Cosa sta succedendo in Cisgiordania
Tre giorni fa Israele ha iniziato una grossa operazione militare: dice che è per contrastare il terrorismo, ma potrebbero esserci altri motivi e non si sa quanto durerà
Venerdì è proseguita per il terzo giorno una grossa operazione militare dell’esercito israeliano in Cisgiordania, iniziata nella notte fra martedì e mercoledì. L’operazione è la più grande realizzata in Cisgiordania dall’inizio della guerra a Gaza e una delle più grandi dalla seconda Intifada, la rivolta palestinese armata durata dal 2000 al 2005. Il governo israeliano ha detto che l’obiettivo delle operazioni è «contrastare attività terroristiche» e che l’esercito potrebbe esservi impegnato «a lungo».
L’operazione è iniziata qualche giorno dopo l’attentato suicida del 19 agosto a Tel Aviv, rivendicato da Hamas e Jihad Islamico, ma evitare nuovi attentati e smantellare i gruppi di miliziani potrebbe non essere l’unico motivo dell’operazione. Da tempo il governo israeliano, su spinta delle sue componenti più radicali, sta aumentando il suo controllo militare e politico sulla Cisgiordania.
La Cisgiordania è un territorio che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi ma che Israele controlla quasi per intero, a diversi livelli: ci vivono circa 3 milioni di palestinesi, oltre a 500mila israeliani che abitano nelle cosiddette “colonie”, insediamenti che il diritto internazionale considera illegali.
Fino a giovedì sera l’agenzia di stampa palestinese Wafa e l’Autorità palestinese, che governa la Cisgiordania, avevano parlato di almeno 18 persone uccise durante l’operazione. Venerdì se ne sono aggiunte altre tre a Jenin, uccise in uno scontro a fuoco seguito da un attacco aereo israeliano: Israele ha detto che fra loro c’era anche Wassam Hazem, considerato uno dei capi di Hamas a Jenin. Hazem e altri due uomini erano a bordo di un’auto che conteneva armi, munizioni e una grande quantità di denaro, secondo fonti militari citate dai giornali israeliani.
Nei giorni scorsi a Tulkarem era stato ucciso anche Muhammad Jabber, noto come Abu Shujaa, un comandante del Jihad Islamico (il secondo gruppo armato più grande dopo Hamas), che ne ha confermato la morte.
In tutta l’area settentrionale della Cisgiordania sono continuati gli scontri e gli arresti. L’esercito israeliano ha attaccato quattro città, nate da quattro campi profughi: Jenin, Tulkarem, Nablus e Tubas. A Nablus e soprattutto Jenin, le operazioni militari israeliane erano piuttosto frequenti anche prima del 7 ottobre (data dell’attacco dei miliziani di Hamas a Israele).
Secondo le informazioni della stampa israeliana, l’esercito sta impiegando nell’operazione tre brigate. Non si può stimare con certezza il numero dei soldati israeliani presenti, ma le brigate che in passato venivano impiegate in operazioni simili avevano ciascuna fra i 1000 e i 2000 soldati.
I residenti, l’Autorità palestinese, ma anche alcune ong internazionali che operano sul territorio, hanno detto che i soldati israeliani hanno bloccato le strade e hanno arrestato molte persone che si trovavano in strada (molti dei fermati sono stati rilasciati dopo poche ore). L’esercito ha bloccato anche l’accesso ai principali ospedali, con l’intento di evitare che i miliziani si «nascondano all’interno»: Israele ha sostenuto che avrebbe permesso ad ambulanze e personale medico di entrare e uscire, ma secondo l’Autorità palestinese l’operazione israeliana avrebbe comunque rallentato o compromesso l’assistenza medica.
In ampie aree in corrispondenza delle operazioni sono stati interrotti i servizi di connessione telefonica e internet, e ci sono stati blackout e interruzioni della rete idrica. Ahmad Zahran, vicedirettore della sezione locale della Mezzaluna Rossa (la sezione locale della Croce Rossa), ha detto al Washington Post che interi quartieri hanno subito grossi danni: «Sono state distrutte case, negozi, infrastrutture».
La situazione in Cisgiordania è particolarmente tesa da mesi: dopo l’inizio della guerra a Gaza, insieme alle operazioni militari israeliane, sono aumentati anche gli attacchi dei coloni israeliani contro i palestinesi. Negli ultimi 10 mesi e mezzo sono stati uccisi almeno 600 palestinesi. Le formazioni più estremiste che sostengono il governo di destra israeliano guidato da Benjamin Netanyahu hanno richiesto sempre più apertamente al primo ministro «un’annessione della Cisgiordania» attraverso l’approvazione di nuove colonie, il trasferimento di poteri dall’Autorità palestinese e operazioni militari.
Dalla fine del 2023, cioè da quando si è insediato il governo Netanyahu, le autorità israeliane hanno approvato la costruzione di 12mila nuove case di coloni in 18 mesi, contro le 8mila approvate nei due anni precedenti. Il governo ha aumentato inoltre i sequestri di territorio palestinese e la legalizzazione di colonie precedentemente considerate illegali. Questo è stato possibile anche grazie all’opera del ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, leader del Partito Sionista Religioso: non solo ha esercitato pressioni sul primo ministro, ma sta usando abilmente le leggi esistenti e le procedure burocratiche per aumentare il controllo israeliano sulla Cisgiordania e arrivare a quella che lui stesso ha definito una «vittoria tramite colonie», cioè un’annessione di fatto della Cisgiordania a Israele che non passi per vie diplomatiche.
L’aumento degli spazi controllati da Israele limita l’efficacia e i margini di manovra dell’Autorità palestinese, già parzialmente delegittimata da molti episodi di corruzione ed inefficienza e da uno scarso sostegno popolare. Le operazioni militari repressive sono un ulteriore mezzo per aumentare il controllo del territorio.
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Allo stesso tempo in Cisgiordania è aumentata la presenza di gruppi armati palestinesi, anche con la creazione di nuove formazioni che si sono aggiunte a quelle già presenti.
Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha sostenuto che alcuni di questi gruppi sarebbero direttamente finanziati dall’estero, e in particolare dall’Iran. Katz ha aggiunto che l’attuale operazione ha l’obiettivo di «smantellare le infrastrutture terroristiche islamiche e iraniane». Ha anche suggerito che i palestinesi in Cisgiordania dovrebbero essere costretti ad andarsene per favorire le operazioni militari, come avvenuto a Gaza.