Molti allevatori italiani sono alle prese con un virus difficile da contenere
L'unico modo per limitare il “Blue Tongue” – innocuo per gli esseri umani – è vietare lo spostamento di mucche e pecore
Quest’anno alla fiera di Sant’Alessandro di Bergamo, una delle più importanti fiere zootecniche in Italia, non ci saranno mucche e pecore. È la prima volta in oltre mille anni. Il divieto eccezionale è stato istituito per limitare la diffusione di un virus conosciuto in Italia da oltre vent’anni, che sta creando molti problemi agli allevatori di diverse regioni tra cui Lombardia, Sardegna, Piemonte, Liguria, Calabria e Sicilia.
Il virus della febbre catarrale dei piccoli ruminanti, chiamato anche virus Blue Tongue (BT), causa una malattia che ha lo stesso nome, Blue Tongue, conosciuta in Italia anche con la traduzione “lingua blu”. Quando vengono individuati dei focolai, come sta avvenendo, l’unico modo per contenere la malattia è limitare lo spostamento degli animali: è il motivo per cui quest’anno molte fiere zootecniche, che attirano migliaia di allevatori, non si terranno.
La Blue Tongue è una malattia infettiva non contagiosa che viene trasmessa da piccoli insetti ematofagi, cioè che si nutrono del sangue di altri animali, e causata da un virus della famiglia Reoviridae, del genere Orbivirus, di cui al momento si conoscono 27 sottospecie (sierotipi). La prima ondata epidemica segnalata in Italia risale all’inizio degli anni Duemila: negli anni ci sono stati altri periodi di diffusione del virus in territori più o meno circoscritti.
Il virus colpisce prevalentemente le pecore con sintomi piuttosto gravi come febbre, edema alla testa e congestione delle mucose della bocca. Nei casi più gravi la lingua, ingrossata e cianotica, tende a uscire dalla bocca (da qui il nome Blue Tongue). L’infezione può causare nelle femmine incinte anche malformazioni del feto e aborti, e nei casi più gravi può portare alla morte degli animali.
Nei bovini, sia domestici che selvatici, l’infezione dura più a lungo e ha sintomi meno gravi rispetto agli ovini. La permanenza prolungata del virus nel corpo dei bovini, tuttavia, è un rischio per la diffusione della Blue Tongue e per questo motivo le aziende sanitarie locali impongono alcune misure restrittive: la più efficace è la limitazione agli spostamenti degli animali compresi in un raggio di 20 chilometri da un focolaio accertato.
Non esiste una terapia per curare gli individui malati, si possono solo alleviare i sintomi. Negli anni sono stati sviluppati alcuni vaccini che proteggono gli animali dall’infezione e riducono la carica virale, ovvero la presenza del virus nel sangue, riducendo di conseguenza la diffusione. La vaccinazione è complessa perché sierotipo-specifica: significa che per ogni sottospecie del virus è necessario un apposito vaccino. Gli anticorpi prodotti in seguito all’infezione di una sottospecie non proteggono da un’eventuale successiva infezione da parte di un’altra sottospecie. È il motivo per cui è importante identificare le sottospecie che si stanno diffondendo in un territorio. Al momento non esistono in commercio vaccini per tutte le sottospecie di questo virus.
In Sardegna sono stati segnalati 360 focolai di Blue Tongue: 94 sono già stati confermati, mentre 266 sono quelli sospetti di cui si attende conferma. Complessivamente sono coinvolti 10.134 animali, quasi solo pecore. Secondo i dati dell’osservatorio epidemiologico veterinario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale, oltre un migliaio sono già morte. In Sardegna la malattia è ormai considerata endemica e sono state individuate cinque sottospecie del virus, alcuni delle quali causano le forme più gravi e mortali della malattia.
In Lombardia è stato segnalato un focolaio in provincia di Lecco che ha coinvolto le pecore in alpeggio all’Alpe Cancedo. «Praticamente mi muore un animale al giorno. Rischio la chiusura. Ho 130 animali circa, ma a questi ritmi in poco tempo non ne avrò più molti», ha detto Valentina Invernizzi, allevatrice, alla Provincia di Lecco. «Se arrivo a perdere il 30 per cento dei miei animali sarò costretta a chiudere». Negli ultimi anni la Regione Lombardia ha promosso campagne di vaccinazione fornendo gratuitamente le dosi di vaccino agli allevatori, ma quest’anno gli allevatori dovranno pagarsele. In un avviso diffuso mercoledì, la Regione ha invitato gli allevatori a trattare gli animali con prodotti repellenti per gli insetti e a tenerli al chiuso nelle ore notturne, preferibilmente in stalle protette con zanzariere.
Oltre ai sintomi gravi e al rischio di morte per gli animali, la conseguenza indiretta più temuta dagli allevatori è il divieto di spostamento di mucche e pecore. Questa prescrizione, che di fatto blocca il commercio di animali e gli affari degli allevatori, era la limitazione in vigore fino al 2019. Quell’anno poi il ministero della Salute modificò le regole: non c’è più un divieto generalizzato, ma diverse disposizioni che si basano sulle caratteristiche degli animali da spostare.
È rimasto comunque molto complicato trasportare gli animali compresi in un raggio di 20 chilometri dal focolaio accertato. «Entro il raggio di 20 chilometri dal focolaio c’è il blocco condizionato delle movimentazioni, questo significa che per spostare gli animali, compresi quelli destinati al macello, gli allevatori devono obbligatoriamente rivolgersi a noi per i certificati», ha detto all’Eco di Bergamo Tiziano Fanton, direttore del servizio di sanità animale dell’azienda sanitaria di Bergamo. «L’emergenza sanitaria durerà a lungo perché la normativa prevede che le misure cessino dopo 60 giorni dall’ultimo caso, quindi servono almeno 60 giorni. Ma è una stima ottimistica». Le limitazioni agli spostamenti sono un problema anche per chi ha animali in alpeggio, che alla fine dell’estate dovranno tornare negli allevamenti in pianura.