I video delle donne afghane contro il divieto di cantare in pubblico
Diverse li hanno pubblicati su internet, uno dei pochi spazi fuori dal controllo dei talebani, per protestare contro una nuova legge del regime
Nelle ultime settimane diverse donne afghane, sia in Afghanistan che all’estero, hanno pubblicato dei video di protesta contro una legge approvata a fine agosto dal regime dei talebani, che tra le altre cose vieta alle donne di leggere ad alta voce, cantare e recitare in pubblico. Nei video le donne si sono registrate mentre cantano o recitano poesie, accompagnandoli con hashtag in inglese, come per esempio «My voice is not forbidden» e «No to Taliban», e in dari o pashto, le lingue parlate in Afghanistan («La voce di una donna non è privata»).
Alcune di loro sono donne afghane emigrate all’estero. Uno dei video è stato pubblicato per esempio da Taiba Sulaimani, che si trova in Canada dal 2021, da quando i talebani ripresero il potere nel paese.
In un altro video, un’ex agente di polizia afghana, Zala Zazai, che attualmente vive in Polonia, si è unita alla campagna cantando un brano della cantante afghana Aryana Sayeed.
Altri invece sono stati girati in Afghanistan, come quello di Golsoom Efat, dell’Afghan Womens Justice Movement, un’organizzazione di attiviste per i diritti delle donne afghane. Efat ha 23 anni e si è unita alla protesta dalla remota provincia di Badakhshan, nell’Afghanistan settentrionale. Efat ha raccontato ad Associated Press che il video è stato girato da sua sorella mentre le due si trovavano all’aperto, in violazione della legge che vieta alle donne di cantare in pubblico. «Mentre cantavo» ha detto «avevo paura che se qualcuno mi avesse sentita sarebbe stata l’ultima volta». Alla fine del video Efat dice «la voce di una donna non è privata».
Anissa Tamkin è un’altra attivista del movimento che si è unita alla campagna da un luogo imprecisato del paese.
La legge oggetto della protesta era stata emanata ad agosto dal ministero per la Promozione della virtù e la Prevenzione del vizio. Il testo contiene 35 articoli che oltre a garantire nuovi poteri ai leader religiosi, i muhtasibs, limitano ulteriormente le libertà personali, specialmente delle donne. Stabiliscono per esempio che la voce femminile è una parte intima del corpo della donna (definita ‘awrah dalle autorità religiose islamiche), che non può essere vista o, come in questo caso, sentita in pubblico.
La legge prevede inoltre che in pubblico le donne debbano coprirsi integralmente, viso compreso, e che i tessuti che indossano non possano essere «corti, aderenti o sottili»; vieta alle donne di mostrare il proprio corpo o il loro viso agli uomini con cui non hanno un legame di parentela stretta, di stringere amicizia con altre donne non musulmane, di viaggiare senza essere accompagnate da un parente maschio e di guardare un uomo negli occhi (il divieto è reciproco).
Dato che monitorarlo è complesso e costoso, internet è uno dei pochi rimasti ancora liberi dal controllo dei talebani, che comunque hanno vietato l’uso di TikTok per contenuti «non islamici». A luglio il Washington Post aveva intervistato decine di donne di Kabul, che avevano raccontato di usare molto i social come forma di evasione. «Internet è la nostra ultima speranza, anche se nulla può rimpiazzare la libertà» aveva detto Beheshta, una ragazza di 24 anni. Alcune delle ragazze e delle donne sentite dal Washington Post avevano detto di temere che la libertà di internet non sarebbe durata a lungo, e in passato Hedayatullah Hedayat, il viceministro dell’Informazione del governo talebano, aveva detto che il regime spera un giorno di avere le proprie piattaforme in modo da poterle controllare meglio.
Quando avevano ripreso il potere in Afghanistan, nell’agosto del 2021, i talebani si erano presentati come più moderati rispetto al passato, sostenendo che avrebbero garantito il rispetto dei diritti delle donne. Già nei mesi successivi tuttavia divenne chiaro che avrebbero istituito un secondo regime del tutto simile al primo, durato dal 1996 al 2001, durante il quale alle donne erano negati moltissimi diritti. Tra le altre cose, negli ultimi tre anni i talebani hanno chiuso le scuole secondarie femminili (l’equivalente di medie e superiori italiane), hanno proibito alle donne di accedere all’università, e hanno vietato l’accesso a parrucchieri e saloni di bellezza.
Un rapporto dell’ONU pubblicato all’inizio di luglio aveva rilevato come la sfera di influenza del ministero per la Propagazione della virtù e la Prevenzione del vizio si stava allargando sempre di più in tutte le aree della vita pubblica e privata degli afghani. Ravina Shamdasani, la portavoce dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha definito la legge «decisamente intollerabile» e ha chiesto di eliminarla alle autorità di fatto dell’Afghanistan (il regime dei talebani non è riconosciuto formalmente da nessuno stato, sebbene qualcuno abbia comunque dei rapporti con loro).
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