Vincere la maratona olimpica in Grecia
Quella che partiva proprio da Maratona, con la M maiuscola, e arrivava ad Atene: ci riuscì vent'anni fa Stefano Baldini, che non era favorito ma arrivò alla gara in condizioni irripetibili
di Gabriele Gargantini
Nel 1988 Reggio 3 TV, televisione locale emiliana, intervistò Stefano Baldini, 16enne esponente di quella che era definita una «stirpe di corridori». Ottavo di undici figli, Baldini gareggiava nella corsa campestre per la Calcestruzzi Corradini Excelsior Rubiera. Raccontò le carriere dei fratelli e aggiunse: «E poi ci sono io e adesso proviamo a guardare ai campionati italiani se riesco a fare un buon piazzamento e forse anche vincere». L’intervistatore lo invitò a “non mettere il carro davanti ai buoi” e concluse con questa considerazione: «È molto più facile dare quattro calci a un pallone che non mettersi lì a correre, correre, correre per poi vincere una Cinque Mulini [una storica corsa campestre], che però è solo una medaglietta. Purtroppo nel nostro sport è solo così».
Il 29 agosto del 2004, vent’anni fa oggi e sedici anni dopo quell’intervista, il 33enne Stefano Baldini vinse la maratona alle Olimpiadi di Atene, dopo una carriera importante ma senza alcun importante successo a livello mondiale. Non era una maratona qualsiasi: era quella che partiva dal comune di Maratona e arrivava allo stadio Panathinaiko di Atene. È difficile trovare casi, nella storia sportiva, in cui uno sport sia stato più vicino al suo mito come avvenne per quella maratona olimpica. Baldini fu il secondo italiano a vincere la maratona olimpica – prima di lui ci era riuscito nel 1988 Gelindo Bordin – e ancora oggi è, a livello maschile, l’ultimo atleta non africano ad esserci riuscito alle Olimpiadi.
La maratona si chiama così per conseguenza della leggenda secondo cui nel 490 avanti Cristo un emerodromo (un messaggero-corridore) corse dal villaggio di Maratona, nell’Attica orientale, fino ad Atene per annunciare agli ateniesi che i Persiani erano stati sconfitti, prima di morire stremato. Il messaggero aveva una certa fretta perché si temeva, da Maratona, che i Persiani avrebbero potuto fingere di aver vinto, creando un conseguente scompiglio ad Atene. Se è certo che la battaglia ci fu e che i Persiani la persero, su tutto il resto non ci sono certezze storiche.
C’è solo la leggenda secondo cui uno specifico emerodromo – in genere chiamato Fidippide – fece quella celebre e determinante corsa. Secondo certe versioni fu peraltro quello stesso Fidippide ad aver percorso alcuni giorni prima, sia all’andata che al ritorno, una distanza ben maggiore: i circa 240 chilometri che separano Atene da Sparta, dove era andato a chiedere rinforzi per l’imminente scontro con i Persiani.
Nell’Ottocento, sull’onda di una delle tante fascinazioni per l’antichità greca, il mito di Fidippide fu ripreso e riscoperto e arrivò tra gli altri al filologo e grecista francese Michel Bréal, il quale ne parlò all’amico Pierre de Coubertin, l’ideatore delle Olimpiadi moderne. Nonostante nelle Olimpiadi dell’antichità la distanza maggiore delle gare di corsa fosse pari a qualche decina di “stadi” (qualche chilometro), a de Coubertin la storia della maratona piacque molto. E dato che le prime Olimpiadi moderne nel 1896 furono proprio ad Atene c’era tutto l’interesse a riscoprire quel mito con una gara che partisse proprio da Maratona, distante da Atene circa 40 chilometri: perché tra l’altro, anche ammesso che un emerodromo abbia coperto davvero quella distanza, non c’è modo di sapere quale percorso fece.
La maratona fu insomma inventata a fine Ottocento, e per gli italiani non iniziò bene. Nel 1896 all’operaio italiano Carlo Airoldi – arrivato ad Atene dopo un lungo viaggio quasi tutto a piedi – fu infatti impedito di parteciparvi perché fu accusato di aver gareggiato per soldi ed essere quindi un atleta professionista, cosa allora vietata dalle regole olimpiche.
All’Italia non andò bene nemmeno nel 1908, a Londra, quando Dorando Pietri arrivò primo ma non vinse, perché squalificato: vedendolo esausto e incapace di procedere sulle sue gambe i giudici l’avevano infatti aiutato a restare in piedi, e a superare il traguardo, negli ultimi metri di gara.
Andò decisamente meglio a Gelindo Bordin, che a Seul 1988 – l’anno dell’intervista di Reggio 3 TV a Baldini – vinse in solitaria dopo aver ripreso e staccato, a circa un chilometro dall’arrivo, il duo di testa. Bordin era allenato da Luciano Gigliotti, tra le altre cose noto come “Professor Fatica”, che avrebbe poi allenato anche Baldini. Di recente intervistato per i suoi novant’anni, Gigliotti ha detto di Bordin: «Gelindo un mulo, un uomo capace di qualunque sacrificio con cui iniziai a lavorare quando molti lo davano per finito. Tra noi ci fu pura competizione trasformata da lui in rabbia agonistica». Di Baldini ha detto invece: «Stefano è cresciuto con me in un decennio di complicità assoluta, esempio perfetto di coincidenza di obiettivi tra atleta e chi lo prepara».
Baldini arrivò alla maratona di Atene a 33 anni, considerato dai più come uno che se la sarebbe potuta giocare ma di certo non come il favorito. Aveva vinto un oro agli Europei del 1998, due bronzi ai Mondiali, nel 2001 e nel 2003, e aveva ottenuto molti buoni piazzamenti in altre maratone, compreso un terzo posto a quella di New York. Alle Olimpiadi del 1996 (quelle del centenario, che molti avrebbero voluto ad Atene anziché ad Atlanta, città della Coca-Cola) aveva gareggiato nei 5.000 e nei 10.000 metri; a quelle di Sydney 2000 si era presentato al via nella maratona, ma si dovette ritirare per un infortunio. «La mia maratona olimpica doveva essere Sydney», raccontò Baldini qualche anno fa.
In preparazione delle Olimpiadi di Atene Baldini corse una sola maratona, a Londra, arrivando quarto. Ma in diverse interviste fatte negli ultimi vent’anni ha raccontato che quell’anno tutto sembrava girare per il meglio. Il piano che aveva fatto con Gigliotti – il quale lo presentò e discusse poi in una relazione di 20 pagine – previde, nei 100 giorni precedenti l’evento, ritiri in altura alternati ad allenamenti in Emilia-Romagna, vicino a casa di Baldini. In ognuna delle settimane di quell’ultima fase di preparazione, Baldini corse – a vari ritmi – circa 200 chilometri ogni settimana.
Nelle varie interviste degli ultimi vent’anni – a cominciare da quelle subito dopo la sua vittoria – Baldini ha spesso ricordato di essere arrivato ad Atene con una potente fiducia nelle sue possibilità. Tre giorni prima della gara aveva fatto in auto il percorso per studiarlo nel dettaglio e la notte prima della gara, quella tra il 28 e il 29 agosto, raccontò di essersi riposato al meglio: «ricordo di aver dormito otto ore tranquille» disse, «tanto che Gigliotti era preoccupato da questo mio continuare a dormire».
Per via del grande caldo previsto la maratona di Atene si corse infatti nel tardo pomeriggio anziché, come spesso accadeva e ancora accade, di mattina, e questo permise a Baldini di prendersela comoda. Intervistato qualche mese fa da Runner 451, Baldini ricordò di aver fatto «una colazione normale e un pranzo a un orario tranquillissimo» e di aver trovato pure il tempo di guardare altre gare in tv, leggere qualche pagina di un libro di Ken Follett (non voleva niente di troppo impegnativo) e ascoltato musica dal suo lettore CD (“Buoni o Cattivi” di Vasco Rossi).
Dopodiché, insieme agli altri atleti della maratona, Baldini salì su un autobus che da Atene li portò a Maratona, di fatto facendo il percorso inverso che poco dopo avrebbero affrontato correndo. Baldini si sentiva «sanissimo», privo di «fastidietti» di qualsiasi tipo e in gran forma; tanto che alcune settimane prima si era chiesto se non fosse per caso troppo in forma troppo presto.
Tra i 101 atleti al via alla maratona olimpica di Atene, il grande favorito era il keniano Paul Tergat che nel settembre del 2003 – correndo con scarpe normali, ben diverse da quelle di oggi con super-suole e piastre in carbonio – aveva fatto il record del mondo: 2 ore, 4 minuti e 55 secondi.
La maratona partì da Maratona alle 18, le 17 in Italia, la temperatura era di circa 30 °C, il clima umido. Il percorso prevedeva 150 metri di dislivello complessivi, la maggior parte dei quali concentrati nella parte centrale, con un finale in lieve discesa. Per questo, per il caldo, per la grande posta in gioco, ci si attendeva una gara tattica, lontana anche diversi minuti dal record di Tergat. L’inizio fu «lento, se non lentissimo» disse la telecronaca Rai (in una maratona olimpica un inizio lento corrisponde a correre 5 km in 15 minuti – non-provateci-a-casa).
«Già al ventesimo chilometro notai delle facce preoccupate e stanche» ricordò Baldini intervistato da Garmin un paio di anni fa. Di quella situazione di studio e stallo provò ad approfittare il brasiliano Vanderlei de Lima, che si avvantaggiò sul gruppo di circa 40 secondi. «Al trentesimo chilometro», ricordò Baldini, «nessuno aveva ancora fatto nulla e io iniziai a preoccuparmi, sapendo che il brasiliano era là davanti da solo. Capii che se volevo la medaglia d’oro dovevo fare qualcosa».
Al trentaduesimo chilometro Baldini cambiò passo restando solo con un paio di atleti all’inseguimento di de Lima. E rendendosi conto che Tergat non era forse al meglio della forma: «C’è un momento nel quale si vede che lo squadro da testa a piedi e non credevo ai miei occhi perché lo vedevo con il viso un po’ spento, preoccupato». Infatti Tergat si staccò.
All’inseguimento di de Lima restarono Baldini e lo statunitense Mebrahtom Keflezighi. Quando i due erano ormai a pochi secondi dal brasiliano successe l’altro evento per cui molti si ricordano di quella gara: Cornelius Horan, un presbitero irlandese che era noto già dal 2003 per aver fatto un’invasione di pista al Gran Premio di Formula 1 di Silverstone, entrò nel percorso della maratona e bloccò de Lima. Desideroso di invitare il mondo a leggere la Bibbia, Horan bloccò e fece cadere de Lima, che perse quindi alcuni secondi prima di poter riprendere la sua maratona olimpica. Dietro, Baldini e Keflezighi non se ne accorsero, e de Lima era comunque destinato a essere ripreso dal duo che lo seguiva: per fortuna, Horan non cambiò l’esito della gara.
Negli ultimi chilometri Baldini accelerò di nuovo, staccò anche Keflezighi. Fece da solo gli ultimi quattro chilometri, circa 11 minuti di corsa, guadagnando un vantaggio tale che gli permise di gustarsi l’entrata nello storico stadio Panathinaiko, che nella sua prima versione era stato inaugurato più di 2.500 anni prima. Oltre a vincere una maratona olimpica partita da Maratona, Baldini ebbe insomma tempo e modo di godersi quella vicina vittoria, di rendersi conto di quel che stava per succedergli; un privilegio che è concesso solo da pochi sport, e solo in rare occasioni. L’ingresso allo stadio, disse a Sfide, «è un momento difficilmente raccontabile, pari soltanto alla gioia di quando nascono i tuoi figli».
Mentre Baldini si avviava in solitaria verso l’oro dell’ultima gara delle Olimpiadi di Atene il telecronista Rai Franco Bragagna – che di recente ha detto che quel momento nei suoi ricordi è secondo solo alla storica serata dell’Italia nell’atletica leggera alle Olimpiadi di Tokyo – disse che Baldini era solo al comando «come non s’immagina di sognare».
Intervistato dal podcast Oro, Baldini ha parlato del suo stato di forma psicofisico di quei giorni come di «uno stato di grazia», qualcosa che nella vita sportiva di un atleta capita, se va bene, «due o tre volte, non di più».
Baldini vinse in 2 ore 10 minuti e 54 secondi; Keflezighi arrivò oltre mezzo minuto dopo e al terzo posto arrivò un felicissimo de Lima: nonostante l’intrusione di Horan, il suo azzardo iniziale si rivelò efficace. Subito dopo l’arrivo, Baldini disse: «Sono passato alla cassa; sentivo che per tutta la serietà, la passione, l’amore e la fede che ho messo in tutto quello che ho fatto nella mia vita dovevo riscuotere. Veramente oggi non poteva fermarmi niente: ero un rullo compressore».
Il giorno successivo la Gazzetta dello Sport mise a tutta pagina, in prima pagina, una grande foto Baldini, sotto al titolo “Dio di Maratona”.