello sciopero

Il primo ministro israeliano ha ribadito di non avere intenzione di ritirare l'esercito dalla Striscia di Gaza, lasciando pochi spazi per un cessate il fuoco

Benjamin Netanyahu (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
Benjamin Netanyahu (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
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Lunedì sera il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tenuto la sua prima conferenza stampa da quando sono cominciate le nuove grandi proteste in Israele per spingere il suo governo a trovare un accordo con Hamas che preveda la liberazione degli ostaggi rapiti durante gli attacchi dello scorso 7 ottobre. Mentre le contestazioni andavano avanti per la seconda notte di fila, Netanyahu ha detto senza troppe sorprese che non cambierà gli obiettivi israeliani della guerra a Gaza e non lascerà il controllo dei confini del territorio ritirando i propri soldati.

Le nuove proteste erano iniziate nel fine settimana, dopo la scoperta dei corpi di sei ostaggi in un tunnel sotto Rafah, nel sud della Striscia di Gaza: secondo l’esercito israeliano queste persone erano state uccise da Hamas forse uno o due giorni prima di essere trovate. Come reazione, era stato indetto il primo sciopero generale dall’inizio dell’invasione della Striscia.

Nella conferenza stampa di lunedì sera, Netanyahu ha respinto le accuse secondo cui gli ostaggi sarebbero stati uccisi come conseguenza della sua riluttanza nei negoziati, che avrebbe impedito di trovare un accordo per il cessate il fuoco. Ha anzi attribuito i mancati passi avanti ad Hamas, e ha insistito sulla necessità per l’esercito israeliano di prendere il controllo del cosiddetto “corridoio Philadelphi”: la stretta linea di confine lunga 14 chilometri tra il sud della Striscia di Gaza e l’Egitto attraverso la quale, secondo Israele, Hamas farebbe entrare armi nella Striscia. Hamas considera invece il ritiro israeliano dal corridoio come un requisito necessario per raggiungere qualsiasi accordo. Netanyahu ha definito il corridoio « il tubo dell’ossigeno di Hamas» e ha detto: «l’asse del male ha bisogno che noi lo lasciamo e per questo noi ci resteremo».

Benjamin Netanyahu indica il corridoio Philadelphi su una mappa nella conferenza stampa di lunedì sera a Gerusalemme (AP Photo/ Ohad Zwigenberg, Pool)

Durante la conferenza stampa il primo ministro ha chiesto «perdono» alle famiglie degli ostaggi uccisi per non averli riportati a casa, ma è stato piuttosto netto nei confronti delle proteste: «Nessuno è più impegnato di me nella liberazione degli ostaggi, nessuno mi farà la predica su questo tema». Ha anche detto che l’esercito ha ancora bisogno di tempo per «togliere la capacità di governare ad Hamas».

Nel frattempo le proteste antigovernative dovrebbero proseguire anche oggi, martedì 3 settembre.

Lunedì centinaia di manifestanti hanno protestato davanti alla casa di Netanyahu a Gerusalemme, intonando cori come “Cessate il fuoco – Adesso” e mostrando bare avvolte da bandiere israeliane, mentre altre migliaia hanno marciato davanti alla sede del suo partito a Tel Aviv, dove altre ancora hanno bloccato un’autostrada. Le foto e i video circolati nelle ultime ore mostrano la polizia reprimere con forza le proteste davanti alla casa di Netanyahu, scaraventando a terra alcuni manifestanti e trascinandone via altri.

Netanyahu è stato ampiamente criticato sia dai politici dell’opposizione sia da diversi media israeliani per il modo in cui sta gestendo le negoziazioni e anche per la sua reazione alle proteste degli ultimi giorni. Il quotidiano progressista Haaretz, per esempio, lo ha definito «il vile messia a capo di un culto di bugie e morte», sostenendo che non abbia mai avuto intenzione di accettare un accordo per la liberazione degli ostaggi. Sempre secondo Haaretz, il ritrovamento dei sei ostaggi uccisi ha mostrato la sua «crudeltà, scelleratezza e incompetenza disarmante».

Le decisioni di Netanyahu hanno provocato critiche anche tra i paesi alleati. Lunedì sera il Regno Unito ha annunciato la sospensione di alcune delle licenze per l’esportazione di armi verso Israele, per via di quello che il ministro degli Esteri laburista ha definito un «evidente rischio» che alcune di queste armi possano essere utilizzate dall’esercito israeliano per violare il diritto umanitario internazionale. Quando durante un incontro con i mediatori statunitensi è stato chiesto al presidente degli Stati Uniti Joe Biden se Netanyahu stesse facendo abbastanza per il cessate il fuoco, Biden ha risposto con un secco “no”.