Chi è Leonardo Bertulazzi, l’ex brigatista arrestato in Argentina dopo 44 anni di latitanza

Fu uno dei dirigenti delle Brigate Rosse genovesi, che contribuirono al sequestro di Aldo Moro: la polizia sapeva dov'era ma non poteva arrestarlo

L'arresto di Leonardo Bertulazzi a Buenos Aires, ripreso dal quotidiano argentino El Clarin
L'arresto di Leonardo Bertulazzi a Buenos Aires, ripreso dal quotidiano argentino El Clarin
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Giovedì pomeriggio è stato arrestato nella sua casa di Buenos Aires Leonardo Bertulazzi, un ex membro delle Brigate Rosse, l’organizzazione terroristica di estrema sinistra attiva in Italia perlopiù tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta. Bertulazzi è stato arrestato dalla polizia argentina, dopo 44 anni di latitanza; all’operazione hanno partecipato anche poliziotti e agenti dei servizi segreti italiani. Bertulazzi deve scontare una pena di 27 anni di reclusione in seguito a una sentenza di condanna emessa nel 1997 per vari reati tra cui sequestro di persona, associazione sovversiva e banda armata. La sua estradizione, cioè il procedimento con cui l’Argentina acconsentirà al suo rientro in Italia, potrebbe però dover seguire un iter piuttosto lungo e articolato.

Bertulazzi nacque a Verona nel 1951, ma si trasferì fin da giovane a Genova. Era cresciuto in una famiglia di sinistra, con suo nonno che era stato tra i fondatori del Partito Comunista in Veneto. A Genova iniziò la sua militanza armata e a partire dal 1977 divenne uno dei dirigenti, col nome di battaglia “Stefano”, della colonna genovese delle Brigate Rosse, che avevano in varie città italiane delle articolazioni locali chiamate in gergo appunto colonne. Quella genovese, denominata in seguito “Colonna 28 marzo”, fu una delle più attive e delle più precoci nel compiere azioni violente e mortali fin dalla metà degli anni Settanta. Nel gennaio del 1977, in particolare, Bertulazzi partecipò alla pianificazione e all’esecuzione del rapimento di Pietro Costa, ingegnere navale della celebre famiglia di armatori liguri, quelli della Costa Crociere. Dopo 81 giorni di prigionia, Costa venne rilasciato in cambio di un miliardo e mezzo di lire (7 milioni di euro di oggi): quei soldi servirono a finanziare l’attività criminale delle Brigate Rosse e, tra l’altro, ad acquistare per 50 milioni di lire l’appartamento di via Camillo Montalcini 8 nel quartiere Portuense di Roma, dove venne poi tenuto prigioniero Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana rapito dalle stesse Brigate Rosse nel 1978. Sempre nel 1977 Bertulazzi rimase ferito dall’esplosione di un ordigno rudimentale da lui stesso costruito.

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Il 17 settembre del 1980 Berulazzi fu coinvolto in una sparatoria tra la polizia e un gruppo di brigatisti davanti alla casa del sindaco di Genova Fulvio Cerofolini, che era considerato un possibile obiettivo di un imminente attentato da parte delle Brigate Rosse. Riuscì a scappare in maniera rocambolesca, e da quel giorno iniziò la sua latitanza. Andò prima in Grecia e Portogallo, poi in Sud America, tra El Salvador e Argentina. Proprio a Buenos Aires si stabilì fin dalla fine degli anni Ottanta, insieme alla sua compagna Bettina Koepcke, una dottoressa tedesca attiva in alcune organizzazioni di assistenza sanitaria per le popolazioni dell’America Latina.

La lapide in via Fani, a Roma, in ricordo delle vittime dell’attentato durante il quale venne rapito Aldo Moro, imbrattata con una scritta inneggiante alle Brigate Rosse, il 21 marzo 2018 (Fabrizio Corradetti/LaPresse)

Bertulazzi era ricercato da tempo. Già il 3 novembre del 2002 fu arrestato, sempre a Buenos Aires, dopo un lungo lavoro di pedinamento da parte della polizia italiana, che aveva intercettato dei pagamenti effettuati con la carta di credito della sua compagna ed era riuscita a ottenere il numero di targa della moto con cui Bertulazzi si muoveva tra El Salvador e Argentina, una Honda 850 che poi fu decisiva per individuare il suo nascondiglio nel quartiere Constitucion di Buenos Aires. Bertulazzi avrebbe dovuto scontare la pena di 27 anni in virtù di varie sentenze di condanna, l’ultima delle quali emessa dalla procura generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Genova nel 1997. Nel luglio del 2003, però, dopo otto mesi di detenzione, il tribunale di Buenos Aires rilasciò Bertulazzi, perché la legge argentina non prevede l’estradizione per casi di condanna in contumacia, cioè in assenza dell’imputato. Di lì l’inizio di una nuova fase di latitanza di Bertulazzi, trascorsa perlopiù sempre in Argentina e conclusasi appunto solo giovedì scorso, al termine di una contorta vicenda di contenziosi burocratici e giudiziari.

Dopo vari ricorsi da parte dei suoi avvocati, nel giugno del 2017 la Corte di assise di appello di Genova dichiarò estinta la pena per prescrizione, e la decisione fu poi confermata nel marzo del 2018 dalla Cassazione, anche in seguito a una diatriba legata a delle sviste formali nella compilazione dei moduli da parte della procura generale, che aveva invece contestato quella sentenza. A quel punto Bertulazzi diventò un uomo libero, con la facoltà di tornare in Italia senza essere arrestato. Ma il 7 maggio del 2018 la Corte di assise di appello di Genova stabilì al contrario che la prescrizione non poteva considerarsi sopraggiunta perché, in sostanza, l’arresto avvenuto nel 2002 a Buenos Aires aveva fatto ripartire da zero il calcolo dei termini. «Il decorso dei termini di prescrizione è iniziato ex novo», scrissero i giudici genovesi, stabilendo dunque che «le pene inflitte a Bertulazzi Leonardo non sono prescritte».

La sua latitanza in questi ultimi anni era stata però un po’ particolare. Il suo domicilio a Buenos Aires, nel quartiere Monserrat, era infatti noto alla polizia italiana e a quella argentina, ma Bertulazzi non poteva essere arrestato né estradato perché protetto dallo status di rifugiato concessogli nel 2004 dalla Commissione nazionale dei rifugiati (CONARE), l’ente nazionale che disciplina queste procedure in Argentina. Dopo settimane di negoziati, alla fine il ministero dell’Interno argentino ha deciso di revocare questa protezione, e a quel punto la giudice Maria Romilda Servini, una magistrata molto famosa in Argentina, ha disposto l’arresto di Bertulazzi. L’avvocato di Bertulazzi ha fatto ricorso contro la revisione dello status di rifugiato precedentemente riconosciuto a Bertulazzi, e dall’esito di questo ricorso dipenderanno i tempi con cui verrà infine concessa l’estradizione. Per ora, dunque, resterà detenuto in un carcere argentino.

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