Nei podcast YouTube e Spotify hanno preso il posto che era di Apple

La stessa parola deriva da un suo prodotto, l'iPod, ma negli ultimi anni l'azienda ha rinunciato a presidiare il settore e ora le piattaforme di riferimento sono altre

(AP Photo/Mark Lennihan)
(AP Photo/Mark Lennihan)
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Secondo un’analisi di mercato pubblicata lo scorso luglio, YouTube è oggi la principale piattaforma per podcast negli Stati Uniti, davanti sia a Spotify sia a Apple. Fino al 2022, infatti, YouTube e Spotify erano più o meno a pari merito, ma nel 2023 la percentuale di utenti che hanno utilizzato YouTube come prima fonte di podcast è salita al 31% (con Spotify al 21%).

Più che il sorpasso di YouTube su Spotify, però, a farsi notare è il continuo calo registrato da Apple, che oggi controlla il 12% del mercato, nonostante il forte legame che la unisce al settore dei podcast. La stessa parola “podcast”, infatti, fu coniata nel 2004 dal giornalista della BBC Ben Hammersley dalla fusione delle parole “iPod” e “broadcast” (trasmissione, mandare in onda), per sottolineare quanto i lettori mp3 – e in particolare iPod di Apple, uscito nel 2001 – fossero fondamentali alla loro diffusione. Apple incentivò e promosse i podcast anche direttamente: nel corso di un evento del 2005, il co-fondatore e allora CEO di Apple Steve Jobs parlò del podcasting e ne spiegò il funzionamento.

Secondo i dati citati da Jobs, nel 2005 il 29% degli utenti iPod negli Stati Uniti aveva ascoltato un podcast: «non necessariamente si sono iscritti ma l’hanno ascoltato», precisò, perché all’epoca l’iscrizione a un podcast era un procedimento complesso che richiedeva un’app apposita. Le cose cambiarono proprio quell’anno, quando Apple presentò una versione di iTunes che permise per la prima volta agli utenti di iscriversi ai podcast direttamente dall’app.

Il vantaggio competitivo di Apple nel settore fu quindi notevole sin da subito ma nel corso degli anni, specie dopo la morte di Jobs, l’azienda smise di puntarci e liberò di fatto lo spazio per la concorrenza. Poco meno di vent’anni dopo, il settore dei podcast è cresciuto in tutto il mondo: secondo il Podcasting Global Market Report 2024, un’indagine annuale, nel 2022 il giro d’affari globale del settore è stato di circa 27 miliardi di dollari, e dovrebbe salire a 36 miliardi nel 2024.

Tra gli eventi che più hanno determinato questa crescita – e il declino di Apple nel settore – ci fu l’entrata di Spotify nel mercato, iniziata nel 2019 con l’acquisizione di alcune aziende (come la startup Anchor e la casa di produzione Gimlet Media) e proseguita con l’accordo di esclusiva con il comico Joe Rogan per il The Joe Rogan Experience, uno dei podcast più seguiti del mondo. La sola acquisizione di Gimlet Media costò a Spotify 230 milioni di dollari, mentre Rogan ricevette circa 200 milioni di dollari (l’accordo per il suo podcast è stato rinnovato a inizio anno per 250 milioni di dollari).

Spotify portò investimenti inediti nel settore anche nella produzione dei cosiddetti “Spotify Originals”, programmi esclusivi alla piattaforma che ricalcavano il modello di Netflix nello streaming televisivo, e servirono ad attirare nuovo pubblico verso i podcast. A partire dal 2023 Spotify cominciò a tagliare gli investimenti sugli Originals, riducendo sempre di più la proposta e ponendo fine all’«era dell’esclusività di Spotify», come scrisse The Verge.

Nonostante questo, l’arrivo di Spotify permise al grande pubblico di accedere ai podcast con più facilità e direttamente dall’app da cui ascoltavano musica: prima d’allora, infatti, l’unico modo di ascoltarli era attraverso il web o delle applicazioni apposite (nel caso di iOS, il sistema operativo di iPhone, l’app Podcasts, oggi chiamata Apple Podcasts). Prima di Spotify, quindi, Apple era fondamentale per il mercato dei podcast, ma già nel 2016 un articolo del New York Times raccontò i malumori tra gli addetti ai lavori, che lamentavano la scarsa attenzione ricevuta dall’azienda, che aveva una sola persona a seguire le relazioni con i podcaster.

A Spotify bastarono circa due anni per superare Apple nei podcast, e da allora il divario si è allargato. Negli ultimi anni, però, le abitudini degli ascoltatori di podcast sono ulteriormente cambiate: il settore, nato esclusivamente come mezzo di comunicazione audio, ha abbracciato sempre più il video e permesso la veloce ascesa di YouTube anche in questo campo. L’aggiunta del video ha rivoluzionato i podcast e convinto Alphabet, il gruppo a cui fanno capo sia YouTube che Google, ad adattare la propria proposta: quest’anno l’app Google Podcasts ha chiuso e lasciato spazio a YouTube Music, servizio di streaming simile a Spotify ma in grado di sfruttare anche l’enorme archivio di contenuti di YouTube.

Ma l’influenza di YouTube nel settore si faceva sentire da tempo: lo stesso accordo tra Spotify e Rogan raggiunse sin da subito cifre molto alte anche perché Spotify dovette compensare i guadagni da YouTube che Rogan avrebbe perso mettendo il suo podcast in esclusiva su un altro servizio. Per far fronte alle richieste di Rogan e dei suoi fan, inoltre, Spotify fu spinta ad aggiungere un lettore video alla sua applicazione: così facendo, ha potuto rispondere a YouTube mentre Apple è rimasta indietro. Ad oggi Apple Podcasts supporta i video ma, come scrive Bloomberg, non li incentiva in alcun modo.

A rendere interessante la crescita di YouTube, secondo Business Insider, è anche il fatto che YouTube «non ha fatto nulla perché avvenisse». Da alcuni anni molti podcast hanno cominciato a usare YouTube semplicemente perché permette di raggiungere un pubblico enorme, specie tra la Generazione Z, e consente la monetizzazione dei contenuti, fattore importante per un settore che altrimenti si basa sugli inserzionisti o il sostegno diretto dei fan. La crescita di YouTube, insomma, è stata spontanea e trainata dagli utenti stessi. Da un certo punto di vista, ha concluso Business Insider, il fenomeno ricorda «il modo in cui YouTube divenne spontaneamente la piattaforma musicale più grande del mondo semplicemente perché le persone ci caricavano la musica».