Tornerà lo stile degli Oasis?
Il loro modo di vestire e acconciarsi mescolava diverse sottoculture britanniche, era economico e facilmente replicabile, e per questo fu imitatissimo
Dopo l’annuncio della reunion della band inglese Oasis – che nell’estate del 2025 farà un tour a 15 anni dallo scioglimento – Instagram e TikTok si sono riempiti di immagini che esaltano (o parodizzano) lo stile di Liam e Noel Gallagher, i due fratelli fondatori del gruppo, mentre i siti di moda hanno messo insieme consigli su come copiarlo: parka del marchio italiano Stone Island, scarpe da ginnastica di Adidas, capelli da paggetto, maglie da calcio vintage, cappelli da pescatore dell’azienda inglese Kangol, occhialini tondi alla John Lennon o Ray-Ban modello Aviator indossati sempre, anche al chiuso.
Probabilmente sono consigli superflui: il modo di vestire dei Gallagher, e in particolare di Liam, considerato il più cool tra i due, ha influenzato non solo chi li ascoltava allora ma anche molte generazioni successive. Già ad aprile il giornale inglese Evening Standard scriveva che era tornato di moda tra la Gen Z (i nati tra il 1997 e il 2012) di Londra, dove si aggirava «un esercito di ventenni che assomigliavano a [Liam] Gallagher», anche perché è uno stile economico e facile da trovare: basta andare su eBay o cercare in un negozio vintage vecchi abiti sportivi, magliette da calcio e jeans anni Novanta.
Il gusto dei fratelli Gallagher ha influenzato anche tendenze recenti come il bloke core, che mescola vestiti da calcio e casual, e l’indie sleaze, un modo di vestirsi volutamente trasandato, che ricorda lo stile provocatorio degli anni Novanta. A inizio anni Dieci ispirarono anche il cosiddetto nu lad o new casual, il ritorno dell’abbigliamento da stadio, in reazione allo stile hipster (quello con barbe, pantaloni con il risvoltino, papillon e bretelle) e al normcore (cioè il modo di vestirsi come le persone normali).
Eppure gli Oasis, almeno agli inizi, si vestivano come un qualsiasi ragazzotto di Manchester, la città in cui erano nati, e il loro abbigliamento era facilmente riproducibile da chiunque, a buon mercato. Probabilmente il successo si deve soprattutto all’attitude, l’atteggiamento strafottente e spavaldo con cui i Gallagher portavano una maglietta qualsiasi con un paio di jeans Levi’s sformati, tant’è che ancora nel 2022 il sito di moda maschile GQ scriveva che Liam Gallagher «è la più grande icona britannica di stile innatamente cool».
Nonostante l’apparente semplicità, era un modo di vestire che mescolava diversi stili di abbigliamento molto britannici, in patriottica opposizione alla diffusione del grunge americano di allora (quello di Kurt Cobain dei Nirvana, per capirci).
La prima ispirazione era il mod, la sottocultura nata alla fine degli anni Cinquanta tra i giovani di Londra che ascoltavano jazz, vestivano eleganti abiti sartoriali con giacca e cravatta, giravano in Vespa o Lambretta e si tagliavano i capelli alla paggetto. Fu adottato presto da alcuni gruppi musicali degli anni Sessanta, come gli Who e i Beatles, ammiratissimi da Liam, che si vestirono mod in una prima fase della loro carriera.
Alla fine degli anni Settanta, con la fine del movimento hippie e la commercializzazione del punk, lo stile mod ritornò in voga grazie al film Quadrophenia, che raccontava quella sottocultura romanticizzandola, e a Paul Weller, fondatore dei Jam, che venne addirittura soprannominato Modfather per averlo diffuso tra i più giovani, compresi il cantante Ian Brown degli Stone Roses, Richard Ashcroft dei Verve e, appunto gli Oasis.
Gli Oasis aggiornarono lo stile mod contaminandolo con capi tipici del workwear (i vestiti della classe lavoratrice di cui si sono sempre detti rappresentanti), come il denim (il tessuto dei jeans) o i pantaloni baggy, cioè larghi, e con un’altra sottocultura inglese importante e influente ancora oggi: i football casuals.
Secondo una leggenda, sarebbe nata durante le trasferte in Europa dei tifosi della squadra di calcio del Liverpool, ai tempi particolarmente vincente. Qui scoprirono i marchi sportivi e casual italiani e francesi, come Lacoste, Ellesse, Fila, Sergio Tacchini, Benetton e Fiorucci, ne razziarono in massa i negozi e tornarono in patria con un nuovo, distinto, modo di vestire.
Stando a una ricostruzione dello studioso Dave Hewitson sarebbe iniziato tutto il 13 agosto del 1977 allo stadio di Wembley, a Londra, durante una partita tra Liverpool e Manchester United, quando sugli spalti spiccava una ventina di ragazzi tra i 15 e i 17 anni che non ostentavano i colori di appartenenza di una delle due squadre e che se ne stavano seduti composti, indossando jeans dritti o di velluto a coste, scarpe da ginnastica Adidas e un nuovo taglio di capelli che Hewitson definiva «effeminato».
Era copiato, raccontava un articolo pubblicato nel 1983 sulla rivista The Face, da quello del musicista David Bowie sulla copertina del disco Low, uscito quell’anno: «il risultato era un’immagine a tratti aggressiva, effeminata ed estremamente attraente: mohair indossati con pantaloni dritti, sandali di plastica e cappotti color cammello. Ma era il taglio a essere distintivo, quel taglio di capelli meravigliosamente sbilenco».
L’articolo di The Face fu il primo a raccogliere sotto la stessa etichetta di casuals le masse di ragazzini che andavano allo stadio fingendo un’aria da bravi ragazzi per eludere i controlli della polizia, ma senza tirarsi indietro da scontri violenti con i tifosi rivali. Si traducevano anche in piccole differenze di stile: i provocatori scally di Liverpool, i Perry boys del Manchester United (perché indossavano polo del marchio inglese Fred Perry), i chaps di Londra che preferivano scarpe Nike, camicie Lacoste, sciarpe di cachemere e impermeabili di Burberry.
Negli anni Ottanta lo stile incorporò marchi britannici e di lusso come gli inglesi Barbour e Aquascutum e gli italiani Armani, Prada, C.P. Company e Stone Island, più adatti di Fila e Tacchini a reggere la pioggia, il vento e il gelo degli stadi inglesi.
L’abbigliamento da stadio (detto anche terracewear) si diffuse anche tra chi non ci andava, ma gli Oasis potrebbero averlo imparato direttamente sugli spalti, vista la loro passione per il calcio e per il Manchester City: da qui viene l’abbondanza di magliette da calcio, tute e scarpe da ginnastica Adidas (pare che per questo i rivali Blur preferissero le Nike), i parka e le giacche pesanti da indossare all’aperto.
Nel tempo anche lo stile dei Gallagher è cambiato. Noel ha sostituito le tute e le felpe anni Novanta con polo e camicie semplici o in denim mentre dagli anni Duemila Liam ha introdotto più pelle e denim, cappotti e un gusto eccentrico; tra i marchi che veste ci sono i britannici Mackintosh, Barbour e C.P. Company (che ha lo stesso fondatore di Stone Island ma che punta a un’immagine più da bulli), le scarpe del marchio slovacco Novesta e le giacche dell’azienda giapponese orSlow, la stessa indossata dal protagonista del film Taxi Driver, del 1976. Ha anche fatto alcune collaborazioni con le sue aziende preferite, come il marchio di scarpe Clarks, C.P. Company e Adidas; nel 2009 ha anche fondato un suo marchio di abbigliamento, Pretty Green, dall’omonima canzone dei Jam (e con alcuni vestiti disegnati da Weller).
È possibile che nei prossimi mesi, in vista della reunion, lo stile dei Gallagher ritornerà di moda e favorirà l’aumento di vendite di marchi legati al gruppo. Nel frattempo, come ricorda il fondatore della pagina Instagram Brit Cult, Mark Knox, «non c’è niente di più cringe di una raffica di ragazzi in parka a buon mercato con un taglio mod alla Paul Weller anni Duemila fuori da un concerto di Liam o Noel Gallagher», che invece «raramente sembrano una caricatura di sé stessi».