Un videogioco in cui esplorare il mondo di Star Wars

“Outlaws” è prodotto da Ubisoft ed è il primo del suo genere tra i molti dedicati alla saga di George Lucas

(Ubisoft)
(Ubisoft)

Il 30 agosto è uscito Star Wars Outlaws, un videogioco basato sull’universo di Star Wars intorno a cui c’è un interesse particolare: nonostante siano oltre un centinaio i videogiochi basati sull’universo di Star Wars, questo è il primo, se non si considerano gli adattamenti della serie LEGO, a essere un open world (un gioco a mondo aperto), un genere che permette una grande libertà nell’esplorazione delle aree di gioco e nella scelta delle attività o delle missioni da seguire.

Star Wars Outlaws è sviluppato da Massive Entertainment e pubblicato dall’editore francese Ubisoft per PC, PlayStation 5 e Xbox Series X|S, e la storia è collocata tra L’impero colpisce ancora e Il ritorno dello jedi, il secondo e terzo film della prima trilogia usciti rispettivamente nel 1980 e nel 1983. Racconta le avventure di Kay Vess, una fuorilegge impegnata nell’organizzazione di una grande rapina ai danni di un criminale intergalattico, definita dagli sviluppatori in fase promozionale “scoundrel”, cioè mascalzona. È il termine con cui la principessa Leia si rivolge a Han Solo, che è la principale fonte di ispirazione per il personaggio.

Il primo videogioco dedicato a Star Wars fu Star Wars: The Empire Strikes Back, sviluppato da Parker Brothers nel 1982 per la console Atari 2600 (due anni dopo l’uscita del film nelle sale). A quei tempi non era difficile per un editore comprare i diritti per l’utilizzo dell’opera: dal 1982 al 1988 infatti i primi otto giochi ispirati alla trilogia classica (Una nuova speranza, L’impero colpisce ancora e Il ritorno dello jedi) ebbero tre editori differenti, e cioè Parker Brothers, Atari e Mastertronic.

La maggior parte dei giochi dedicati alla serie degli anni Ottanta e Novanta erano dei cosiddetti tie-in (la cui traduzione più affidabile potrebbe essere “prodotto venduto in abbinamento”), cioè titoli pubblicati in concomitanza dell’uscita delle sale di un determinato film e che ne ripropongono la storia o una porzione. I tie-in esistono ancora oggi ma sono di qualità mediamente superiore rispetto al passato, quando venivano sviluppati in pochissimo tempo e spesso con poche idee e risorse, solo per sfruttare l’interesse nei confronti dell’opera collegata.

Nel 1991 George Lucas decise di non dare in concessione ad altri editori le licenze per i giochi di Star Wars ma di affidarli a LucasArts, lo studio di sviluppo della sua casa di produzione che negli anni precedenti si era fatto molto apprezzare per aver creato alcune avventure grafiche (quel genere molto in voga negli anni Novanta conosciuto con il nome di “punta e clicca”) di grandissimo successo come Maniac Mansion e The Secret of Monkey Island. Nei dieci anni successivi sono stati prodotti alcuni dei giochi ricordati con maggior affetto dai fan, come X-Wing (1993) e TIE Fighter (1994), i due Rebel Assault (1993 e 1995) e Star Wars Jedi Knight: Dark Forces II (1997), sviluppato in un allora primitivo ambiente tridimensionale.

– Leggi anche: I remake nei videogiochi funzionano bene

Grazie alle maggiori possibilità offerte dalla tecnologia, negli anni Duemila i giochi dedicati alla serie hanno iniziato a sperimentare di più e a essere più ambiziosi, come nel caso di Knights of the Old Republic (BioWare, 2003), Battlefront (2004) e la serie LEGO Star Wars. Le cose però cambiarono nel 2012, anno in cui Disney comprò Lucasfilm (la casa di produzione di George Lucas) per 4,05 miliardi di dollari e decise di chiudere poco dopo LucasArts annunciando una partnership decennale con Electronic Arts per lo sviluppo di nuovi videogiochi dedicati alla saga.

Star Wars Outlaws è il primo videogioco della serie a raccontare una storia originale a mondo aperto. Massive Entertainment, lo studio che lo sviluppa, è di proprietà di Ubisoft dal 2008 e ha sede a Malmö, in Svezia: gli ultimi giochi che ha sviluppato sono i due capitoli della serie Tom Clancy’s The Division e Avatar: Frontiers of Pandora. Negli ultimi anni Ubisoft si è costruita una certa fama nella creazione dei titoli a mondo aperto anche in ragione del fatto che è uno dei pochi editori che ha la capacità, grazie agli oltre ventimila dipendenti e a 45 studi di sviluppo in tutto il mondo, di poter destinare centinaia (quando non migliaia) di sviluppatori e artisti su un solo progetto. Per realizzare un gioco di questo tipo infatti non basta solo un grande investimento economico, ma anche una forza lavoro tale da poter garantire la costruzione di enormi ambienti di gioco nei quali le varie attività sono sempre accessibili.

Un gioco a mondo aperto è, semplificando molto, una enorme mappa in cui il giocatore deve avere sempre a disposizione tutto o quasi, il che richiede un tipo di design e di infrastruttura molto particolare e soprattutto complesso da realizzare. I giochi a mondo aperto poi, oltre che essere difficili da programmare, devono anche dare al giocatore un mondo pieno di cose da fare, di posti da raggiungere e di storie da raccontare, il che li rende prodotti che richiedono generalmente molti più contenuti rispetto ad altre tipologie di videogiochi.

Nonostante i primi giochi a mondo aperto risalgano alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta (Colossal Cave Adventure del 1976, Adventure del 1979 e la serie Ultima a partire dal 1981) è dalla seconda metà degli anni Novanta, con l’arrivo dei videogiochi sviluppati in ambiente 3D, che questo genere è diventato sempre più rilevante, anche grazie a produzioni di enorme successo come The Elder Scrolls Online II: Daggerfall (Bethesda 1996) e Grand Theft Auto III, Vice City e San Andreas (tutti sviluppati da Rockstar Games tra il 2001 e il 2004).

Assassin’s Creed (2007) e Far Cry 2 (2008), due tra le serie più vendute degli ultimi anni, hanno permesso a Ubisoft di costruirsi un grande e affezionato pubblico grazie a un sistema di progressione definito “a torri”, nel quale per sbloccare tutte le attività e i punti di interesse di una certa parte della mappa si deve prima raggiungere una “torre” (che può essere una montagna, un campanile o comunque un punto dal quale si può vedere il paesaggio circostante) così poi da attivare l’area e procedere con il gioco.

– Leggi anche: Anche il linguaggio dei videogiochi ha le sue “frasi fatte”

Negli ultimi anni i giochi a mondo aperto hanno attraversato un momento complesso: da una parte è ancora uno dei generi più apprezzati e capaci di sfruttare al meglio la propria ambientazione (soprattutto quando questa è legata a proprietà intellettuali di successo come nel caso di Hogwarts Legacy), mentre dall’altra la necessità da parte degli sviluppatori di offrire sempre più contenuti al giocatore ha portato a quella che viene chiamata “open world fatigue”, cioè quella sensazione di sopraffazione che si prova quando ci si accorge che la mappa di gioco è talmente piena di cose da fare (spesso ripetitive o generate proceduralmente) che sembra impossibile riuscire a finire un videogioco, che viene così il più delle volte abbandonato.

Quasi tutte le recensioni di Star Wars Outlaws della stampa di settore, che sta generalmente apprezzando il gioco pur con qualche riserva, ruotano proprio intorno alla sua struttura a mondo aperto e all’interpretazione che ne ha dato Ubisoft negli anni. Per Todd Harper, giornalista del sito Polygon, «i difetti presenti nella costruzione del mondo aperto non sono necessariamente dovuti a errori compiuti dal team di Massive, quanto più conseguenze della struttura stessa del genere». Harper sottolinea come secondo lui sia inevitabile considerare Star Wars Outlaws come una versione ambientata nello spazio di The Elder Scrolls o di un qualsiasi gioco a mondo aperto, e cioè «un gioco dall’ambiente coeso con qualche trama principale e un fantastilione di trame secondarie. L’unica cosa che manca è uno stormtrooper che si lamenta perché è stato colpito al ginocchio [riferendosi a un celebre meme del mondo dei videogiochi nel quale un personaggio non giocante di The Elder Scrolls V: Skyrim si lamenta perché lo hanno colpito con una freccia nel ginocchio]».

Nonostante la genericità della sua struttura però, per Harper Star Wars Outlaws riesce comunque a essere un prodotto apprezzabile, soprattutto grazie ai suoi personaggi e a quanto riesce a essere così fedele a Star Wars: «Anche se non sono così impallinato della mitologia di Star Wars come lo sono molti fan, penso che Massive Entertainment abbia fatto un grandissimo lavoro nel ricreare l’atmosfera di tutte le ambientazioni dei film e delle serie. Mos Eisley è esattamente come mi sono sempre immaginato che fosse dopo aver visto Una nuova speranza».

Chris Tapsell invece, in quella che è la recensione più critica del gioco, sottolinea come i mondi aperti siano ambienti pieni di missioni e meccaniche diverse di gioco, ma che queste siano in generale sviluppate in maniera superficiale, non permettendo così al gioco di eccellere in alcun aspetto. «Mancano le missioni di infiltrazioni piene di possibilità della serie Arkham», scrive Tapsell, «mancano le opzioni che offre il sistema di gioco di Dishonored, la velocità frenetica e la soddisfazione nell’eliminare i nemici in Assassin’s Creed. Manca la raffinata linearità e il fascino di Uncharted. Mancano le animazioni fluide delle arrampicate tra le piattaforme colorate di giallo di Horizon, o la pura gioia di costruire un gioco attorno al concetto di piattaforme, come in Star Wars Jedi».

– Leggi anche: Ricreare gli abbracci nei videogiochi è difficilissimo

Per Gene Park del Washington Post invece l’aver creato uno schema riconoscibile sempre uguale è un merito, perché è diventato negli anni qualcosa di apprezzato e soprattutto affidabile, qualcosa che i giocatori cercano, visto che i giochi delle serie Ubisoft vendono ogni volta milioni di copie. Secondo Park infatti nonostante spesso gli utenti e la stampa parlino della struttura dei giochi a mondo aperto di Ubisoft con una certa sufficienza, «Star Wars Outlaws dovrebbe ricordare a tutti come mai quella formula sia diventata così popolare». «Talvolta questi giochi», continua Park, «vengono derisi e definiti “giochi con la lista della spesa”, cioè titoli che hanno letteralmente al loro interno una lista di attività da spuntare (come assaltare accampamenti di banditi o raccogliere oggetti). Outlaws è effettivamente uno di quei giochi, ma allo stesso tempo è anche un prodotto che spunta tutte le caselle che dovrebbe spuntare un gioco a mondo aperto moderno, di qualità e dall’alto valore produttivo».

Negli ultimi anni Disney sta rivitalizzando l’universo di Star Wars producendo diversi nuovi giochi, film e serie TV, vista anche l’esigenza di rendere il catalogo della sua piattaforma di streaming Disney+ più vario e con contenuti esclusivi. Alcuni prodotti, come nel caso dei videogiochi Jedi: Fallen Order o delle serie The Mandalorian e Andor, sono stati molto apprezzati. Altri invece, come Obi-Wan Kenobi e la recente The Acolyte, non hanno invece lasciato il segno. Nei prossimi anni sono previste nuove serie, nuovi film (ce ne sono in diversi stadi di produzione almeno cinque) e nuovi videogiochi, tra cui Star Wars Eclipse, prodotto da Quantic Dream (Heavy Rain, Detroit: Become Human) e un titolo ancora senza nome sviluppato da Skydance New Media, lo studio fondato da Amy Hennig, che è stata la direttrice creativa di Naughty Dog, per cui ha anche scritto i primi tre titoli della serie Uncharted.