Le cozze stanno soffrendo il riscaldamento del Mediterraneo
Le alte temperature riducono l'ossigeno essenziale per la loro crescita: in molte aree italiane la maggior parte della produzione è andata persa
Negli ultimi mesi in molti allevamenti italiani di cozze è andata persa la maggior parte della produzione a causa delle temperature elevate del mare. Non è un problema nuovo, anche se in passato le conseguenze del riscaldamento dei mari non erano state così estese e gravi come quest’anno. Gli allevatori hanno segnalato un calo di produzione un po’ ovunque in Italia, in particolare nell’Adriatico e nella zona di Taranto, sul mar Ionio, una delle aree italiane più note per la produzione di cozze.
Il riscaldamento dell’acqua fa male alle cozze perché riduce l’ossigeno essenziale per farle crescere. Anche se con metodi leggermente differenti, l’allevamento delle cozze inizia dalla cosiddetta semina: le cozze più giovani vengono disposte in filari e immerse in acqua, dove poi crescono. Ogni giorno gli allevatori, chiamati anche miticoltori (da mitili, il nome del genere a cui le cozze appartengono), escono in mare per cambiare le funi e capovolgere i filari. Quando le cozze sono pronte vengono portate a terra, selezionate e pulite per essere messe sul mercato. L’Italia è uno dei principali paesi produttori di vongole e cozze dell’Unione Europea, un settore in cui lavorano migliaia di persone.
Le cozze hanno bisogno di molto ossigeno per crescere. A differenza di altri animali, come pesci e granchi, le cozze non possono spostarsi in aree dove l’acqua è più ossigenata e per questo muoiono: la maggior parte si stacca dai filari e finisce sul fondale. La temperatura ideale che consente alle cozze di assorbire le sostanze nutritive e crescere è tra i 20 e i 22 gradi.
La mancanza di ossigeno è dovuta alle temperature elevate dell’acqua. Negli ultimi decenni nel mar Mediterraneo è stato osservato un aumento della temperatura dell’acqua di circa mezzo grado per decennio: secondo le rilevazioni più recenti, durante l’estate le temperature medie sono state intorno ai 29 gradi con picchi di quasi 30 gradi in alcuni mari come l’Adriatico, particolarmente vulnerabile a causa della sua conformazione e delle acque poco profonde rispetto agli altri mari. Tra le altre cose il caldo favorisce la proliferazione delle specie aliene come il granchio blu e alcune specie di alghe, che possono danneggiare gli ecosistemi marini.
Già a luglio i miticoltori di Taranto, in Puglia, avevano segnalato un calo di produzione di circa l’80 per cento. La situazione è peggiorata nelle ultime settimane: circa il 90 per cento delle cozze è andato perso. Le conseguenze saranno più evidenti nei prossimi mesi, quando sul mercato ci saranno molte meno cozze rispetto agli anni passati: con meno cozze i prezzi sono destinati a salire. Lo stesso problema è stato segnalato in altre due aree – il Veneto e l’Emilia-Romagna – dove viene prodotta una parte significativa delle cozze italiane. In queste aree, che negli ultimi anni sono state interessate dalla proliferazione del granchio blu, la produzione è calata di circa il 60 per cento.
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Negli ultimi anni sono stati commissionati alcuni studi per identificare specie di cozze più resistenti agli sbalzi termici e all’aumento delle temperature. Due dei progetti europei avviati su questo tema si chiamano Ignition e ShellFishBoost, quest’ultimo portato avanti anche da alcuni ricercatori del dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’università di Padova. «Stiamo cercando di capire se c’è un’ereditabilità nella resistenza a fattori di stress collegati a picchi di calore e all’innalzamento delle temperature dell’acqua», ha detto al Corriere del Veneto il biotecnologo Massimo Milan. «Studiamo ostriche, vongole e mitili per identificare famiglie in grado di resistere ai cambiamenti in atto. Questo permetterà di produrre un seme più forte che verrà immesso nel mercato».